da Rapporto Confidenziale numero12 (febbraio 2009)
Nel 1982 il regista Nico D’Alessandria, saldamente legato al letto di un ospedale psichiatrico romano (il Forlanini), conosce un uomo steso nell’angolo opposto della stessa camera, anche lui assicurato al letto con grossi legacci. La spiccata sensibilità del regista, ingiustamente dimenticato dai pennivendoli del nostro belpaese, coglie immediatamente la peculiarità di Gerry (Germano Sperandini), che è quella di essere naturalmente dotato di uno speciale e irrazionale istinto di libertà. Per la psichiatria i due sono affetti da una grave forma di psicosi delirante, in quanto Nico si crede essere il grande Imperatore di Roma, mentre Gerry si impersona nel “Caimano Bianco”, il killer più feroce di New York.
Il regista fa di tutto per avere come protagonista del suo futuro film Gerry, che però è in quel momento internato nell’ospedale psichiatrico di Aversa. Tra i due intercorre una fitta corrispondenza, fino al momento in cui il magistrato di sorveglianza decide di affidare temporaneamente Gerry a Nico, in licenza sperimentale. I due vivono insieme per trenta giorni, notte e giorno perché può essere rischioso lasciare solo Gerry, il periodo necessario per le riprese del film. Nico, ispirandosi all’“Accattone” dell’amato Pasolini, ha l’intenzione di trasformare Gerry nel fantomatico Imperatore di Roma delle sue trascinanti fantasticherie e ci riesce. Ne scaturisce un film atipico, poetico, slabbrato e imperfetto, ma meravigliosamente sincero.
La pellicola viene miracolosamente girata con l’ausilio di solamente quattro persone (Nico, la moglie, Gerry e il cameraman). Al centro dello schermo Gerry: folle, emarginato, ladruncolo, alcolizzato, fumatore, tossicodipendente, ma che ugualmente riesce a lasciare un’istintiva scia d’amore sulla terra che attraversa, camminando instancabile, all’apparenza completamente isolato dal mondo e dagli uomini. Il film viene così ad essere uno spaccato duro e doloroso, ma anche intenso e immaginifico, sulle situazioni giovanili delle periferie romane dei primi anni Ottanta, praticamente lo stesso milieu da cui è scaturito l’altrettanto sincero e toccante “Amore Tossico”.
Il parallelismo che si manifesta ripetutamente nel film è quello tra il randagio Gerry e i gatti del Colosseo, le loro vite sono in tutto e per tutto sovrapponibili: capaci di aggirarsi senza soggezione tra le rovine della Città Eterna, esplorandone senza paura gli angoli di degrado e corruzione, ma capaci anche di custodirne dolcemente e accuratamente le antiche rovine. Numerose le sequenze che colpiscono indelebilmente l’immaginario, girate in un brulicante bianco e nero: per esempio quella in cui Gerry, insieme affettuoso e beffardo, regala il proprio inseparabile giubbotto di pelle nera alla statua di Pietro in Vaticano; oppure quella in cui al tramonto si staglia, titanico e minaccioso, con un piccone in mano e il Colosseo alle spalle; oppure quella in cui corre completamente nudo tra l’incredulità e la sorpresa della gente, assorta nel traffico stradale romano. Noi seguiamo rapiti il suo vagabondare attraverso una Roma colossale e decadente: un girovagare apparentemente insensato, che ci permette però di esplorare allo stesso tempo i segni eterni della Storia, le rovine dell’Impero, i memoriali del ventennio, ma anche i graffiti lasciati sui muri da vagabondi come lui, in ricordo degli amici che non ci sono più (non dimentichiamoci che in quegli anni la droga sterminò un’intera generazione).
“Nella tormentata insonnia di una magica notte, passata tra le pietre dei Fori, si rinnova il rito della fondazione di Roma: il tempo si è fermato, il tempo è impazzito… C’è stata la fine mondo, ma è tornato Lui, a portare la vita e a rifondare l’Impero. Ma il sogno finisce.” Accompagna adeguatamente il film la colonna sonora dei Tan-Zero, fatta di chitarre distorte, ma anche di toccante melodia. Un film che è quasi un documentario, uno sguardo senza pregiudizi “Che osserva dolce il corrompersi e il distruggersi di un uomo che trova nella sua città, maledetta e salvifica, forse l’unica ancora.” Da sottolineare che Nico e il cameraman trovarono notevoli difficoltà nel pedinare Gerry, perché il suo delirio (incentrato sul Caimano Bianco), costantemente presente durante le riprese del film, spesso lo portava a immotivati e imprevedibili comportamenti aggressivi.
Samuele Lanzarotti
«Ricordate Accattone di Pasolini? Muore per un banale incidente di motocicletta alla curva del ponte del Mattatoio. In quella stessa curva cade l’imperatore di Roma ma si rialza imprecando, pronto a riprendere la strada a piedi. Il suo nome è Gerry ma forse è più giusto pensarlo Nerone o Commodo. Anche lui desidera trovare la morte nell’arena (magari per un buco di addio). Anche lui ama Roma, di un amore-odio e vorrebbe distruggere il Colosseo a picconate. Conosciuto il personaggio e scritta la sceneggiatura, mentre passavano gli anni in attesa di ottenere i finanziamenti dello stato, il povero Gerry finiva riconosciuto pericoloso socialmente e rinchiuso ad Aversa. Qui nasce il cult-movie. Nico D’Alessandria aspetta tre anni, scrive a Gerry 48 lettere e ne riceve 171. Si occupa di lui nel tentativo di ricucire il tessuto familiare strappato e rifiuta di realizzare il film con un attore diverso dal suo imperatore. Crede che la fatica di fare cinema possa ripagarsi meglio se aiuta un Gerry qualsiasi a riconoscere la strada per uscire dall’inferno. Raccontare un film o raccontare la vita? L’importante è raccontare… E Roma? Già … Roma! Roma in bianco e nero, per giocare con il chiaroscuro più che con i colori. Degradata e splendida. Roma Tevere e polvere, luogo di ogni delirio e set cinematografico. Protagonista e oggetto di sberleffo.»
– Nico D’Alessandria
L’imperatore di Roma
regia di Nico D’Alessandria (Italia/1987, 85’)
Lo vidi circa trenta anni fa…lo rivisto quest’estate
per niente datato…anzi il film è cresciuto…la musica anche questa chitarra progressive su una voce sofferta new wave che ci accompagna per tutto il film, degli emiliani Tan Zero…si forse un neo neo realismo di ispirazione Pasoliniana….però io vedo anche una finzione degna di Blow up di Antonioni….reale e irreale una sintesi…un film notevole