Pietro > Daniele Gaglianone

Il presente articolo è stato pubblicato su Rapporto Confidenziale numero28 (speciale 2010), pp. 64-65
all’interno di RC:speciale 63° Festival del film Locarno 4-14 | 8 | 2010

Pietro
Daniele Gaglianone | Italia – 2010 – 35mm – colore – 80’
di Alessio Galbiati

Pietro vive in un’anonima periferia. Ha un lavoro, una casa e una famiglia. Guadagna pochi soldi in nero distribuendo volantini in strada. La sua casa è il vecchio appartamento lasciato dai genitori, ormai fatiscente, dove abita con il fratello Francesco che è tutta la sua famiglia. Ma il loro rapporto è difficile. Francesco è un tossicodipendente, legato ormai in modo irreversibile al suo “amico” spacciatore NikiNiki e al suo gruppo di compari. L’unico modo che ha Pietro per mantenere un contatto con il fratello sembra che sia assecondare il ruolo di buffone ritardato affibbiatogli dalla corte degli amici.
Le offese subite durante le serate col fratello, o nella stessa casa, degradata a lurido porto franco, sono solo l’altra faccia dei soprusi cui Pietro è sottoposto di giorno al lavoro da un capo violento e losco. Eppure tutti continuano sulla loro strada, come ciechi di fronte allo sfacelo che si consuma attorno alle loro vite sprecate.
Qualcosa sembra cambiare quando, sul “posto di lavoro”, Pietro conosce una ragazza, forse più disperata di lui, con la quale, pian piano, sembra instaurarsi un rapporto diverso, dove possono avere spazio la tenerezza e la comprensione. Ma si tratta di un’illusione in una vicenda nera che ha già scritto il suo destino, in una microsocietà educata alla solitudine e alla sopraffazione, dove non c’è spazio per la solidarietà. Durante una delle solite serate, Pietro presenta l’amica ai ragazzi. Subito la festa prende una brutta piega: sarà la miccia che innescherà la reazione di Pietro.

Un film necessario, duro e violento, perché dura e violenta è la realtà nella quale il protagonista della vicenda è immerso: l’Italia di oggi. Pietro è l’agnello di Dio, vittima sacrificale di una società malata che ha smarrito ogni valore ed ogni dignità. Pietro è una metafora, simbolo disperato di una generazione perduta in un Paese smarrito.

Daniele Gaglianone realizza un film indipendente basando l’intera produzione sul miracolo della passione di tutte le persone coinvolte nella sua realizzazione, un metodo che oramai si è fatto largo nel panorama cinematografico italiano, un percorso che attorno ad un soggetto ed una sceneggiatura aggrega tecnici ed attori disposti a prestare la propria professionalità pur senza essere retribuiti. Un metodo del quale Gianluca Arcopinto, sodale produttore del cinema di Gaglianone, è divenuto personalità di riferimento pur nell’impossibilità di produrre tutto quello che sarebbe realmente necessario.

Il film, girato in due settimane con un budget di poco superiore ai centomila euro (per la cronaca un box auto a Milano, in Piazza Risorgimento, costa circa 65 mila euro), riesce nel duplice miracolo di esistere ed essere convincente, soprattutto grazie alle notevoli interpretazioni degli attori coinvolti. Fabrizio Nicastro nei panni di Nikiniki, cinico spacciatore dalla risata grassa, Francesco Lattaruolo, fratello tossico del protagonista dotato di quell’accento ‘terrunciello’ tipico della città di Torino e Carlotta Saletti, delicatissima figura femminile che porterà il film ad una svolta, offrono quella profondità necessaria alla riuscita della pellicola, dando corpo e sostanza ad una drammatica storia di emarginazione sociale. Ma è soprattutto Pietro Casella a creare la magia di questo durissimo film, a portarsi sulle spalle l’intera sua durata.

Pietro è un ragazzo con un blocco emotivo, stritolato fra le incombenze economiche di una casa da portare avanti, fra la responsabilità di accudire quel fratello tossicodipendente che, nel bene e nel male, rappresenta l’unica cosa che gli rimane in un mondo che non ne vuol sapere di lui. Pietro subisce ogni cosa, scivola silenzioso ed invisibile in una città che non si cura della sua esistenza, sbatte contro la durezza di quella giungla che è divenuto il mercato del lavoro, fra il cinismo di un “Capo” fin troppo realistico e l’indifferenza di una città incapace di curarsi dei propri looser. È evidente quanto l’attore sia dovuto scivolare nel personaggio per restituirci quella verosimiglianza indispensabile alla tenuta drammatica della sceneggiatura, la sua interpretazione si compone di una vasta gamma di posture e movimenti, tic nervosi e scatti improvvisi, tanto da far pensare allo spettatore ad una coincidenza totale fra attore e personaggio – posso testimoniare di una notevole sorpresa fra il pubblico, all’incontro seguito all’anteprima del film, nello scoprire che no, Pietro Casella non è il Pietro del film.
Gaglianone costruisce una storia che si evolve con il protagonista, la cui tensione drammatica segue il percorso umano ed emozionale del protagonista, rivelandoci, in un finale straordinario, la vera natura di questo ragazzo – lo fa attraverso un lunghissimo monologo in cui Casella da una prova davvero straordinaria di bravura.

