Passare la linea per ricostituirla. Pietro Marcello

la bocca del lupo

da Rapporto Confidenziale 36 | anteprima | compra

vedi anche: Quello che mi permette di non ammalarmi è fare film. Intervista a Pietro Marcello

 

Come il jazz, il cinema di Pietro Marcello parte da un tema e vi improvvisa sopra, frazionandolo e ampliandolo. C’è un continuo cambio di accordi atto a delineare un costante spazio di fuga. Domina la tensione di una nota (immagine) dislocata che slitta e trascende, armonica e dissonante. Sia Il passaggio della linea che La bocca del lupo (titoli entrambi letterari – Georges Simenon, Remigio Zena – di film assai poco letterari) filmano lo spostamento (treni, navi, persone in transito). Ed è lo spostamento, restituito soprattutto come spaesamento, ad orientarne la forma.

Il perenne dislocarsi si rispecchia in uno stile che assembla, scavalca e ricolloca il punto di partenza. Dietro i cambi di scena e di stili, generi e formati, viene edificato, per contrasto, il desiderio opposto e complementare dell’armonia perduta, di un’utopica unità. Da un’alterità incessantemente evocata si passa ad un’asciutta e profondissima affinità elettiva. Dietro la provvisorietà stilistica, affiora la volontà nostalgica di fissarsi in un punto dove i tanti risultino uno.

Per questo, in sede di montaggio, lo spazio diegetico e figurativo viene condiviso con una serie di materiali eterogenei che, nel tentativo di distanziarsi dal suo enunciato prevalente, finiscono in realtà per avvicinarsi e farsi assorbire da esso, dissipando ulteriormente l’occhio dell’osservato nello sguardo stesso di chi osserva. Se è la non fissità a definire la singolare «stabilità» dei personaggi (la condizione dell’eterno passeggero Arturo, extralocale quanto quella della casa e della famiglia anomale di Enzo e Mary), il regista non può che decentrare a sua volta il suo modo di vedere e di filmare.

È proprio la distanza a permettere, a chi filma e a chi è filmato, un più ampio e differente sguardo. La rimozione di ogni ostacolo tra il tema di partenza e il livello degli ulteriori universi testuali da esso scaturiti. Che si tratti dei vecchi filmati, le audio-lettere, le canzoni, le aperture alla Storia (Garibaldi, Colombo) atti a strutturare La bocca del lupo. Oppure, ne Il passaggio della linea, le variazioni sul ritratto di Arturo: il treno come non luogo, l’emigrazione elevata a condizione esistenziale, la precarietà del lavoro e delle vite, la normalità come concetto relativo.

Al di fuori di ogni luogo comune, la dimensione intima, raccolta, e tuttavia di grandi dimensioni, lascia cadere ogni discrimine gerarchico. La macchina da presa non interroga, interagisce. Coabita, accoglie, assimila, ripete. Si apre per progressione all’elemento allogeno. L’apertura risulta radicale, la partita mai chiusa. Tutto è in divenire, niente e nessuno resta escluso, soggetti e oggetti. Il giovane autore riesce a reinventare così la dispersività superficiale del post-moderno in un neo-umanesimo composito e composto. Ricompone un ciclo d’ordine nel disordine.

 

Il silenzio di Pelesjan

Frame: Il silenzio di Pelesjan • 2011

 

La visione parcellizzata rimanda necessariamente, e paradossalmente, a una totalità, agli universali. Il volto di un passeggero diventa il volto di tutti i passeggeri, della condizione stessa dell’erranza, «degli uomini che trasmigrano (…) sulla soglia della nostra avventura». Gli scorci brevissimi, d’intensità fulminea e pittorica di questo cinema, colgono, come nel quotidiano, un volto, un lampo di passaggio (e di paesaggio). Hanno la capacità di restituire il fluire variegato dell’esistenza, la percezione fluttuante, lo spostamento progressivo del pensiero (e del piacere). Della vita stessa.

Capita di cogliere un volto per un attimo, non lo si vedrà più: la presentazione combacia con l’addio. Nel corso de Il passaggio della linea sparisce quel passeggero napoletano, o il pugliese, che, in un film tradizionale, avrebbero fatto sicuramente ritorno per essere messi più a fuoco, arrotondati e manipolati, in un gioco di seduzione narrativa e psicologica che per fortuna al nostro autore non interessa. La sua è una poesia pudica e dal tratto nervoso. Sono proprio la digressione, le situazioni di intervallo, i tempi morti, il bordo, il margine a costruire il testo per immagini. Ridotto il disegno, esteso il fuoricampo: allo spettatore il compito di dilatare la visione dentro di sé, capire, affezionarsi.

