Il Piccolo Manucinema di Tuia Cherici

Tuia Chierici e Eugenio Sanna, 5 marzo 2009, Studio 149,  Cascina (Pisa). Foto: Lorena Sireno

Tuia Cherici e Eugenio Sanna, 5 marzo 2009, Studio 149, Cascina (Pisa). Foto: Lorena Sireno

In una Cascina vicino Firenze esiste l’Atelier del Cinemanufatto

Esiste a Pontassieve, un comune vicino le colline etrusche di Fiesole, una casa-laboratorio nella quale una giovane fiorentina, musicista e cineasta d’avanguardia, in  pochissimi anni ha realizzato una moltitudine di filmati sperimentali a tecnica mista ricchi di ingegno e innovazione, prendendo parte, fra l’altro, ad un lungometraggio a pupazzi animati intitolato Gramma.
Il suo nome è “Tuia Cherici” e si definisce autodidatta, quando il suo cinema racchiude tutte le esperienze cinepittoriche che vanno da Veronesi a Munari a Luca Maria Patella, fino ai successivi film sperimentali di Grifi e Baruchello; con un tocco ancestrale che richiama le esperienze delle avanguardie europee, fino al cinema cecoslovacco di Karel Zeman e di Jiri Trnka.
Le tecniche che hanno fatto da ispirazione ai film della Cherici sono state in qualche modo riaggiornate e perfino migliorate – mantenendo integri il fascino e il linguaggio cinematografico – attraverso una semplice videocamera minidv.
Nei siti che la riguardano, così il suo modo esperenziale viene definito: (CORSIVO) «Manucinema è un neologismo ricavato dall’idea di cine-manufatto: qualcosa di impastato con le mani ed esposto alla lente di una videocamera.
Un metodo versatile, economico ed essenzialmente empirico per esplorare la vita, i suoi fenomeni, i materiali che offre, ed i fatti che la rendono stupefacente.
Le tecniche utilizzate spaziano tra animazione a passo uno, collages, sculture mobili, prese dirette di fenomeni, azioni su liquidi, luci, solidi, e corpi vivi. Le immagini vengono assemblate senza ulteriori elaborazioni effettistiche, mantenendo la freschezza ed il valore conoscitivo dell’esperienza diretta.
Il Manucinema è il tessuto simbolico e immaginifico che dà vita ad un evento di musica istantanea ed irripetibile, in cui ancora una volta l’improvvisazione e la sperimentazione diretta costituiscono le regole principali del gioco».
Del tutto autodidatta, nel 1999 Cherici acquisisce i primi elementi di scenotecnica e macchinistica lavorando con una compagnia teatrale d’avanguardia, la Societas Raffaello Sanzio di Cesena, sviluppando in seguito una personale tecnica di animazione di ombre e oggetti ispirata ai film dei Fratelli Quay, Jan Swankmajer, Guy Maddin, ad alcune sperimentazioni di Alberto Grifi, lavorando per lo più da sola, con mezzi di recupero, in una casa in campagna.
Il suo Manucinema, per quanto abbia un fascino arcaico che rievoca nientemeno gli albori del cinema da Méliès ai fratelli Lumière con semplici ma efficaci trucchi cinematografici, trova la sua modernizzazione passando per il cinema sperimentale degli anni ’60-80, attraverso nuove possibilità espressive adattate al linguaggio della regia cinematografica, sempre condiviso da giochi tonali e spesso rosati con eloquenti vedute prospettiche, arricchito da effetti anamorfici comprendenti biglie e sfere di vetro (vedansi i film sperimentali della Corona Cinematografica firmati da Luca Patella, quali Vedo, Vado!), terriccio, pennelli e cacciaviti, interventi diretti su pellicola, fantocci animati che rievocano la scuola sovietica, animazione a carta ritagliata che trae ispirazione dai maestri cecoslovacchi, corroborato dall’alternanza fra scene dal vero con elementi animati a scatto singolo, con notevole maturità registica nei campi visivi cinematografici.
In esso vi è un formidabile rapporto fra cinema e musica; lei stessa è un’appassionata musicista, specificamente di clarinetto, e ci tiene, se possibile, durante le esibizioni a musicare dal vivo ed in diretta le proiezioni dei suoi film animati.
Così, l’autrice fiorentina, descrive il suo personalissimo concetto del cinema d’animazione sperimentale: «Il Manucinema  si propone come metodo economico, autonomo, istantaneo  di osservazione e composizione creativa,  esercitabile in qualsiasi contesto,  purché vi siano fonti di luce,  ed una telecamera. Il fascino e le potenzialità illusionistiche del cinema vengono ricercate direttamente nei fenomeni offerti dal reale, ed è necessaria, quindi, una facile suggestionabilità e uno stupore nei confronti della vita e suoi fenomeni. La definizione dell’immagine, il suo trattamento e formato, sono assolutamente secondari rispetto al percorso diretto esperito girando il film;  le immagini vengono assemblate per lo più cercando di trattenere la loro autenticità originaria, costruendo un senso narrativo e cronologico che illustri più chiaramente possibile le intenzioni/impressioni emerse nel lavoro. Non sempre i risultati sono spettacolari,  ma ci si fabbrica via via una conoscenza ed una tecnologia espressiva raffinabile all’infinito, e questo è l’importante. Questo metodo si presta a sperimentazioni di gruppo,  workshops,  in cui si esplorano prevalentemente le qualità plastiche e compositive dei materiali, a servizio di un cinema del tutto personalizzato sulla misura dei propri mezzi» (1).