Il cinema italiano in questo anno zero della sua storia lotta per la sua sopravvivenza e film come questi ci ricordano di quanto debbano essere sostenuti il coraggio e la passione, forme essenziali, ma residuali, di resistenza in un contesto che sta sempre più annichilendo ogni energia. Il cinema italiano è come Pietro, il protagonista di questo dramma, ridotto all’invisibilità in un Paese che ha perso ogni capacità di valorizzare ciò che di bello in esso ancora si muove.

Il film avrebbe senz’altro meritato qualche riconoscimento più blasonato del ‘secondo premio’ della Giuria dei giovani, quanto meno a rendere giustizia ad un’interpretazione, quella di Pietro Casella, che non si può dimenticare.

 


Pietro
regia, sceneggiatura: Daniele Gaglianone; montaggio: Enrico Giovannone; fotografia: Gherardo Gossi; musiche: Evandro Fornasier, Walter Magri, Mario Actis, Plus; suono: Vito Martinelli; scenografie, costumi: Lina Fucà; interpreti: Pietro Casella (Pietro), Francesco Lattarulo (Francesco), Fabrizio Nicastro (Nikiniki), Carlotta Saletti (la ragazza), Diego Canteri (amico di Nikiniki), Giuseppe Mattia (il Capo); produttori: Enrico Giovannone, Andrea Parena, Gianluca Arcopinto, Emanuele Nespeca; produzione: Babydoc film (Italia); coproduzione: La Fabbrichetta (Italia); distribuzione italiana: Lucky Red; diritti mondiali: Ellipsis Media International (Italia); paese: Italia; lingua: italiano; anno: 2010; durata: 82’
 


Daniele Gaglianone. Nato ad Ancona il 4 novembre 1966, si è laureato in Storia e Critica del Cinema presso l’Università di Torino. Dai primi anni Novanta collabora all’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza (ANCR) per il quale ha realizzato, tra il ‘91 e il ‘97, numerosi documentari. In questi anni ha anche girato numerosi cortometraggi di fiction: tra questi “L’orecchio ferito del piccolo comandante” (1994), menzione speciale al Festival di Locarno 1995.
Nel 1998 ha collaborato alla sceneggiatura e lavorato come assistente alla regia per il film “Così ridevano” di Gianni Amelio, Leone d’oro alla Mostra di Venezia. Del 2000 è l’esordio nel lungometraggio con “I nostri anni”, selezionato alla Quinzaine des Realisateurs del festival di Cannes 2001 e vincitore del Jerusalem Film Festival 2001 e della Sacher d’oro per la miglior opera prima. Nel 2004 il suo secondo lungometraggio “Nemmeno il destino” partecipa nella sezione Giornate degli Autori alla Mostra di Venezia. Nel 2005 “Nemmeno il destino” vince il Tiger Award all’International Film Festival di Rotterdam e il Premio Speciale della Giuria al Festival di Taipei a Taiwan.
Nel 2008 presenta nella sezione ‘Ici et Ailleurs’ del Festival di Locarno il documentario sulla Bosnia “Rata nece biti – la guerra non ci sarà. Il documentario vince il Premio Speciale della Giuria al Torino Film Festival nella sezione documentari italiani.
Nel 2009 “Rata nece biti – la guerra non ci sarà” riceve il David di Donatello.


Pietro Casella (1980), Francesco Lattarulo (1979) e Fabrizio Nicastro (1979) compongono il gruppo di cabaret Senso D’Oppio. La loro è una comicità surreale, intimamente legata ad una dimensione teatrale. Questo non gli ha precluso di confrontarsi con il grande pubblico della televisione partecipando nel 2009 a numerose puntate di Zelig.
Fabrizio Nicastro ha interpretato uno dei protagonisti (Ferdi) nel precedente lungometraggio di Daniele Gaglianone, “Nemmeno il destino” (2004), dove comparivano anche Francesco Lattarulo e Pietro Casella interpretando due ruoli minori a fianco di Stefano Cassetti.
I nostri tre attori fanno parte anche del gruppo teatrale fondato da Daniele Gaglianone “Il buio fuori” che ha partecipato, con due spettacoli ispirati all’opera dello scrittore inglese Malcolm Lowry, nel 2006 al Festival InTeatro di Polverigi e nel 2007 al Festival Internazionale delle Colline di Torino.

 


Daniele Gaglianone, Pietro Casella, Francesco Lattarulo e Fabrizio Nicastro: incontro con il pubblico.

