Raúl Peralta Paredes O. (Alberto Castro) si reca in uno studio televisivo per partecipare ad un concorso che deve eleggere il sosia di Tony Manero. Sbaglia settimana, quella in corso è per il sosia di Chuck Norris. Con il vestito bianco dentro la custodia, Raúl corre spaventato per le strade deserte, poi entra in un cinema a guardare il film Saturday Night Fever. Solo in sala, davanti allo schermo, ripete meccanicamente le battute del film.
Dalla finestra del suo appartamento vede l’aggressione ad una donna anziana. Corre in strada, la soccorre e questa lo invita a casa sua: lui la uccide a sangue freddo, ruba qualche soldo e la televisione a colori.
Nella pensione di Wilma (Elsa Poblete), Raúl guida le prove di un balletto, ricalcato su quello del film con John Travolta, da tenersi il sabato successivo. Con lui ci sono Cony (Amparo Noguera), sua figlia Pauli (Paola Lattus) e un giovane di nome Goyo (Héctor Morales). Raúl, ballando, rompe il pavimento e con rabbia distrugge gran parte del palco. Poi, con Cony, si reca dal vetraio per prendere del vetro trasparente da usare come pavimento sotto a cui mettere le luci (proprio come nella discoteca di Saturday Night Fever). Raúl mostra la TV a colori a tutta la “famiglia”. Da un ricettatore scambia la TV con venti blocchi trasparenti di vetro-cemento e con questi si reca al locale di Wilma dove ricostruisce parte del pavimento del palco. In piena notte Raúl sveglia Cony e Pauli per chiedere dove hanno messo la tintura per i capelli. Raúl e Cony tentano un rapporto sessuale, ma lui è impotente e finisce per farsi masturbare, prima di allontanare brutalmente la donna. Raúl esce e va a rivedere il film di John Badham. Successivamente, discute con Goyo sul numero di bottoni del vestito di Tony Manero. Giunto da Wilma, questa lo aspetta in stanza per tentare un approccio sessuale, ma Raúl la allontana bruscamente. Di notte, solo nella sua stanza, Raúl si cuce il secondo bottone.
Il mattino seguente, dalla finestra, vede Goyo scambiare qualcosa con altri due giovani. Crede si tratti di soldi e segue uno di questi per derubarlo. L’uomo è un militante anti-Pinochet, viene fermato dai militari in borghese e successivamente brutalmente eliminato: Raúl osserva tutto da lontano e poi va a derubare il cadavere. Tornato al locale, Cony tenta di convincerlo ad eliminare Pauli e Goyo dal balletto. Lui non la ascolta, prende un pallone, rompe uno specchio, e comincia ad incollarci sopra i pezzi di vetro per fare una palla da discoteca come quella di Saturday Night Fever. Il giorno seguente torna al cinema per rivedere Tony Manero, ma al suo posto trova Grease: entra nella sala e poi sale in cabina di proiezione, uccide il proiezionista e la moglie e si porta via l’esiguo incasso del cinema e le “pizze” del film con Tony Manero. Da solo nella sua stanza guarda i fotogrammi del film, srotolando la pellicola. Con l’incasso rubato torna dal ricettatore per prendere altri blocchi di vetro-cemento: questi comincia a trattare sul prezzo, Raúl si allontana. Di notte, torna dal ricettatore, lo uccide nel sonno e si porta via tutto il vetro-cemento che gli serve. Nella sua stanza ricostruisce il pavimento trasparente, posiziona sotto dei neon e produce una luce intermittente: Raúl balla e si sdraia sul suo palco.