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Il Manucinema. I titoli di presentazione dei cinemanufatti si aprono con un’idea semplicissima quanto efficace: su fondo giallo una scimmia, ricavata da stampe in bianco e nero con arti ritagliati e mossi sotto la m.d.p., via via si trasforma, antropomorfizzandosi dal busto in su, mantenendo durante le metamorfosi ancora le gambe umanoidi attraverso diversi formati e stampe dal chiaroscuro incrociato e ottocentesco, facendo da cornice introduttiva: un riferimento evoluzionistico darwiniano, con musica e “stacchi” d’inquadrature sempre più incalzanti e serrati.

Morphine Blues (2008), ambientato all’interno del suo studio laboratorio, con dominanze di colori seppia e bleau, è simboleggiante di figure dell’immaginario collettivo: la statua della Madonna di Fatima e lo straziante grido di Eva del Masaccio. Intrecciando il feeling che si crea tra il filmato e lo spettatore sul rapporto fra la “vecchia” e la “nuova” Eva: la prima, progenitrice dell’umanità peccatrice, e la seconda, senza macchia, salvatrice di un’umanità redenta. Il tutto con notevoli e calibrati effetti sperimentali, quali, ad esempio, la biglia anamorfoide che “vede” l’interno della scena, corroborata da notevoli e numerosi effetti a scatto singolo, come i guanti che muovendosi, quasi sulle dita, risalgono la fune orizzontale, nonché la figurina alata che sale fino al soffitto, con originali stacchi cinematografici e vedute trasversali espressi attraverso gusto eclettico e vagamente retrò, assortiti al ritmo combinato di elementi jazz e blues della nota performer americana Jolie Holland.

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Iconografia della Luna – Storia di un immaginario collettivo (2008), è un altro interessante lavoro che assembla tecniche sperimentali all’animazione tradizionale. Notevole la parte introduttiva nella quale su un pianale in vetro – che viene in qualche modo pulito su fondo illuminato fra giochi di luce e penombra piena – vengono gettati chiodi, sassi e terricci, quando una mano scopre l’immagine di Galileo Galilei (con altri eloquenti elementi dell’osservazione scientifica come il compasso, il microscopio, ecc.), e diverse carte del ‘500 che rappresentano nell’immaginario collettivo le idee sui pianeti e sulla luna, dagli Egizi ai Greci. Il filmato prosegue con semplici ritagli a découpage nella scena spaziale, dove appare inizialmente un’animazione “piatta” e semplicemente spostata, divenendo man mano una piccola astronave tridimensionale – ricavata da un’immagine in semicerchio in creta – (l’astronave è ripresa da un’immagine di una Fiat Ape); come, da piatti a volumetrici diventano i pianeti tridimensionali, con effetti spesso flou nella roteazione, mentre si vede atterrare il primo astronauta che impianta sul suolo lunare la bandiera USA (una protesta impegnata verso un pianeta “straniero” diventata un’altra “colonia” del capitalismo?), a cui si aggiunge in seguito Laika, la cagnetta russa lanciata dai sovietici sulla Luna nel 1957, con tanto di bandiera (che si muove davvero) con la falce e il martello! Un po’ rievocante, il tutto, quella pulizia romantica di Saint-Exupery che permeava ne Il Piccolo Principe. Come anche molte immagini degli anni ’60 dei primi sbarchi lunari, animate e perfino tridimensionalizzate con foto, oggetti, e diversi montaggi assemblati nel movimento effettivo, attraverso l’allontanamento in carrello, portando il filmato ad una mutante metamorfosi animata ottenuta dai continui cambi di tecnica. Interessante quando l’astronauta, con cambi e deformazioni prospettiche in movimento, scarta una classica mezza luna ritagliata, la quale, a propria volta, estrae una bottiglietta di Coca-Cola, tipico segno dell’espansione “oltre frontiera” del consumismo più sfrenato.

