articolo pubblicato in Rapporto Confidenziale numero35 – Speciale Locarno 64. Pagg. 48-55
Gonçalo Tocha.
Fondatore di NuCiVo (Núcleo de Cinema e Video da Associação de Estudantes da Faculdade de Letras da Universidade de Lisboa – Cine-Club of the Humanities in Lisbon), è stato responsabile tra il 1999 e il 2006 di una grande parte dell’attività: dalla programmazione all’organizzazione di workshop su produzione e realizzazione di video, soprattutto nel campo del reportage (animazione e documentari).
È stato anche organizzatore del workshop sul video documentario “Oficina do Olhar” (2004/2006), membro del cineclub ABC di Lisbona, co-regista di videoclip per la band di Fado Deolinda e membro del progetto “Dostoprimetchajlnosti” nell’ambito del quale ha realizzato il suo primo video “The Politics of Destruction” (Berlino, 2002). Nel 2006 è stato invitato dal festival Mediawave (Gyor, Ungheria) a realizzare il suo secondo video “Bye, Bye My Blackbird”. “Balaou” (Doc, 2007, 77’), omaggio a sua madre scomparsa pochi mesi prima, ha rappresentato il suo debutto nel lungometraggio. Il film ha vinto due premi al festival Indie Lisboa ’07 e ha circolato in molti festival nel mondo (Vancouver Film Festival, Viennale, BAFICI – Buenos Aires, New Zealand). Nel 2008 ha realizzato anche un cortometraggio sul deserto della Mauritania, “The Yellow Fever”, girato in 35mm.
Ha un’attività anche come musicista e DJ. Ha formato numerose band, tra cui il duo Tocha Pestana con il fonico Dídio Pestana. Sotto pseudonimo, ha da tempo un progetto solista come cantante romantico e ha composto musiche per cinema e teatro.
Intervista a Gonçalo Tocha su “É na terra não é na lua”
(“It’s the Earth not the Moon”)
di Roberto Rippa
Roberto Rippa: Hai girato un documentario della durata di tre ore sull’isola di Corvo, in Portogallo, e ci hai lavorato per quattro anni a partire dal 2007 fino a poco tempo fa. Cosa ti ha portato a lavorare ad un progetto tanto particolare?
Gonçalo Tocha: Questo è il mio secondo film. Il primo riguardava sempre le isole delle Azzorre, nove isole nel mezzo dell’Oceano Atlantico. La mia famiglia da parte di mia madre è originaria di lì e quindi le conosco sin da bambino. Le Azzorre sono isole particolari perché hanno una natura molto lussureggiante e vi cresce di tutto. Questo segna profondamente un bambino quando vi si trova, come capitava a me ogni anno per le vacanze. Quando ho iniziato a lavorare al mio primo film, ho visitato i luoghi di origine di mia madre per renderle omaggio, visto che era morta in quello stesso anno. È diventato il luogo simbolo della mia infanzia, mitologico, grazie alle storie che avevo sentito da bambino. Per il mio secondo film avevo il desiderio di spingermi oltre e quindi ho scelto l’isola più distante e più piccola, Corvo, che ha solo 400 abitanti e che è conosciuta da pochi, anche nelle altre isole vicine. Ho voluto andare alla ricerca dell’ignoto, viaggiare nell’ignoto, e fare delle mie scoperte un film.
RR: Nel film copri praticamente ogni aspetto del luogo: dalla storia alle persone, dalla natura alla fauna, non trascurandone gli aspetti misteriosi. Il film è diviso in capitoli. Come hai iniziato a lavorarci, sei andato sull’isola e hai iniziato lì o ti sei documentato prima?
GT: Il lavoro è iniziato un poco prima, quando ho fatto ricerche documentali su Corvo. C’è molto poco di scritto sull’isola e quindi la sua storia è molto difficile da ricostruire. Questo mi ha fatto suonare un campanello nella testa: ho pensato di creare un grande archivio visivo dell’isola. Questo accadeva prima che io ci andassi. Era una grande opportunità per girare un film comprendendo tutti gli aspetti del luogo, perché c’è un solo villaggio e quindi puoi conoscere facilmente tutti e vedere facilmente ogni spazio, riuscendo a filmare tutto il mondo di Corvo. Prova a immaginare di filmare l’Italia, sarebbe impossibile.
Invece puoi filmare un piccolo paese come se fosse una nazione. Mentre stavo filmando, i giorni passavano e andavo sempre più in profondità, il mio desiderio di filmare tutto cresceva. Non avevo idea di quale film io stessi girando, stavo solo creando un grande archivio.
RR: Quali sono state le reazioni degli abitanti quando hai iniziato ad aggirarti per l’isola con la camera? Avevi spiegato loro i tuoi intenti?
GT: No, non avevo spiegato nulla. Sono arrivato direttamente con la camera e Didio con il microfono e immediatamente eravamo per tutti il cameraman e il fonico. Ci chiamavano così. Nel corso delle riprese sono stati costantemente sospettosi su quanto stavamo facendo. Questo perché si tratta di una comunità che si protegge molto. È normale, è una piccola comunità. E poi non avevano bisogno delle immagini che io stavo realizzando per il film, ed erano timorosi per l’utilizzo che avrei potuto farne. La televisione, negli ultimi anni, si è recata più volte a Corvo per mostrarlo come il luogo più povero e ovviamente questo a loro non piace. Inizialmente ci devono avere percepiti come un pericolo. Ciò che abbiamo fatto è stato abitare a Corvo, dormire lì, vivere come se ne fossimo stati abitanti, cercando di conquistare la loro fiducia. Per ottenere questo, devi viverci almeno due anni.