La sera dello spettacolo nel locale di Wilma: grande successo e grande incasso. Al termine, Raúl balla con Pauli, mentre Cony gli fa una scenata di gelosia. Raúl e Pauli nella stanza dell’uomo tentano un rapporto sessuale ma finiscono per masturbarsi a vicenda. Il mattino dopo Goyo dice alla “famiglia” che andrà in TV per partecipare al concorso del sosia di Tony Manero e che si è anche fatto fare il vestito bianco. Raúl sale nella stanza di Goyo e defeca sul vestito nuovo del giovane. Mentre Raúl sta per uscire vestito da Tony Manero, al locale di Wilma giungono dei militari in borghese, i quali, nel frattempo, hanno scoperto l’attività di opposizione di Goyo, che nella lotta al regime ha coinvolto anche Pauli. Mentre i militari picchiano i giovani, Raúl scappa dalla finestra. Arrivato allo studio televisivo, partecipa alle selezioni per il sosia di Tony Manero: non vince, arriva secondo dietro al disoccupato Enrique. All’uscita dello studio, Raúl è alla fermata dell’autobus dove giungono anche Enrique e la moglie. All’arrivo del mezzo salgono, Raúl si siede dietro alla coppia.
«Il film è un’analisi spietata dell’errore in cui si incorre credendo che felicità e successo possano essere ottenuti imitando e sostituendo la propria cultura con un’altra. Nel caso specifico si tratta di una cultura alimentata da un potente strumento di comunicazione di massa, il cinema, ed imposta, in un modo o nell’altro, dagli Stati Uniti ai paesi del terzo mondo.» (Pablo Larraín)
Tony Manero (2008) è prodotto dalla Fabula Consultancy e Productions Limited, una società di produzione cinematografica e pubblicitaria – “di famiglia” – creata nel 2003 dallo stesso Pablo Larraín con Hernan Larraín e Juan De Dios Larraín. Al suo attivo ha i quattro film del regista cileno, alcune opere di Sebastián Silva, Julio Hernández Cordón, Marialy Rivas, Sebastián Lelio, Oscar Godoy e Roberto Artiagoitía, oltre a un centinaio di spot pubblicitari realizzati per marchi come Mastercard, Coca-Cola Company, Shell e altri. Tony Manero è stato girato in cinque settimane a Santiago, nella parte vecchia della città, all’interno della quale, e grazie al contributo dello scenografo Polin Garbisù e del consulente artistico Rodrigo Bazaes, è stata ricreata l’immagine della capitale durante l’ultimo lustro degli anni ’70, definendo, anche grazie alla desolazione ambientale di set spogli e degradati, quell’atmosfera inquietante, minacciosa e indefinita che si respirava nel periodo in questione. Ogni inquadratura è stata realizzata con una sola ripresa, mentre al montaggio sono state eliminate ampie parti non pertinenti con l’essenzialità del racconto. Macchina da presa a mano, incollata al corpo/volto del protagonista, centro concentrico dell’azione grazie all’unico punto di vista con cui la storia è narrata, perché tutto ciò che sta attorno è solo un contesto, altrettanto indispensabile nell’economia del racconto, perché senza di esso nulla potrebbe avvenire in quel periodo, in quel modo e in quell’atmosfera. L’impostazione estetica del film, con l’impossibilità, da parte dello spettatore, di guardare altrove rispetto al punto di vista di Raúl, può apparire “pornografica”, ma la promiscuità della ripresa non è mai tale, anche perché non avviene mai la sovrapposizione con la soggettiva. Ogni sguardo di Raúl è ripreso, al massimo, in semi-soggettiva: questo perché Larraín vuole mantenere intatto il suo “potere” di istanza narrante in grado di indirizzare lo spettatore a vedere solo ciò che egli ha deciso per lui. Sul piano estetico il film, che sfrutta in modo secco e stringato tanto la ripresa “a mano”, quanto un montaggio costruito sull’uso di falsi raccordi, scavalcamenti di campo voluti e fuori fuoco mirati e mai casuali, ha l’intento di mostrare il ritratto di un personaggio che è chiaramente metafora dello spaesamento e della perdita di memoria del popolo cileno (grazie all’uso fuori-fuoco).