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Tin Tin (2006-2008), ancora in fase di confezionatura definitiva, è un film dalle atmosfere garbate e perfino nostalgiche, il quale rievoca il candore e le paure della primissima infanzia misti a quel pizzico di magia infantile, col protagonista che dorme, mentre l’altra, sognando, interagisce con l’animo del fantoccio. Interessante è quando al protagonista fuoriesce, a scatto singolo, un interminabile spartito musicale; come anche assai efficaci, sempre riguardo la simbiosi fra le due statuine animate, le vedute prospettiche dei due cucchiai sul lavello marmoreo mentre scorrono due diversi e paralleli getti d’acqua.

Evocazione (2008), è una rielaborazione garbata e quasi onirica, attraverso il ritaglio di vecchie foto d’epoca tagliate in scala e anamorfizzate, sul rapporto fra l’autrice e la zia.

Non mancano filmati più prettamente sperimentali quali, ad esempio, (BOLD) Schermo a cristiani liquidi (2008), più di una sperimentazione, un’esplorazione musicale e visiva la quale si avvale di rumori secchi misti a musica d’improvvisazione realizzata da Edoardo Ricci, con clarinetto, sassofono e trombone, attraverso le deformazioni e i giochi ottici di volti ripresi davanti ad una bacinella trasparente ripiena d’acqua; filmato che rievoca certe sperimentazioni anni ’70, partite nel decennio precedente da quelle realizzate da Bruno Munari e Marcello Piccardo a Monte Olimpino riguardanti lo studio estetico della vita quotidiana; (BOLD) Ritmi di Milo (2008), basato sul movimento ritmico delle mani del fratello della regista toscana ripreso durante il ritmo continuo di un viaggio in treno.

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La Cherici la troviamo anche in diversi filmati del (BOLD) Manucinema-Live (2008), nella quale l’eclettica regista-artista mostra l’esecuzione di un cinemanufatto estemporaneo direttamente in sala, sonorizzandolo in “presa diretta” attraverso gli incalzanti suoni (CORSIVO) live del clarinetto.

La vita (2008), dove si vede un insetto lungo uno striscione che recita: «I film sono una cosa e la vita un’altra cosa, entrambi esistono», evidenzia in esso le difficoltà a vivere e a muoversi di un mondo minuto e millesimale, come per la formica, lo scarabeo o la libellula col suo interessante battito d’ali, sia dal punto di vista naturalista che prettamente artistico e cinematografico; il tutto con una musica ritmica e continua, che segue ossessivamente i movimenti degli insetti, dell’acclamato pianista americano Thollem McDonas.

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L’ultimo lavoro in animazione della Cherici è il più impegnativo Italia 2008, un film di protesta su una cultura demagogica italiana che tende comunque e in ogni ambito ad un capitalismo sfacciato ed egemone che conduce inevitabilmente all’intolleranza verso i diritti umani e alla depressione culturale; situazione che, in questo ultimo decennio soprattutto, ha trovato terreno fertile sia nel Centro Sinistra che nelle attuali Destre: brano iniziale fatto a ritagli, con un Romano Prodi e un Cofferati che sbandierano i “nuovi” valori di legalità e sicurezza, con le relative leggi nel campo del lavoro, dell’immigrazione, della pubblica istruzione, preparando, di fatto, il terreno ad una vecchia cultura di repressione, travestita di nuovo; personaggi i quali si muovono sul mezzo di comunicazione di massa per eccellenza: una TV, in stile anni ’70, di fattura volutamente rozza e naïve, con diverse animazioni prodotte dall’uso del collage e della carta assemblata a foto ritagliate.

