N.B. # Maresco (e Ciprì): Io sono Tony Scott, Pasolini secondo Sergio Citti, A proposito di Totò

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Quanta distanza corre fra la Radio Televisione Italiana e il cinema di Franco Maresco e Daniele Ciprì? Se presi alla sprovvista ci verrebbe da dire che non ci sono cose più distanti tra loro. Ente pubblico, soldi di Stato, canone Rai, cinema per tutti contro cinema per nessuno, discorso altro, isolamento forzoso e forzato, inflitto e auto inflitto. Poi la coppia scoppiò, ne deflagrarono i brandelli e vennero Io sono Tony Scott ed È stato il figlio (entrambi coprodotti da Rai Cinema), prosecuzione di un discorso interrotto, scontri sull’eredità di un glorioso passato nella miseria, fazioni contrapposte, delegittimazione, invidie e livori. Poi, e siamo all’oggi, come in una sceneggiatura beffarda escono a venti giorni l’uno dall’altro i due nuovi film della coppia scoppiata: Belluscone, una storia siciliana giunge in sala passando da Venezia il 4 settembre, La buca il 24 e senza esser passata da Venezia. Stando alla facile equazione dei Guelfi e Ghibellini a Venezia ci sarebbe dovuto passare il “venduto” Ciprì che, con un cast con Castellitto e Papaleo e Bruni Tedeschi e con Rai Cinema tra i produttori, avrebbe dovuto giocoforza solcare il red carpet della laguna, ma invece a Venezia ci va Maresco e torna (senza mai muoversi da Palermo) con il premio speciale della giuria Orizzonti. Gongola Andrea Occhipinti che con Lucky Red distribuisce entrambi e noi amiamo questa scelta – che è una presa di posizione. Perché ci permette di goderci le cose, senza parteggiare per partito preso, perché ci offre il piacere di andare in sala a vedere il film di Maresco e il film di Ciprì, disgiunti ma uniti da un qualcosa di inafferrabile che, fuori dalla contrapposizione tra Guelfi e Ghibellini, si potrebbe incominciare ad afferrare – laicamente, onestamente, tranquillamente, gioiosamente.

Nulla di più distante tra la Rai e il cinema tragico di Cinico TV. Ma poi ti ricordi che è proprio grazie alla Rai che quel cinema hai incontrato, che qualche decennio fa scivolando negli interstizi di palinsesto fuoriuscivano corpi deformati in bianco e nero di una Palermo post apocalisse. E incominci a pensare che oggi, qualcosa del genere, è folle anche solo pensarlo e andando avanti col ragionamento arrivi perfino a intuire che quell’epoca, rispetto all’oggi, quegli autori, rispetto a chi si muove oggi, furono addirittura fortunati.

Eppure la Rai qualcosa di buono ancora lo fa, magari non lo vedi in onda, magari lo trovi solo di notte a ciclo continuo in quella riserva indiana di biodiversità che è «Fuori Orario», ma almeno online la Rai continua a offrire qualcosa che valga del tempo perso. Perché nei meandri di un archivio digitale facilmente accessibile ma farraginoso da esplorare si rinvengono perle e tesori nascosti che nemmeno lontanamente uno si sarebbe immaginato di poter trovare o ritrovare.

Il nuovo Nota Bene di Rapporto Confidenziale è un piccolo carotaggio del sito Rai.tv compiuto con Franco Maresco e Daniele Ciprì in testa.

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Io sono Tony Scott
Ovvero… come l’Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz

regia di Franco Maresco (128′, 2010)

guarda il film

Franco Maresco ha da poco dato alla luce Belluscone, una storia siciliana un film importante che su «Rapporto Confidenziale» ha acceso un bel dibatto con ben una, due, tre recensioni e un’intervista. Trattasi del secondo film diretto da Maresco dopo la separazione da Daniele Ciprì, il precedente fu il notevolissimo Io sono Tony Scott (correva l’anno 2010), un film dallo sfortunato destino che in pochi hanno visto e che dalla comparsa di Belluscone si palesa con insistenza nelle interviste e nelle recensioni come un buco nero di una galassia lontana. Imprendibile, invisibile, dannato, disperso… La cosa buffa di tutto questo è che in realtà il film è visibile sul sito della Rai, in streaming gratuito, in una qualità non certo eccelsa ma almeno accettabile.