La scelta di Saturday Night Fever (La febbre del sabato sera, 1978) di John Badham come ossessivo modello di riferimento per Raúl, è dettata dalla volontà di Larraín di mettere in relazione due mondi che entrano in collisione: quello dell’American Dream e quello dell’oblio della cultura cilena. Inoltre, curiosamente, non sono poche le assonanze a livello di contenuto e significante tra i due film. Il film di Badham rappresenta il ritratto più puntuale e riuscito degli esiti del “riflusso”, ricondotti ad una gioventù nichilista, sospesa tra tradizione e paura del futuro, tra infantilismo e voglia (che rimane tale) di responsabilità. Una gioventù incapace di compiere delle scelte, che si rifugia nell’edonismo e nel culto dell’apparenza per sfuggire a se stessa. Quello di Larraín è un ritratto, a tinte fosche e mortuarie, di una società “cannibalizzata” dalla dittatura, capace di vivere solo di riflesso (attraverso l’immagine cinematografica) il “sogno” e “la bellezza” e che si rifugia nell’ossessione emulativa per sentirsi “diversa” e vincente (ma ontologicamente perdente).
«Questa storia mi permette di mettere a nudo, senza reticenze il volto reale di una società incapace di affrontare il suo passato più recente. Una società con le mani lorde di sangue, che si affanna a cercare di apparire alla moda ed elegante mentre balla alla luce degli spot, ignorando le sofferenze altrui.» (Pablo Larraín)
La battuta che in Saturday Night Fever il proprietario della ferramenta, il Sig. Fusco, rivolge a Tony, unisce simbolicamente i due film e mette in relazione Tony Manero e Raúl Peralta: «No Tony, guarda che il futuro non si fa fottere. Il futuro, casomai, fotte te. Quello ti aspetta sempre, e se non sei preparato… ti fotte…». Allo stesso modo, come Tony si “carica” solo con il ballo (come confida a Stephanie), anche Raúl vive solo per quello. La differenza sostanziale, e qui sta il vero interesse del film di Larraín, è che Raúl, a differenza di Tony, è un personaggio profondamente ambiguo e complesso. A ben vedere entrambi sono inseriti in un contesto familiare articolato e improprio, ma se la famiglia di Tony Manero, mantiene la sua natura di rapporti parentali ed è costruita sugli stereotipi della famiglia italo-americana, quella di Raúl, non è neanche propriamente una famiglia, bensì un gruppo di individui che, casualmente, si ritrovano nello stesso momento nello stesso posto. La “famiglia” di Raúl Peralta è il frutto della dittatura di Pinochet: uomini e donne che condividono uno spazio/tana come se fossero degli animali in fuga. Coabitano in uno spazio temporaneo (non a caso una pensione) perché sono in viaggio ma senza avere una meta chiara o un posto di approdo, se non il desiderio, sterile, di riscattarsi dalla loro miseria mediante l’apparizione televisiva. Primo (e unico) obiettivo è sopravvivere (prima di tutto a se stessi), ed è per questo che i rapporti all’interno del gruppo sono regolati solo ed esclusivamente dal bisogno e dall’utilitarismo: rapporti primitivi, basati su esigenze basiche e sull’istinto, e regolati dalla necessità della sopravvivenza – che qui coincide con la coreografia del balletto che stanno mettendo in scena. Dinamiche “familiari” regolate dal possesso e dalla violenza, cruda, immediata, priva di pensiero e di rimorsi, perfetto modello di quanto avviene fuori, dove i militari perseguono solo i crimini politici e non si preoccupano minimamente dei crimini ordinari (come quelli di Raúl), che infatti rimangono puntualmente impuniti.
