Un gruppo di amici, prevalentemente formato da coppie con i loro bambini, si reca al mare per un paio di giorni di vacanza. Con loro c’è Elly, maestra d’asilo della figlia di Amir e Sepideh, che l’ha invitata con l’esplicito scopo di farle incontrare Ahmed, giunto a Teheran dalla Germania per una vacanza dopo il divorzio dalla moglie tedesca. Elly sembra imbarazzata dalla situazione e quando scompare, forse inghiottita dal mare, forse allontanatasi volontariamente, le dinamiche all’interno del gruppo cambiano lasciando intravedere contrasti dovuto a cultura e religione.
Asghar Farhadi, dopo “Chahar Shanbeh Souri” (“Fireworks Wednesday”) del 2006, torna a usare l’inserimento di un corpo estraneo in una situazione consolidata per mettere a nudo i suoi personaggi attraverso le loro dinamiche. Se nel precedente film il corpo estraneo era rappresentato da una giovane prossima al matrimonio che, per motivi di lavoro, si trovava a stretto contatto con una coppia sul punto di separarsi, qui è sempre una giovane donna a trovarsi al centro della storia, circondata da un gruppo di amici in vacanza al mare per un paio di giorni che di lei ignorano tutto, compreso il cognome. La sua presenza è stata caldeggiata da Sepideh, una delle donne presenti – Elly è la maestra d’asilo di sua figlia – soprattutto perché incontri Ahmed, recentemente divorziato e in Iran in vacanza dalla Germania. Elly appare sin da subito imbarazzata dalle dinamiche gioiose e giocose della combriccola. La sua scomparsa, resa misteriosa da una serie di menzogne da parte della donna che l’ha invitata e dell’uomo che la vuole conoscere, farà esplodere nel gruppo tensioni sino ad allora insospettabili.
Da qui il regista costruisce un vero e proprio giallo la cui tensione – gestita in modo assolutamente superbo, con lo spettatore che viene risucchiato nella storia e costretto a fronteggiare domande precise che riguardano infine la natura umana molto più che l’identità culturale e religiosa – risiede non solo nel tentativo di comprendere l’accaduto ma anche nel comporre i pochi elementi di cui i personaggi dispongono per tentare di ricostruire gli eventi e immaginare il destino della ragazza.
Vera e propria voce fuori dal coro, Elly è una donna che, pur con ritrosia, sta allontanandosi dalle regole imposte dalla società e quando il gruppo se ne renderà conto, man mano che si avvicina a capire quanto le è accaduto, il problema non sarà più quello di ritrovarla – la storia troverà un suo esito in questo senso – bensì quello di scendere a patti con una cultura – una legge, anche – che potrebbe vederli tutti vittime.
Se la prima parte del film è giocata in chiave di commedia generazionale – tutti i personaggi, che peraltro sfuggono a qualsiasi facile catalogazione, sono trentenni o poco più, le donne sono costantemente più forti di quelli maschili, figure invece opache che riprendono ruoli frusti solo una volta che nella vicenda si insinua il dramma – la tragedia che irrompe toglie la maschera non solo ai personaggi che vediamo sullo schermo ma anche allo spettatore, costretto ad abbandonare ogni certezza culturale su ciò cui sta assistendo nel momento in cui nella storia fanno capolino il sospetto, la menzogna, l’incomunicabilità e il senso di colpa.
Come anche in “Chahar Shanbeh Souri”, Farhadi usa una situazione chiusa per allargare il suo sguardo sul suo Paese, la cui condizione è resa esplicita nell’ultima inquadratura.
“About Elly” è un ulteriore, appassionantissimo, esempio di cinema iraniano moderno che non si limita a raccontare il luogo in cui si svolge bensì parla un linguaggio universale.
Roberto Rippa
Orso d’argento a Berlino per il regista.
Darbārehye Elly
(“About Elly”, Iran, 2009)
Regia, sceneggiatura: Asghar Farhadi
Soggetto: Asghar Farhadi, Azad Jafarian
Musiche: Andrea Bauer
Fotografia: Hossein Djafarian
Montaggio: Haydeh Safi-Yari
Interpreti principali: Gosfiteh Farahani, Shahab Hosseini, Taraneh Alidoosti, Merila Zare’i, Mani Haghighi, Peyman Moaadi, Ra’na Azadivar, Ahmed Mehranfar, Safer Abbar
119′
Asghar Farhadi
Asghar Farhadi, 1972, studia a teatro all’università di Teheran e frequenta alcuni corsi presso l’Istituto del giovane cinema iraniano. Realizza alcuni cortometraggi e lavora per la televisione prima di dedicarsi, nel 2002, alla regia del suo primo lungometraggio Raghs dar ghobar, premiato dalla critica all’Asia-Pacific Film Festival per la migliore regia e la migliore sceneggiatura. Segue, nel 2004, Shah-re ziba, presentato a numerosi festival nel mondo e premiato al Warszawski Miedzynarodowy Festiwal Filmowy. Chahar Shanbeh Souri, suo terzo lungometraggio, viene presentato a vari festival nel mondo (compreso il Festival del film di Locarno nel 2006).
In seguito a un discorso da lui pronunciato in favore dell’attrice Gosfiteh Farahani, in esilio in Francia, e dei registi Jafar Panahi e Mohsen Makhmalbaf, il governo iraniano ha bloccato la lavorazione del suo nuovo film “Nader’s Separation From Simin”. La lavorazione ha potuto riprendere dopo che il regista ha parzialmente rinnegato quanto detto scusandosi con Javad Shamaqdari, delegato al cinema del Ministero della cultura.