Gli stessi dialoghi risultano frammentati e «separati». Parlano una saggezza rapida, non fissata in formule facili, nella frase ad effetto, memorabile a tavolino. Marcello oltrepassa la voce, supera la propria immagine nel momento in cui la filma. Non dilaziona la bellezza, che risulta tale in quanto mobile, afferrabile soltanto a spizzichi. Ogni fotogramma ha una densità estetica e figurativa che mozza il fiato. Ma l’autore non ci si siede sopra, ne esce subito fuori, in cerca d’altro: febbrile ma umile.

Dalla finestra del treno, l’immagine corre o rallenta, rarefacendosi si assesta. Il tema principale apre un rapporto complesso, antifonale e poliritmico, con una serie assortita di assonanze visive, di associazioni tematiche. Pietra, porto, partenza, mare, ciclicità, trasformazione, tempo, memoria, storia, epoca, luogo, città, affezione, amore ne La bocca del lupo. Treno, movimento, cinema, velocità (o lentezza), persone, testimonianze, singolarità, flusso di voci, collettività, destinazione, destino ne Il passaggio della linea.

Eppure non si giunge mai a una facile destinazione o definizione. Neppure quando il treno si arresta e il film si chiude (saldando la chiusura di un hangar con la fine di un’epoca o di un’esistenza). Nemmeno quando la macchina da presa e il montaggio cessano il loro pulsare dentro le pareti di un piano fisso e di una confessione amorosa d’inarrivabile tenerezza e pudore.

 

La bocca del lupo

Frame: La bocca del lupo • 2011

 

Abbiamo sempre un cinema instabile, in fuga perenne e rallentata, che definisce e riprende la corsa (sia nel senso di riavviarla che di filmarla). Pur con un ritmo disteso, denso e acquatico, di luci che tagliano lo schermo. Un cinema incantato, ma non contemplativo, che vive di spostamenti persino rispetto a sé stesso. In un continuo alternarsi di vuoti e pieni, di interni ed esterni, di rumore e di silenzio, di chiusure e aperture (anche tematiche: la prigione e la città, l’incomprensione e l’amore, il vecchio e il nuovo). Ogni momento contiene e trascina con sé l’immagine opposta.

Il controcanto ininterrotto di queste immagini ha il pregio di ricordarci l’autenticità dell’impuro, la poesia della mescolanza. Il passaggio e il pertugio, la bocca e la linea inevitabilmente presenti in tutte le cose. Dentro e fuori i generi e i linguaggi. Dentro e fuori il cinema. •

Leonardo Persia

 

Il silenzio di Pelesjan - 2

Frame: Il silenzio di Pelesjan • 2011

 

Pietro Marcello nasce a Caserta nel 1976. Dal 1998 al 2003 ha lavorato come organizzatore e programmatore della rassegna cinematografica Cinedamm presso il Damm di Montesanto, Napoli. È stato assistente alla regia per il documentario, Antonio, di Leonardo Di Costanzo. Nel 2002 ha realizzato il radiodocumentario Il tempo dei magliari trasmesso da Radiotre nel contenitore Centolire. Aiuto regia per il corto Il ladro di Sergio Vitolo, ha realizzato i corti Carta e Scampia (2003). Ha lavorato come operatore e montatore per il documentario di Nick Dines, Fuggifuggi e, nel 2004, ha collaborato al documentario di Giovanni Cioni dal titolo Le anime del Purgatorio.
Nel 2004 ha realizzato il film documentario Il cantiere, vincitore della XI edizione del festival Libero Bizzarri. L’anno seguente ha portato a termine il film documentario La baracca, premio del pubblico a Videopolis 2005. Nello stesso anno ha collaborato come volontario per una ONG in Costa d’Avorio per la realizzazione di un docu-film dal titolo Grand Bassan.
Il passaggio della linea presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2007 – sezione Orizzonti – l’ha fatto conoscere a livello internazionale, «un piccolo film “ferroviario” sui treni espressi che attraversano la penisola di notte», e gli è valso riconoscimenti e menzioni proprio a partire da Venezia 2007. La bocca del lupo (2009), commissionato dalla Fondazione San Marcellin, storia struggente e intensa, a metà tra il documentario e la finzione con inserti da repertori preziosi e poetici, vince il Festival di Torino e molti altri premi nel lungo percorso tra i festival internazionali a cui ha partecipato. Ricordiamo tra gli altri: premio Caligari – sezione Forum e premio Teddy Bear miglior documentario al Festival di Berlino 2010, premio della Giuria Internazionale SCAM 2010 al cinema du Réel, premio della Giuria Internazionale BAFICI 2010 del Festival di Buenos Aires, il David di Donatello e il Nastro d’Argento come miglior documentario. Dal 4 al 10 agosto 2011 è stato presentato al MoMa di New York.

 

Filmografia
2011 | Il silenzio di Pelesjan • 2011 | Marco Bellocchio: Venezia 2011 • 2010 | Napoli 24 (film collettivo) • 2009 | La bocca del lupo • 2007 | Il passaggio della linea • 2004 | La baracca • 2004 | Il cantiere • 2003 | Carta • 2003 | Scampia

 



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