Raúl Peralta, l’uomo al centro di questo nucleo di “naufraghi”, è dunque il fulcro attorno al quale ruota tutta la costruzione narrativa e figurativa di Tony Manero. Personaggio profondamente ambiguo, sospeso tra orrore e purezza: un “animale” dai comportamenti primordiali che segue l’impulso, apparentemente anaffettivo, che agisce in funzione di suoi sensi, annusa, tocca, guarda, solo ed esclusivamente per soddisfare i propri bisogni – anche quelli più biechi e sgradevoli. Un uomo che involontariamente agisce applicando letteralmente le regole della società dei consumi, senza farsi né scrupoli né domande, ma solo cercando di soddisfare delle necessità. La sua stanza nella pensione di Wilma, è una caverna, spoglia e priva di mobili, che gli serve unicamente per accumulare cose e materiali legati alla sua ossessione, e per “generare” la sua trasformazione da Raúl Peralta a Tony Manero. Il personaggio di Saturday Night Fever è necessario a Raúl per affermarsi in una società annegata nel terrore (non a caso lo vediamo sempre agire circospetto, parlare sottovoce, correre e muoversi radente ai muri) illusa di potersi riscattare attraverso l’aderenza al modello di vita americano e al suo “sogno”. Raúl – che è praticamente analfabeta – è totalmente assente rispetto alla realtà che lo circonda, apolitico, a-ideologico per disinteresse, ha come unico obiettivo quello di riprodursi come immagine di Tony Manero. Non a caso Pablo Larraín lascia che il contesto politico sia perennemente fuori campo, e quando lo mostra, come nel caso dell’omicidio dell’attivista, oppure nel finale del film, lascia sempre Raúl a osservare la scena da lontano. Il figlio di una società che non è stata in grado di insegnargli il Bene, osserva le dinamiche con cui questa agisce per trarne il vantaggio necessario (in questo caso derubare il cadavere dell’attivista dopo l’esecuzione, o fuggire dalla finestra per seguire il “sogno”).
Raúl Peralta è dunque il rappresentante di una sotto-classe sociale totalmente disinteressata e refrattaria agli effetti del colpo di stato cileno del 1973, né a favorevole né contraria agli eventi, unicamente silente, consenziente unicamente per necessità di sopravvivenza. Questo emerge chiaramente dal paradosso attorno al quale Tony Manero è costruito: l’ossessione di trasformazione nel doppio del personaggio di John Travolta, attraverso una cura maniacale dei dettagli, dando forma e sostanza ad una fissazione maniacale nell’epoca più buia, violenta e repressiva, della storia cilena. Alfredo Castro da corpo al frutto del rapporto tra l’egemonia dell’immagine (e la sua potenza) e la fragilità (sostanziale) del potere autoritario. Quando Raúl ripete meccanicamente a memoria le battute del film in inglese, egli esprime soltanto i suoni di quella lingua che non conosce, ma è come se in quel momento prendesse, ma solo momentaneamente, coscienza dell’assurdità del suo agire fatto di violenza e sopraffazione. Raúl/Tony, altri non è che una pedina (come mostra il suo arrivo allo studio TV all’inizio del film, dove incrocia inservienti che trasportano giganteschi pezzi di scacchi) di un gioco ben più grande di lui, in cui la televisione e il suo protagonismo (di wharoliana memoria) diventano oracoli infallibili. È la produttrice del programma che “convince” Raúl che al suo vestito manca un bottone, è lei a raccontarli la “realtà” delle cose. Successivamente, quando Wilma chiede al gruppo sul palco di essere più professionale, Raúl replica: «Dovete andare al cinema… a vedere il Tony… lui sì che sa come si fa!». Poco oltre Raúl aggredisce brutalmente Cony durante il loro approccio sessuale, quando questa le dice: «Il tempo passa, il Tony del film non invecchia, tu invece sì…». Raúl Peralta vive in un vuoto che cerca di riempire, ma inutilmente, con l’immagine di Tony Manero e