Riguardo alla sequenza all’interno del film, la Cherici così mi ha commentato: «In sostanza nel film, non vi è un attacco ad un particolare schieramento, ma ad un pensiero ed una cultura che l’Italia non è riuscita a debellare, e che ora ci stringe come una morsa, fatta di violenza, razzismo, ignoranza, tabù, corruzione e, soprattutto, paura.
Le idee propagate dalla Chiesa, in accordo con quelle veicolate dalla tivù, sono piuttosto opprimenti soprattutto per le donne. […] La storia del tampax è nata nel periodo in cui giravano i libretti di Giuliano Ferrara contro l’aborto, il Papa non perdeva occasione per rimettere in discussione il buon vecchio concetto della famiglia, Family Day, donne che non potevano più abortire perché i medici facevano obiezione ovunque… ti ricordi?
L’unico sangue da spargere contro il Papa, ho pensato, è un sano, naturale, femminile, innocuo e risaputo sangue mestruale. […] E’ che io sono una donna, gli assorbenti li uso tutti i mesi, ed assomigliano a piccoli razzi, e quindi, perché non usarli come mini-siluri?
Certo, siccome siamo, dei due generi, quello più sfigato e represso, penso  che le più legittimate ad organizzarsi contro questa cultura dell’odio gretto saremmo noi donne. Invece vedo che le più colpite e dissenzienti si suicidano perché in sovrappeso, o incinte e cattoliche, o, semplicemente, depresse e alcoliste» (“2).

Commisto a una parte dal vero dove si vede una donna indossante una stranissima maschera in cartapesta col naso a proboscide, all’interno del lungo filmato compare la stranissima sequenza Criminal Tampax, che ripropone in modo crudo e dissacrante l’egemonia del potere, dell’uomo sulla donna, del Capitalismo di Stato e di una Chiesa egemone, nel quale si vede un impressionante Papa Ratzinger all’interno dei palazzi apostolici fra foto ritagliate, statuine animate ed interventi di cinepittura i quali interagiscono fra loro, mentre lo troviamo letteralmente a mozzare la testa di un bimbo e a cucinarli in un pentolone (in realtà un bricchetto con le bolle vere, usando del semplice detersivo in presa diretta). L’idea di una privatissima sala ratzingeriana è ben rappresentata, come anche il Palazzo è ben ricostruito, classico e sontuoso, quasi  demodé, dove compare, di quinta, la Cappella degli Scrovegni e vari affreschi di Giotto, conditi con gusto kitsch nell’assemblare vari dipinti corografici, mobilio di lusso e qualche foto d’epoca in sfarzose e ottocentesche cornici.

Fra immagini reali (c’è la stessa regista), la quale, con un arto finto a pupazzi animati, si estrae letteralmente un assorbente che va a trafiggere il capo del pontefice tedesco, dapprima ricavato da una semplice foto a montaggio, poi tridimensionalizzato in polistirene… Assorbente che arriva a disintegrarsi sulla lastra di vetro raffigurante il Duce con tanto di elmetto.

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Ma facciamo di qualche anno un passo indietro: la Cherici è stata la prima co-autrice di un film a lungometraggio animato.

Gramma (2005), realizzato in collaborazione al francese Gregory Petitqueux, oggi distribuito in Italia dalla Malastrada Film, è un lungometraggio a pupazzi animati di altissima qualità, che rievoca molto la raffinatezza, diremo quasi pittorica del cinema di animazione della scuola cecoslovacca  (Jiri Trnka, Karel Zeman, Jan Swankmejer, ecc.).

Così ha spiegato Tuia riguardo la conoscenza con Gregory Petitqueux: «Ci siamo conosciuti nel 99, Gregory si era trasferito vicino a casa mia. Condividendo molte inclinazioni creative, ci siamo trovati a sognare di poter costruire qualcosa insieme che sintetizzasse il nostro pensiero ed anche un certo desiderio estetico-creativo, formato attraverso il teatro sperimentale, la musica di ricerca, alcuni studi antropologici e linguistici, un gusto iconografico molto simile. Influenzati dai film di Swankmejer e dei Quay Brothers abbiamo fatto alcuni rozzi esperimenti di cinema a passo uno, e, afferrata la tecnica in modo molto rudimentale, abbiam pensato bene di utilizzarla per creare l’universo gigantesco di Gramma, parabola filosofica sul mondo e le idee. Non ci rendevamo conto di inerpicarci in una impresa colossale composta di migliaia e migliaia di ore, anni, pazienza, intoppi tecnici, dispendio economico, duro lavoro!».

