Il 2011 va in archivio. È stato un anno complicato e triste sotto molti punti di vista. Noi abbiamo il cinema come medicina, come cura alle sofferenze della Vita e della Storia. Quest’anno abbiamo voluto giocare con la nostra redazione, con le persone che nell’ultimo anno hanno scritto per Rapporto Confidenziale e con una serie di amici, collaboratori e personalità che hanno accettato l’ingrato compito di stilare un elenco dei 5 migliori film usciti, o visti per la prima volta, nell’anno solare 2011. Ne è uscito un elenco corposo ed originale che vogliamo condividere con i nostri lettori, con il fine di fornire qualche consiglio per la visione che possa rischiarare il 2012. Alla faccia di ogni profezia catastrofica.
Roberto Rippa co-direttore & co-fondatore di RC
É na terra não é na lua (It’s the Earth not the Moon) di Gonçalo Tocha (Portogallo/2011) Un progetto ambizioso, per non dire folle (almeno sulla carta), quello di raccontare per immagini la storia di una quasi totalmente sconosciuta isola dell’arcipelago delle Azzorre e la vita della gente che la abita, reso possibile dalla libertà e originalità espressiva e narrativa (nonché dall’ironia e la profondità) del suo autore che lo trasforma in un poema quasi epico sempre appassionante. |
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Jodaeiye Nader az Simin (A Separation) di Asghar Farhadi (Iran/2011) Moltissimi lo definiscono il capolavoro del regista iraniano, mentre a mio parere rappresenta più semplicemente la degna evoluzione dai suoi due film precedenti (gli unici che io abbia visto): Chahar Shanbeh Souri (Fireworks Wednesday) del 2006 e Darbārehye Elly (About Elly) del 2009. Farhadi è un Maestro nel concentrare la sua attenzione su un microcosmo (una famiglia, una coppia, un gruppo di amici) per raccontare in controluce, sempre minuziosamente ed efficacemente, la società in cui sono immersi. |
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Weekend di Andrew Haigh (UK/2011) Un film raro che narra una storia d’amore che non conosce un momento di artificiosità. |
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Tayeb, Khalas, Yalla (Ok, Enough, Goodbye) di Rania Attieh e Daniel Garcia (Emirati arabi-Libano/2011) Ironia e mano sicura per due giovani registi che, nell’impossibilità di realizzare il loro film con mezzi quantomeno degni, lo girano completamente da soli coinvolgendo parenti e amici come attori. Uno spaccato di vita spesso esilarante ma mai meno che drammatico scritto e diretto con rara maestria. |
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Black Moon di Louis Malle (Francia-Germania Ovest/1975) Opera controversa (e non troppo amata, a quanto pare) di uno tra i registi francesi più moderni, talvolta bistrattato forse per il suo eclettismo. Sullo sfondo una guerra in corso che vede contrapposti uomini e donne, una ragazza trova rifugio in un luogo segreto in cui vive una curiosa famiglia composta da un’anziana donna che comunica con l’esterno attraverso una radio dal letto che non abbandona mai, due fratelli incestuosi (lui è Joe Dallessandro) e un manipolo di bambini. Intorno, molti animali tra cui un unicorno. Immagini di Sven Nykvist, uno tra i più grandi direttori della fotografia nella storia del cinema, per un’opera visivamente (e narrativamente) ardita vista colpevolmente per la prima volta nel 2011. |
La mia totale incapacità di sintesi mi impone di allungare il mio elenco con altri titoli e due corti.
Babyland di Marc Fratello (USA/2011, cortometraggio): una storia scritta benissimo in ogni suo snodo, drammatica al limite del devastante ma densa di un’ironia che funge da catalizzatore per il suo realismo, e un’interprete grandiosa per un film di diploma che mette in luce il talento non comune di un autore di cui, non ho il benché minimo dubbio, si risentirà parlare presto.
Bora Bora di Bogdan Mirica (Romania/2011, cortometraggio): opera prima che racconta una situazione drammatica, per non dire angosciante, attraverso un’ironia che la rende ancora più credibile e profonda. Un corto che racconta la vita così com’è non negandone il lato grottesco, concedendosi persino una complessa conclusione da comica classica. Ottimo.