(Auto)citazione (oggettivamente ridondante): «Forse per comprendere Belluscone bisogna volgere il capo a Io sono Tony Scott che, oltre a essere una magistrale opera che si destreggia con sapienza ed eleganza tra materiale d’archivio e interviste nella vita del più grande clarinettista della storia del jazz, è la prima e dannatamente autobiografica regia di Franco Maresco dopo una vita di sodalizio artistico con Daniele Ciprì. Maresco ci racconta cronologicamente la storia di Anthony Joseph Sciacca (1921-2007) ma, già dal titolo, pare suggerirci di considerare quella traiettoria umana – che dai fasti della Golden Age of Jazz confinerà il musicista italo-americano in un’immeritata marginalizzazione imposta e autoimposta dalla realtà italiana e da una qualche forma di sofferenza psichica – la sua stessa medesima. Tony Scott sono io! Nel documentario del 2010, che manco a dirlo ha avuto un travagliatissimo percorso produttivo e distributivo, Maresco è soprattutto affascinato dalla deriva umana e professionale di Tony, il quale, nel volgere di pochi anni dal suo rientro in quella nazione che sentiva come la sua propria di origine e appartenenza, finirà per emarginarsi ed essere marginalizzato dal mondo del jazz. Un isolamento reso possibile dalla totale disattenzione dell’ambiente musicale e di un’Italia priva di istituzioni culturali o anche solo di intelligenze tali da comprendere la reale grandezza del personaggio in questione e della sua arte, ma pure per la sua autodistruttiva natura di clown depresso, pronto a fare tournée con Romano Mussolini nelle peggiori location d’Italia, e via via a rendere sempre più ridicola, insopportabile e surreale la sua presenza su di un palco. C’è dunque in Io sono Tony Scott una doppia e amarissima constatazione: non solo è l’Italia, con il suo mondo di esperti settoriali incapace di riconoscere e tutelare il talento di una carriera grandiosa, ma c’è qualcosa nella natura degli uomini (di alcuni uomini) che conduce all’isolamento perseguito con ostinazione e follia. Chiamiamola depressione, chiamiamola deriva o cafard, nominiamola come meglio crediamo ma c’è, in Io sono Tony Scott e in Belluscone, la tragica constatazione di essere figli di un mondo oramai scomparso, sopravvissuti in un tempo dentro al quale non si ha più alcun appiglio cognitivo e affettivo. L’occhio depresso vede solo un mondo di rovine e rari bagliori provenienti da un passato dal quale non si è più in grado di uscire. Lo sguardo di Maresco si nutre della convinzione d’essere il soldato giapponese Hiroo Onoda al rientro in patria dopo trent’anni vissuti nel più totale isolamento di una sperduta isola delle Filippine, occhio esploso che non è più in grado di trovare nulla, nella realtà che lo circonda, di quel che furono il suo mondo e il suo tempo. Ma la realtà è assai distante da questo convincimento, perché lo sguardo di Maresco è – in tutto e per tutto – lucido sul nostro tempo, sull’oggi, totalmente centrato sulla reale natura delle trasformazioni politiche, sociali e antropologiche in atto nell’Italia contemporanea ed è per questo che il passo indietro (o di lato o sopra o sotto) di Belluscone, la scelta parodistica di negare la forza della propria poetica, di negare lo stesso film che avrebbe potuto essere ma non è stato, provoca un dispiacere così cocente». Da Belluscone, o della postumità contemporanea all’autore.

citti

Pasolini secondo Sergio Citti
regia di Daniele Ciprì e Franco Maresco (23′, 2001)

guarda il documento

Pasolini secondo Segio Citti di Daniele Ciprì e Franco Maresco (2001). Un documento esteticamente scarno che non si limita a raccontare il legame tra Citti e Pasolini, ma che si spalanca su Sergio e il suo cinema, sulla sua personale visione di un linguaggio e una professione sempre in lotta tra capitale e idee e che esplora uno spleen tangibile e concreto su di un’epoca irripetibile durante la quale le vite si impastavano con il linguaggio, con il set e con le idee, un tempo durante il quale con la macchina da presa in mano tutto era possibile, anche l’impossibile. Una lezione di cinema straordinaria di un uomo eccezionale.