Daniele Gaglianone: Questo film nasce per diversi motivi che si sono incrociati fra loro. Nasce da percorsi molto personali… ma pure da percorsi più contingenti. Era un periodo un po’ difficile della mia vita, avevo uno stato d’animo forse predisposto a notare delle cose che solitamente non notavo in un modo così intenso. Ho incontrato delle persone che mi hanno fatto pensare ad un personaggio come Pietro, ed ho scritto di getto la storia. Una pagina e mezza in cui, già mentre scrivevo, pensavo che i protagonisti sarebbero stati Pietro Casella, Francesco Lattarulo e Fabrizio Nicastro. Il primo abbozzo della sceneggiatura non aveva ancora un titolo definito, volevo dargli il nome del personaggio, ma ancora non l’avevo… allora siccome per me quel personaggio era Pietro Casella, ho scelto di dargli proprio il suo nome.

Tutti insieme, Dopo un po’ di vicissitudini, abbiamo di farlo questo film, nonostante tutte le difficoltà siamo partiti… L’abbiamo preparato molto bene, così da poterlo girare rapidamente. Con Pietro, Francesco e Fabrizio c’è stato un lavoro intenso di prove, ragionamenti, chiacchierate… c’è molta complicità fra loro e fra loro e me… ci conosciamo da tanti anni, dai tempi del mio secondo lungometraggio “Nemmeno il destino” (2004; ndr.), in cui Fabrizio interpretava uno dei due protagonisti.
Il film è nato in questo modo. Non ho mai pensato nemmeno per un secondo che questo film dovesse essere fatto con degli altri attori. È un film nato in un clima di complicità e sono molto contento di aver pensato sempre a loro.

La sceneggiatura nelle sue varie stesure è andata sempre più cucendosi addosso alle potenzialità del personaggio che, sapevo, loro potevano esprimere. Ovviamente, durante le prove, e durante le conversazioni fra di noi, li ho invitati a far crescere i personaggi e quindi molte cose sono nate insieme a loro. C’è stata una forte complicità. Devo dire che sul set non abbiamo mai improvvisato, tranne che per pochissime cose.

Pietro Casella: Volevo ringraziare Daniele per la grande opportunità che ci ha dato, che mi ha dato. Ma soprattutto volevo ringraziare tutti quelli che hanno lavorato al film, perché senza di loro non si faceva niente. Le riprese sono state due settimane veramente intense, di pura libertà. Nonostante lo spessore del film ci siamo divertiti tantissimo, sembravamo quasi una grande famiglia. Conosco molto bene Francesco e Fabrizio con i quali abbiamo fatto, e continuiamo a fare, un sacco di cose insieme e quindi quando abbiamo letto la sceneggiatura… in cui Francesco era mio fratello ed in cui loro due erano amici… ci siamo immediatamente trovati bene, non abbiamo fatto tanta fatica ad entrare nella storia e nei personaggi. Noi facciamo da quasi dieci anni cabaret insieme… cerchiamo di far ridere.

Francesco Lattarulo: Il fatto di vivere nello stesso palazzo dove sono stati girati gli interni ha contribuito molto a permetterci di immedesimarci nella parte. Vivere nello stesso luogo in cui vivono i personaggi ci ha permesso di interagire prima dell’inizio delle riprese. Se capitavate da quelle parti durante le prove, in quella palazzina, avreste sentito i personaggi stessi del film…

Fabrizio Nicastro: È la seconda volta che lavoro in ambito cinematografico con Daniele, insieme abbiamo fatto anche alcuni lavori teatrali, sempre sulla linea del drammatico pesante, che è un po’ lo stile di Daniele Gaglianone… Sono molto contento di essere qui e sono molto contento di poter dire che la mano del regista si vede tantissimo, che le sue scelte di coraggio sono chiarissime sul grande schermo. La scelta di formare una troupe da battaglia è stata per me davvero coraggiosa.

Daniele Gaglianone: Vorrei puntualizzare una cosa sugli interni. Ho sempre pensato che la casa in cui viveva Pietro col fratello doveva essere la casa di genitori anziani deceduti lasciata ai due figli. Una delle spinte più forti che mi ha convinto a voler credere nella realizzazione del film è stata quando, a giugno, Pietro ha trovato un appartamento nello stesso stabile dove vivono anche Francesco e Fabrizio, ma pure la scenografa e costumista Lina Fucà… La casa in cui Pietro è andato a vivere era stata occupata per trenta o quaranta anni da una signora di settanta… appena sono entrato gli ho detto: “non toccare niente!”. Ed il poveretto ha vissuto per quattro mesi in una casa, devo dire, pessima. È stato incredibile perché cercavo proprio quello: la casa di una coppia di anziani che poi viene occupata da dei giovani che la lasciano andare a sé stessa, senza intervenire in alcun modo.

Locarno – 8 agosto 2010

 



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