con un’adesione patologica al personaggio del film, ma è al contempo vittima di un meccanismo sordido e subdolo costruito intorno a lui dalla società dei consumi e delle apparenze. Nel film, a testimoniare questo vuoto, questa assenza, c’è una breve inquadratura. Raúl si reca dal ricettatore per prendere altro vetro-cemento per il palco, ma rimane incerto su come agire, passeggia avanti e indietro, ma la macchina da presa rimane fissa a lungo sul muro bianco sbrecciato alle sue spalle, mentre lui entra ed esce dall’inquadratura. In Tony Manero, la minaccia, anche quella che attenta non alla vita delle persone, ma al sogno di Raúl, proviene sempre dal fuori campo, e a tal proposito è emblematica la penultima sequenza del film, quella in cui Goyo confida alla “famiglia” che parteciperà al “Festival dell’Una” in TV per il concorso sul sosia di Tony Manero. Qui, attraverso un unico piano (quasi fisso), la ripresa gioca con la profondità di campo, costruisce un quadro nel quadro (grazie al perimetro della finestra interna che collega il bagno con la stanza da pranzo) e orchestra abilmente un continuo rimando di sguardi mediante l’uso di specchi. L’intento del regista è chiaramente quello di modulare l’ingresso del perturbante (conclamato nel momento della rottura della tazza di latte), che apparentemente sembra risolversi solo nello spregevole gesto di Raúl di defecare sul vestito di Goyo, ma che in realtà anticipa l’arrivo dei militari e la successiva violenza nei confronti del giovane e di Pauli. La scena è emblematica di come il regista voglia attraverso Tony Manero, non soltanto raccontare una storia cilena, ma abbia l’ambizione (raggiunta) di fare di Raúl l’archetipo di un uomo metafora di ogni aspirazione irrefrenabile alla modernità: le sue azioni non sono patrimonio individuale, bensì il riflesso di quelle di un sistema che gli ha solo insegnato a costruire le sue aspettative di vita su tutto ciò che è diverso da lui, come testimonia l’uso del sonoro con la canzone ascoltata da Raúl al momento di tingersi i capelli (gesto iniziale e iniziatico della sia “mutazione”):
Il mondo si è fermato
al vederci camminare, ballare, suonare felici
il ballo ormai è finito …
Il disco ormai è finito, è finito!
la storia si è fermata.
La luce si è spenta, tutto è scomparso.
Fabrizio Fogliato
fabriziofogliato.com
Tony Manero
Regia: Pablo Larraín
Sceneggiatura: Pablo Larraín, Alfredo Castro, Mateo Iribarren
Consulente alla sceneggiatura: Eliseo Altunaga
Fotografia: Sergio Armstrong
Montaggio: Andrea Chignoli
Scenografia: Polin Garbisù
Musiche: The Bee Gees, Juan Cristóbal Meza, José Alfredo Fuentes, Frecuencia Mod
Suono: Miguel Hormazábal
Operatori: Pablo Larraín, Sergio Armstrong
Consulente artistico: Rodrigo Bazaes
Organizzazione: Ruth Orellana
Postproduzione: Alejandro Atenas
Assistente alla regia: Oscar Godoy
Trucco: Margarita Marchi
Acconciature: Paola Morales
Produttore: Juan De Dios Larraín
Produttore associato: Tomás Dittborn
Produttori esecutivi: Mariane Hartard, Juan I. Correa
Interpreti: Alfredo Castro (Raúl Peralta),Amparo Noguera (Cony), Héctor Morales (Goyo), Paola Lattus (Pauli), Elsa Poblete (Wilma), Nicolás Mosso (Tomás), Enrique Maluenda (conduttore TV), Antonia Zegers (produttore TV), Diego Medina (produttore TV), Cristián Ordoñez (TV security), Luis Uribe (Enrique, vincitore del concorso), Marcelo Alonso (il rumeno), Greta Nilsson (anziana del cinema), Jaime Silva (anziano proiezionista), Marta Fernández (donna anziana), Marcial Tagle (venditore di vetro), Freddy Huerta (militante con i volanti), Rodrigo Pérez (interrogatore), Francisco González (interrogatore)
Produzione: Fabula (Cile), Prodigital (Brasile)
Suono: Dolby SRD
Rapporto: 1 : 2.35
Formato di ripresa: 16mm
Formato di proiezione: 35mm
Lingua: spagnolo
Paese: Cile, Brasile
Anno: 2008
Durata: 98′