I Think We’re Alone Now di Sean Donnelly (USA/2008): Sean Donnelly entra nelle vite di due estimatori (oltre il limite della persecuzione) della cantante già caduco idolo dei teen americani Tiffany, che ha conosciuto un brevissimo momento di gloria negli anni’90. Jeff è un uomo di 50 anni sofferente della Sindrome di Asperger. Convinto di intrattenere una relazione telepatica con la cantante, Jeff trascorre le sue giornate per le strade di Santa Cruz, California, alla ricerca di persone che lo ascoltino per qualche minuto. Kelly, che si autodefinisce un’ermafrodita all’inizio del suo percorso transessuale, afferma che Tiffany le avrebbe salvato la vita mentre si trovava in coma in seguito a un incidente e che il futuro le vedrà vivere insieme. Il documentario rappresenta il ritratto rispettoso e denso di umanità di due persone perse nella loro solitudine ed è anche una rappresentazione ispirata della società statunitense in un’opera che ricorda alcuni classici del cinema verità americano.
Shame di Steve McQueen (UK/2011): secondo titolo per il regista e videoartista inglese dopo il bellissimo Hunger del 2008. Cambiano l’ambientazione e i personaggi ma il tema sembra fondamentalmente lo stesso: l’isolamento. Se nel precedente si parlava di un carcerato, il protagonista di Shame si trova in una tra le città più affollate al mondo: New York. Ma non cambia nulla, l’isolamento rimane lo stesso. McQueen impone alla storia cambiamenti radicali nel ritmo per mettere in maggiore evidenza gli stati d’animo del suo protagonista e impone ancora una volta uno stile estremamente personale. Se si pensava che la bravura di Michael Fassbender non potesse più riservare sorprese, è bene sapere che ci stavamo sbagliando di grosso. Di Carey Mulligan si può dire che qui trova il ruolo che ad oggi le ha permesso di mettere in maggior luce le sue capacità, che non sono poche. Duro, crudo, coraggioso nel linguaggio (anche cinematografico) e denso di umanità, Shame è un film che non mancherà di far discutere. Alcuni critici italiani lo hanno definito un’opera moralistica. È una cazzata, va detto. Proprio con questa parola.
Menzione speciale a: Westler di Wieland Speck (Germania Ovest/1985): Uno tra i tanti film scoperti grazie a RC, nella fattispecie grazie a Simone Buttazzi.
Dei titoli selezionati da Roberto Rippa fra il meglio del 2011, su RC puoi trovare:
▪ "É na terra não é na lua" di Gonçalo Tocha – recensione a cura di Roberto Rippa
▪ Intervista a Gonçalo Tocha – a cura di Rapporto Confidenziale (ialiano+english)
▪ "Tayeb, Khalas, Yalla" di di Rania Attieh e Daniel Garcia – recensione a cura di Roberto Rippa
▪ "Jodaeiye Nader az Simin" di Asghar Farhadi – recensione a cura di Roberto Rippa
▪ "Chahar Shanbeh Souri" di Asghar Farhadi – recensione a cura di Roberto Rippa
▪ "Darbārehye Elly" di Asghar Farhadi – recensione a cura di Roberto Rippa
▪ Intervista a Asghar Farhadi – a cura di Rapporto Confidenziale (video)
▪ "I Think We’re Alone Now" di Sean Donnelly – recensione a cura di Roberto Rippa
▪ Intervista a Sean Donnelly – a cura di Roberto Rippa (english+italiano)
▪ "Westler" di Wieland Speck – recensione a cura di Simone Buttazzi
▪ "Babyland" di Marc Fratello – recensione a cura di AG+RR
▪ Intervista a Marc Fratello – a cura di Roberto Rippa (english+italiano)
▪ "Bora Bora" di Bogdan Mirica – recensione a cura di Roberto Rippa
▪ Intervista a Bogdan Mirica – a cura di Roberto Rippa (english+italiano)
cover image: Weekend di Andrew Haigh (UK/2011)