RR: Quindi siete rimasti per due anni?
GT: Non di seguito, no. Ho viaggiato avanti e indietro perché è anche importante farvi ritorno, non sono abituati a vedere la gente tornare così spesso.
RR: Alla presentazione del film hai spiegato che effettivamente i visitatori trascorrono sull’isola al massimo due ore.
GT: I visitatori vi trascorrono abitualmente due ore e mezza perché giungono da un’isola più grande che si trova proprio di fronte e quindi da là prendono una barca per Corvo. Ci stanno solo due ore e mezza al massimo perché poi c’è la barca che riparte. Questo è il turismo di Corvo. Quello sulla durata è uno scherzo, perché abbiamo girato talmente tanto con il desiderio di fare un film enorme che si potesse vedere come un archivio, quindi due ore e mezza o tre sono il tempo giusto per il film. Certo, ha un ritmo altalenante ma anche la vita è così.
RR: Hai prodotto autonomamente il film?
GT: Si, completamente.
RR: Cosa succederà ora a livello distributivo? Lo chiedo perché ha una durata inusuale.
GT: Non lo so, l’ho appena finito ed è tutto molto nuovo per me. Talvolta pensavo che non lo avrei mai terminato. Poi ho avuto un forte incentivo nel finirlo per portarlo a Locarno in tempo, un modo stupendo per iniziare. Non ho davvero pensato al futuro che potrebbe avere il film, anche se un anno fa ho avuto degli incontri con la televisione portoghese, che era interessata al progetto. Poi però hanno iniziato a parlarne come di una possibile serie – perché il film può essere visto come una serie – ma per me è diventato impossibile farne una serie perché non c’entra con la sensazione che ricavi dal vedere il film in tre ore di seguito. So che il film può stancare, è successo anche qui, ma penso che se rimani fino alla fine avrai una scossa dall’isola. Forse non ho voglia di farne una serie.
RR: Sono d’accordo. Il film cattura dall’inizio alla fine e la sala è il suo luogo giusto.
GT: Ora non so se farò una seconda versione del film perché puoi immaginare quanto materiale ho avuto tra cui scegliere. Però continuerò con i festival per vedere cosa accadrà. Prima però dovrò mostrare il film alla gente di Corvo. Non ne ho ancora avuto il tempo perché ho finito il film due settimane fa e l’ho portato qui in prima mondiale. Magari loro potranno suggerire cosa fare, magari saranno loro a cambiare il film, sono aperto a questa possibilità. Il film è anche loro.
RR: Ho notato che nei titoli compaiono i nomi di due montatori ma non il tuo. Hai partecipato comunque?
GT: No, sono tre. Due più io.
RR: È stato difficile scegliere cosa tenere e cosa eliminare?
GT: Ho 180 ore di girato, le possibilità erano enormi. Questo è il film, può essere qualsiasi cosa, può diventare qualsiasi cosa perché l’ho lasciato aperto. Abbiamo raccolto molto materiale, ma l’unica costante dall’inizio alla fine è la presenza mia e di Didio che tentiamo di girare un film sull’isola. Il film stesso mostra il processo nel girarlo. Questo è il film e può contenere tanti materiali diversi. La selezione non è stata difficile, è stato come mettere insieme i tasselli di un puzzle. Difficili sono stati l’inizio e la fine. Il resto no, il materiale parla da solo.
RR: Questa tua fascinazione per le isole, per quei luoghi, ti porterà verso un altro progetto di questo genere?
GT: Forse, anche se sento questo come la mia Monument Valley.
RR: Avendolo prodotto autonomamente, ti occuperai anche della distribuzione?
GT: Si, curo ogni aspetto perché per me fare cinema non è un lavoro, è davvero una parte della mia vita. E ha cambiato la mia vita. Quindi sì, devo occuparmi di ogni aspetto e mi piace farlo.
RR: Se il cinema fa parte della tua vita e non è un lavoro, come hai iniziato?
GT: Ho iniziato una decina di anni fa organizzando cineclub e guardando, guardando e ancora guardando. Il tutto ha poi avuto un inizio concreto nel 2005, quando ho iniziato a girare il mio primo film. Quando mia madre è morta e io sono tornato nelle Azzorre con una videocamera e un microfono, da solo, senza l’idea di girare un film ma con quella di elaborare il lutto con una camera. Poi ho iniziato a girare e questo ha cambiato completamente la mia vita. Era il 2005 e negli ultimi sei anni ho lavorato unicamente al progetto per due film e la mia vita è questi due film. Questo ha cambiato tutto. Ora, come dicevo, ho finito questo e non so se girerò altro. Non ne sono certo. Avendo appena terminato questo, mi pare inevitabile non saperlo.
Non è necessario farlo. Non essendo un lavoro, non è necessario che giri un altro film. Magari succederà, magari no.
Locarno, 12 agosto 2011
Video
Intervista: RR / Rapporto Confidenziale
Realizzazione: Emanuele Dainotti
con Stefano Scagliarini e Giulio Tonincelli
Post-produzione: Alessandro G. Capuzzi e Emanuele Dainotti
Produzione: Sette Secondi Circa (www.settesecondicirca.com)
Musica: Digital Primitives (Brano: “Bones”. Album: “Digital Primitives”)
CC BY-NC-ND 3.0
Foto: Giulio Tonincelli
Leggi l’articolo su “É na terra não é na lua” (“It’s the Earth not the Moon”) da RC