Trash. Sleep. Track Steps. Track Habits. Track Life. Fitness. Capital. Losers. Work less. Play Hard, sono alcune delle parole chiave che descrivono lo stato corrente delle cose, ma che possono valere anche come anticipazione degli sviluppi di un probabile futuro. Con il titolo Capture All / transmediale 2015 (28 gennaio – 1 febbraio 2015, Berlino | link) apre un discorso critico sulle moderne tendenze di raccolta e quantificazione dei dati, avanzando l’idea che il paradigma della sorveglianza digitale sia in realtà indicativo di una concezione allargata del valore economico a partire dallo spettro totale delle interazioni sociali, di cui la comunicazione rappresenta il sintomo ideologico gestito dal potere, e a partire dal quale il valore stesso può essere potenzialmente estratto e applicato a ogni aspetto della vita.
Le pratiche della catalogazione e della “cattura” sono, in questo senso esteso, situazioni che si svolgono non solamente secondo una più recente logica algoritmica, bensì anche – e in precedenza – attraverso la registrazione di immagini e suoni. È precisamente in questo contesto vagamente archeologico che le parole chiave suggerite all’inizio, possono generare strutture narrative per lo sviluppo di una curatela di cinema. Tra le prime a essere esplorate nella rassegna di film di transmediale c’è Internet, che focalizza la questione dell’influenza di questo mezzo sui suoi fruitori e il rapporto tra cittadino e utente nel contesto della democrazia contemporanea. Dall’enfatizzazione di patriottismo e retorica americani cantati in “American Soldiers” di Toby Keith e riproposti in un divertente montaggio di video Youtube nel lavoro di Thomas Galler, l’accento si sposta bruscamente sul tema della libertà digitale con il lavoro di Maria Kramar “ABC-Lynching”, una guida online step-by-step sulle pratiche di linciaggio perpetrate dall’organizzazione neonazista russa “Occupy Pedofilyai” a danno degli omosessuali nel paese.
La riflessione sull’uso dei media di massa permea anche il lavoro di Klaus vom Bruch nel film del 1978 intitolato “Das Schleyerband – eine Videodokumentation”, che attraverso la raccolta e l’assemblaggio di found footage, notiziari e dibattiti televisivi sulla famigerata banda Baader-Meinhof riverbera la speculazione e l’enorme impatto mediatico delle vicende di quegli anni sulla società tedesca. Un ritratto sconvolgente del clima sociale, politico e culturale della fine degli anni ’70, in cui i trionfi della civiltà moderna, alternati a immagini pubblicitarie di moda e del lancio dello Space Shuttle, lasciano l’autore chiaramente scosso e senza parole.
Il controllo, la traduzione dei dati in linguaggio e la sua diffusione sono il momento centrale di qualsiasi sistema sociale moderno. Nel lavoro di Irineu Destourelles “New Words for Mindelo’s Urban Creole” una catena di neologismi è organizzata sullo sfondo nero a comporre un vocabolario liberato dal dominio politico-economico-linguistico del potere occidentale e dal feticismo dell’immagine, per lasciare emergere con forza il contesto sociale in una Capo Verde post-colonialista. Il tema degli idiomi, nel programma di questa giornata dedicata ai nuovi linguaggi, tocca altissimi livelli di sperimentazione nel video di Richard Serra “Boomerang”. Nancy Holt, seduta di fronte alla camera, indossa un auricolare che attraverso un leggero ritardo rimanda indietro il feedback delle sue stesse riflessioni a voce alta, imprigionandola per dieci minuti in un processo asincrono tra la parola, il pensiero e la percezione uditiva del Sé, che apre un varco tra significante e significato e getta la mente della performer in uno specchio-riflesso senza via di fuga.
La programmazione dal titolo The Optimised Self mette in evidenza nei video in rassegna il rapporto tra corpo e personalità. Il personaggio che incontriamo nel documentario del 1971 “Archaic Torso” di Péter Dobai (Balazs Bela Studios) è un’eremita muscoloso che si sforza di vivere i suoi ideali di perfezione alla lettera, diviso tra rigorosi esercizi di body building, letture filosofiche, e ipersensibilità emotiva; un ritratto inedito e senza censure della società e della Repubblica Popolare ungheresi.
“Forever”, di Julika Rudelius, nasce come video installazione a due canali. Rudelius ritrae un’upper class femminile americana a bordo piscina che, a turno, esprime le proprie posizioni sulla bellezza, sull’importanza della conservazione dell’aspetto esteriore e sulla sua influenza nela vita sociale. Le donne intervistate singolarmente hanno un’età indecifrabile e la distanza della telecamera dai soggetti crea e sottolinea l’illusione dell’eterna giovinezza che viene perseguita nella vita delle protagoniste come un’ideale. Chiude questo particolare programma il lavoro intitolato “Lessons on Leaving Your Body”, di Nadav Assor, che documenta l’utilizzo di telecamere montate su un drone e la trasmissione via radio delle immagini su un paio di occhiali multimediali praticata da Jake Wells (aka Fleshpilot) tatuatore professionista, costruttore di droni e devoto religioso, il quale ritiene che la soggettiva creata in “FVP” (acronimo di First Person View) gli possa restituire, tra le altre cose, l’esperienza extracorporea che probabilmente Gesù ebbe durante la risurrezione.
Dalle esperienze extracorporee autoindotte si torna a riflettere sul potere della camera come strumento di arbitrarietà con l’interessantissimo progetto lanciato da “B’Tselem’s Camera Project”, che dal 2007 distribuisce telecamere ai palestinesi all’interno delle aree di confine con i territori israeliani, dando loro modo di tener traccia, attraverso riprese raccolte da volontari, delle innumerevoli violazioni dei diritti umani consumate giorno per giorno in quelle zone estreme.
Un omaggio ad Harun Farocki, scomparso prematuramente nel luglio del 2014, fa da cornice all’intera programmazione del festival. L’anteprima di alcuni estratti del progetto intitolato “Labour in a single shot” ci ricorda inoltre – come prossimo appuntamento – l’inaugurazione di una mostra dedicata all’ultimo lavoro omonimo del grande filmaker, presso l’Haus der Kulturen der Welt di Berlino: un’indagine odierna sul mondo del lavoro realizzata in tre anni da Farocki insieme con Antje Ehmann, e al contempo un laboratorio di produzione video che ha toccato più di quindici città in tutto il mondo.
Valentina Scotti
cover image /// transmediale Opening Night by Katharina Träg