Sulla lavorazione, sempre la Cherici ha ricordato: «Abbiamo inventato, costruito, diretto e animato Gramma in piena compartecipazione, alternanza di ruoli, e condivisione per i primi  due/tre anni.

Ricordo che la notte lavoravo in ospedale con i malati terminali, turni di 12 ore, e di giorno a Gramma. Molti disegni e idee sono nati al capezzale di pazienti inermi, di notte. Ci siamo ricavati da una cantina dismessa una sorta di antro/set cinematografico per i primi tempi, poi abbiamo lavorato qui a casa.

Non potendo reggere il ritmo e l’impegno serrato di questo lavoro, e venendo meno, anche, la sintonia d’intenti, filosofia e amicizia, che ci univa in principio,  sono uscita progressivamente dal progetto».

Ambientato nel West, lo troviamo caratterizzato dall’ottima animazione e regia, coi vari campi di ripresa prospettici e cinematografici, come eccellente è la fotografia e la disposizione delle luci. Per realizzarlo ci sono voluti diversi anni, in Francia ha trovato delle difficoltà per la distribuzione mentre in Italia, è attualmente distribuito da Malastrada Film.

Auguri, Tuia Cherici!

Mario Verger

Intervista di Mario Verger a Tuia Cherici

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Tuia Cherici. Artista versatile, fuori da ogni coro. Come hai scoperto il mondo dell’animazione sperimentale?

Mi sono sempre divertita a manipolare e inventare forme o storie  con i materiali che mi capitavano: dai mangianastri ai colori, dal legno alla plastica, e via così. M’impressionavano molto i teatrini, le marionette, le maschere e la possibilità di creare dei micromondi a statuto proprio grazie all’immaginazione e alla decontestualizzazione di oggetti e materiali: una bottiglia di 30 cm può produrre un’ombra di  gigantesche dimensioni minacciosa quanto una ciminiera, un piccolo arbusto isolato dal contesto può assumere l’imponenza realistica di un albero, con tutto quel che filosoficamente e poeticamente ne consegue.
La cineanimazione permette di creare una suggestione in movimento a più dimensioni con pochissimo dispendio di energie, spazio e finanze, le possibilità sono inesauribili e del tutto adattabili al proprio contesto, le sue leggi formali, drammaturgiche, estetiche sono molto elastiche e totalmente controllabili in ogni fase del percorso.

I tuoi filmati, per quanto realizzati a tecnica mista coi relativi tempi tecnici realizzativi, possiedono un ché di fresco, arioso, quasi estemporaneo. Quali sono le tecniche che usi in particolar modo e con cosa giri (telecamera, pellicola, ecc)?

Utilizzo una videocamera minidv ormai un po’ vecchiotta di media qualità. In realtà m’interessa poco la definizione dell’immagine, purché sia sufficientemente intelligibile. Il linguaggio cinematografico di quello che produco nasce in funzione e nei limiti degli strumenti che ho a disposizione e dalle circostanze. Non utilizzo quindi software di effettistica, non ritocco né abbellisco i montaggi in funzione di un’aspettativa registica. Trovo molto più emozionante lasciarmi sorprendere dai risultati inaspettati, lavorare con il corpo e lo spazio piuttosto che davanti al computer, studiare i comportamenti e le bizzarrie dei materiali e dei fenomeni che ho attorno, piuttosto che costringere le cose a “recitare” un film premeditato. M’interessa soprattutto, attraverso la videocamera, poter documentare un percorso conoscitivo, mio, o di più persone, fatto di esperimenti.
La videocamera serve in ogni caso per sintetizzare un’indagine. I dvd che produco si deterioreranno presto, così come le codifiche di lettura delle minidv, quel che rimarrà  sarà il mio bagaglio manuale, espressivo e di conoscenza, e quello è affinabile all’infinito.
Se la videocamera mi serve per osservare il mondo la utilizzo in presa diretta. Se invece devo  creare un mondo di sana pianta può essere più comodo riprendere fotogramma per fotogramma.