«I critici sono dei preservativi che parlano del piacere dell’amplesso».
«Pasolini l’hanno conosciuto i ragazzi come me, di borgata. Pier Paolo nei salotti l’hanno sempre visto come Pasolini, invece i ragazzi come me hanno conosciuto er Pasola».
«Quando qui in Italia si parla di Pasolini io sento che è un fatto morboso, non è un fatto d’amore».
«Nessuno ha mai fatto una cosa veramente giusta per Pier Paolo… Ho visto solo una cosa che non mi ha dato fastidio… Forse l’unica cosa che è stata fatta bene è quella di Nanni Moretti… Caro Diario. C’è quest’uomo che non ha una strada da seguire, non sa dove andare, sente il vuoto della sua vita e senza un motivo si trova di fronte al posto in cui è stato ucciso Pasolini. Quella è una cosa che mi ha commosso».
«Faccio cinema anche per i soldi. Come diceva Fellini: “Il momento più bello del cinema è quello in cui danno un acconto”».
«Dei miei film le cose che mi sono piaciute di più sono gli episodi, uno per uno, di Sogni e bisogni. Sento che sono le cose, non dico che mi piacciono di più, ma sento che sono le cose più mie».
«Sai i più grandi attori quali sono? Sono quelli che quanto tu li incontri e gli dici “senti voglio farti fare questo film…”, loro sono quelli che ti dicono “no, per carità!”. Se ti dice così quello è un grande attore. I grandi attori, i veri attori, non vogliono fare cinema».
«La cosa che amo di più sono i sopralluoghi, perché in base al posto nasce la scena che farai, perché sul posto nascono nuove situazioni. E poi nei sopralluoghi ci sono sempre vicino certe osteriette in cui si mangia da Dio!».
«Pasolini mi portava spesso a vedere dei film al Filmstudio e mi fece vedere L’ultima risata di Murnau, che lui apprezzava molto, e a me piacque. C’è quella sequenza in cui la notte va a rubare con il vestito che gli avevano tolto.. bhé… io c’avevo freddo!».
«Quando vidi Umberto D. dissi “aaaaaaah… ma allora è facile fare il cinema… ne posso fare tanto di cinema”. Vedendo Umberto D. ho visto la semplicità che c’era in quel racconto. Non c’era bisogno di fare tante cose, potevi prendere una persona, metterla lì e fargli fare quello che veramente fa durante il giorno».
«Se Umberto D. non fosse mai stato fatto e vai da un produttore con quella storia quello chiama l’ambulanza e ti fa portare via, ti fanno ricoverare.».
«Le persone non ci stanno più. Siamo un mondo di pubblico ormai».
«Il cinema non è un antidoto contro la morte, ma è ruffiano».
«Scherzando e ridendo si posso dire delle grandi verità. Quindi ci sono delle verità in queste stronzate che dico, sta a voi prenderle».

aproposito

A proposito di Totò
Conversazione con Mario Martone e Enzo Moscato (a proposito del Sud)

di Daniele Ciprì e Franco Maresco (63′, 1996)

guarda la conversazione

Sorta di psicoanalisi di gruppo sollecitata dalla voce off di Maresco e inframezzata da laceranti squarci in bianco e nero di volti arcaici di un’umanità estinta proveniente dal cinema di Ciprì e Maresco. Apocalisse prossima ventura immersa nei barlumi di un ipotetico rinascimento meridionale motivato da magnifiche sorti e progressive. A proposito di Totò anticipa con funesto realismo tutto quello che sarà e siamo, ragiona sul cinema, il teatro e l’arte presagendo il disfacimento antropologico dell’intera nazione. Martone e Moscato interrogati dalla voce Maresco ne amplificano la visione con parole lapidarie che segnalano, ribadendosi, due intelligenze raffinate e complesse e approfondiscono le proprie traiettorie artistiche. La luce di Ciprì taglia i volti, getta ombre fra i pensieri, scava tra i ricordi e la memoria che si fa parola. Il pretesto della conversazione è dato dall’uscita, sempre ritardata, del film Totò che visse due volte (uscirà nel 1998), ultimo incredibile caso di censura preventiva da parte della commissione di revisione cinematografica che ne bloccò la distribuzione e revocò il finanziamento pubblico precedentemente accordato al film. Un documento sull’immutabilità dei discorsi che non invecchia fintantoché nulla cambia.



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