Quali sono gli artisti del cinema sperimentale che stimi di più?

Premetto che non sono un’appassionata di cinema, né una profonda conoscitrice. Attingo ispirazione molto più facilmente dalla musica…
Mi ha molto impressionato il lavoro, le idee e la vita di Alberto Grifi, come è riuscito a sviluppare uno strumento conoscitivo per cambiare la vita e l’ambiente che aveva attorno, senza mai lasciarsi intrappolare da pregiudizi estetici, formali, tecnici, mettendo al primo posto sempre e comunque le persone ed i fatti vissuti affinché il fine non dovesse mai giustificare i mezzi… Pur indagando sui mezzi e gli strumenti fin nell’intimo meccanico, ed evolvendoli significativamente!
Naturalmente mi ha affascinato molto il cinema di animazione, della scuola cecoslovacca  (Jiri Trnka, Karel Zeman, Jan Swankmejer, ecc.).
Ultimamente sono riuscita a vedere “Il pianeta azzurro” di Franco Piavoli, prodotto nei fine anni 70 da Silvano Agosti, ed alcuni film di Agosti stesso, che mi hanno molto colpito.
Su blublu.org c’è un bel film che si chiama “Muto” prodotto da Blu di recente. Mi piacciono le cose che presuppongono molta improvvisazione, pochi sprechi energetici, molta messa in gioco personale.

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Spiegaci un po’ la tecnica per le tue interessantissime distorsioni ottiche animate…

…E’ presto detto. Basta guardare attraverso tutti gli oggetti che capitano a tiro, e via via affinare il proprio controllo espressivo sugli strumenti che ci affascinano di più: lenti, cocci di vetro, plastiche, acqua, quarzi… tutto ciò che ha una trasparenza permette la fabbricazione di un punto di vista. Tutti i punti di vista sono reali e quindi portatori di un’informazione nuova.
Le deformazioni ottiche possono essere utili anche per esprimere una partecipazione emotiva nella ripresa (allucinazione, tremore, mistero, sogno, ridicolo, rabbia, ecc).
Può essere molto rivelatorio e utile frapporre degli strumenti ottici tra  videocamera e oggetto.
Nelle performances dal vivo gioco più spesso, in modo analogo, con la proiezione.

Hai un tuo atelier dove lavori per realizzare i tuoi “cinemanufatti”?

No, lavoro per lo più nella camera che ho in affitto in una cascina di campagna.

Ho trovato interessantissimo “Criminal Tampax” che è un misto, come mi hai spiegato, fra sagome ritagliate piatte che agiscono in quinte tridimensionali. Lo stesso personaggio a cui si richiama, lo troviamo dapprima “piatto” (una semplice foto con arti snodabili) ma poi diventa tridimensionale.
Spiegaci le diverse tecniche impiegate, e come è stato “accolto” visto il “tema” trattato…

Criminal Tampax è un capitolo di “Italia 2008”, corto di 12 minuti musicato di recente da Matteo Bennici. Parla della situazione politica italiana del 08 (governo Prodi), dello scongelamento di un Duce, delle spietate mani di un Papa, e di un assorbente-siluro, che da una vagina cade in picchiata a devastare il regime emergente. La storia è piuttosto rude e chiara, i personaggi sono stigmatizzati all’estremo ed anche l’azione “punitiva” dell’eroe/tampax. Direi che la sensazione liberatoria che ho provato nell’inscenarla arriva dritta a chi, come me, ha paura e sconforto nei confronti di chi ha il potere ideologico, legislativo ed esecutivo in Italia oggi. Chi non condivide quest’angoscia in ogni caso non si annoia, e difficilmente ho ricevuto feedback negativi, magari un po’ di scandalizzato sconcerto. E’ chiaro che la sua visione è da effettuarsi in contesti selezionati, per non incappare in inutili equivoci ideologici e noiose querele. Da oggi ci saranno ancora meno occasioni di mostrarlo, visto il nuovo pacchetto sicurezza…
Riguardo il Papa: è una figurina bidimensionale, che in una parte del film, per esigenze sceniche, ho applicato ad una scultura di pari sembianze di polistirene (materiale edilizio con cui si fabbricano pannelli isolanti). Il polistirene è leggero, si scolpisce con un trincetto, è abbastanza resistente, si buca, si rincolla, si modula, non flette.

Tuia, parliamo ora del lungometraggio a pupazzi animati “Gramma”. Com’è avvenuto l’incontro con Gregory Petitqueux?

Ci siamo conosciuti nel 99, Gregory si era trasferito vicino a casa mia. Condividendo molte inclinazioni creative (vedi la prima domanda a cui ho risposto), ci siamo trovati a sognare di poter costruire qualcosa insieme che sintetizzasse il nostro pensiero ed anche un certo desiderio estetico-creativo, formato attraverso il teatro sperimentale, la musica di ricerca, alcuni studi antropologici e linguistici, un gusto iconografico molto simile. Influenzati dai film di Swankmejer e dei Quay Brothers abbiamo fatto alcuni rozzi esperimenti di cinema a passo uno, e, afferrata la tecnica in modo molto rudimentale, abbiam pensato bene di utilizzarla per creare l’universo gigantesco di Gramma, parabola filosofica sul mondo e le idee. Non ci rendevamo conto di inerpicarci in una impresa colossale composta di migliaia e migliaia di ore, anni, pazienza, intoppi tecnici, dispendio economico, duro lavoro!

Qual è stata la tua collaborazione in Gramma e com’è avvenuta la realizzazione?

Abbiamo inventato, costruito, diretto e animato Gramma in piena compartecipazione, alternanza di ruoli, e condivisione per i primi  due /tre anni.
Ricordo che la notte lavoravo in ospedale con i malati terminali, turni di 12 ore, e di giorno a Gramma. Molti disegni e idee sono nati al capezzale di pazienti inermi, di notte. Ci siamo ricavati da una cantina dismessa una sorta di antro/set cinematografico per i primi tempi, poi abbiamo lavorato qui a casa.
Non potendo reggere il ritmo e l’impegno serrato di questo lavoro, e venendo meno, anche, la sintonia d’intenti, filosofia e amicizia, che ci univa in principio,  sono uscita progressivamente dal progetto.

Che progetti stai portando avanti?

Il Manucinema è un percorso che si articola in fasi: c’è la fabbricazione di corti, esperimenti, osservazioni, storie animate, che realizzo qui a casa. Poi c’è il suonarci sopra, improvvisando dal vivo con altri musicisti. Da quest’anno prediligo invece portarmi negli spettacoli direttamente un piccolo set di ottiche, oggetti, immagini e liquidi, ed improvvisare delle storie dal vivo, assieme a chi suona. Escono fuori cose molto interessanti, ed è un esercizio ginnico/creativo molto fitto di accadimenti. Qualche volta faccio partecipare direttamente il pubblico alla manipolazione degli oggetti, e sono le serate che preferisco, perché il gioco diventa veramente imprevedibile e siamo tutti coinvolti.
Questo considerato, ho cominciato a condurre anche dei laboratori e seminari di Manucinema collettivi, in cui lo scopo del gioco è creare una suggestione (narrativa, simbolica, demenziale, astratta…) insieme attraverso l’interazione istantanea con l’ambiente, con oggetti, con tutti i possibili stimoli  da sottoporre ad una videocamera.
Sto terminando un documentario sull’ultimo pianoforte posseduto da Claude Debussy, ora custodito in un museo a Brive (Francia), ancora funzionante, su cui hanno eseguito un concerto Thollem McDonas e Stefano Scodanibbio. Il documentario si articola in molte sezioni: dalla storia del pianoforte, al concerto di questi due colossi della musica contemporanea e sperimentale, al concetto di “improvvisazione” in musica.
Realizzo documentari di archivio, promozione, e didattica per associazioni che lavorano nel sociale.

Grazie Tuia, e buon Cinemanufatto!

Grazie a te, buone cose!

Tuia Cherici10

(1) Tuia Cherici, Metodi,  obbiettivi  e risultati, in www.cinemautonome.org

(2) Tuia Cherici a Mario Verger, Email 31 luglio 2009

articolo pubblicato su Rapporto Confidenziale – numero16, luglio-agosto 2009 (pagg. 7-11).

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