Cinderella (Cenerentola) > Clyde Geronimi, Wilfred Jackson, Hamilton Luske

In digitale 2D, Cenerentola è tornata su grande schermo per soli due giorni di torrida estate, quanto basta per sconquassare l’ordine finto dei nostri tempi. Tutti i capolavori Disney dell’epoca d’oro (fino al ’67 de Il libro della giungla, l’ultimo supervisionato da Walt) costituiscono una fuga dalla realtà che dialetticamente ritornano ad essa per corromperla e correggerla, contornandola del sogno che non ha. Il primo lungometraggio non a materiale misto del dopoguerra ri-genera il dream perduto già diffuso da Johnny Mercer alla vigilia del coinvolgimento USA nella II guerra mondiale, diventa l’eco di una tragedia svoltasi attraverso l’orrore di classe, l’invidia, la riduzione a schiavitù mentale e fisica.

La seconda “follia di Disney”, dopo una serie di fallimenti che mettono in forse la ragion d’essere del cartoon lungo, è quasi, nel plot e nello spirito dell’operazione, una copia (cenere e) carbone della prima, Biancaneve e i sette nani. Storia di un’eroina in lotta con le ingiustizie di casta, replica del precipizio borsistico del ’29 e della spinta a reagire, invito a un nuovo, perpetuo New Deal. Una sfida per la factory in crisi e per l’uomo nuovo che, come Disney, deve ricominciare. Daccapo. Mondo e Cartoonia, anno zero.

Al pari di Biancaneve, Cenerentola è condannata all’oscurità, all’anonimato, nonostante e a causa del suo splendore. Incarnazione di un sogno relegato nel soffitto, la rimozione del bello, (di)segno rivelatore di tutte le società (dis)ordinate in gerarchie, totalitarie o democratiche. Immessa in un’interminabile catena di faccende domestiche, imposte da matrigna e sorellastre gelose, rappresenta anche la meccanicizzazione fordista del lavoro, l’alienazione che si sdoppia e fa del numero e della quantità un mostruoso feticcio. Una scena eliminata vedeva una, nessuna e centomila protagoniste sudare e moltiplicarsi di fatica, spersonalizzandosi per poter partecipare al ballo. E’ rimasto invece il riflesso multiplo e multiplane di Cenerentola sulle bolle di sapone generate dai risciacqui, a raddoppiare e triplicare persino la voce ispirata che canta I sogni son desideri (A Dream is A Wish Your Heart Makes): sovrapposizione vocale à la page, ispirata dal chitarrista Les Paul.

Il lavoro coatto, imposto, inutile, distruttore, è l’elemento reale del cartone a cui corrisponde, per inverso, la creativa inattività del sonno, del sogno. Dopo il flashback introduttivo che la mostra bambina, Cenerentola cresciuta fa il suo esordio a letto, sonnecchiante, immersa in una scala magica di sensazioni oniriche. Assonnati pure i topi, infastiditi anch’essi dal lavoro da svolgere. Il diritto alla pigrizia, da Lafargue agli studios di Hollywood, sezione cartoni animati. Nel so(g)n(n)o viene colto e presentato il cane Tobia (Bruno, nell’originale), dorme il Re, dormono le sorellastre Anastasia e Drizella (Genoveffa, nella versione italiana), ronfa il granduca alle prese con la lettura dell’editto imperiale, incubo burocratico. Il sogno si concretizza in quel castello, evidente ed esplicito di-segno, pigramente immesso in un cielo rosa, incorniciato dalla finestra della misera stanza di Cenerentola. Vertiginosa confusione tra vero e falso.

Il film fonde e rifonda i concetti di reale e irreale, vita umana e vita animale, vita al di qua e vita al di là, ricco e povero, con tanto di ponte-transizione tra i due stati/stadi, partendo dal presupposto che tutto è disegnato, quindi, senza alcun ombra di dubbio, vero. «Una bella favola, sire, ma nella vita reale, no, no, no…». L’arciduca ridimensiona il sogno matrimoniale del Re sognato per il Principe, ma ecco che quella favola accade davvero. Sotto gli occhi del Sire e del pubblico, in campo e fuoricampo (davanti allo schermo). Il sogno è ora. La lente del granduca diventa il rovescio di ciò che vedono gli occhialetti di John Carpenter. Qui i mostri, là il bello. Il reale è irreale. La cenere è diamante.

Dopo una serie addormentante di brutte, aspiranti principesse, ecco arrivare l’eroina rilucente d’onirica concretezza. La povera sguattera irrompe come la forza che fa muovere lo sguardo alle guardie imperiali, innaturali marionette paraplegiche incapaci di agire e sentire, solo obbedienti. E’ il bacio virtuoso virtuale che sveglia il Principe e porta il Re a scuotere l’immobilità ingessata dei sottoposti, spingendo uno di essi a ballare con lui. Realtà corrotta corretta. Circolazione del sangue, battito del cuore. Il centro propulsore del Potere non attrae nella propria orbita Cenerentola, avviene l’esatto contrario. La ragazza non entra nel Palazzo per interesse, lo fa per ballare, atto gratuito. Neppure accorgendosi che invitarla alla danza sia il Principe. Ma nessun sogno è per sempre. La mezzanotte è l’ordine cosmico attraverso il quale ritorna il morto, l’ingiustizia, la passione in cenere. Occhi spalancati e in lotta sempre!

Disney è concreto, non ignora nulla della realtà interiore ed esteriore. Non dimostra il miracolo, lo mostra. Parlare con gli uccelli, muti, già presenti nella versione Grimm della fiaba, non in quella Perrault. Interagire con gli animali, i topi bistrattati dall’ordine borghese, dei della peste. Cenerentola è in armonia con tutte le specie del creato. Cani, cavalli, galline, persino un gatto Lucifero, riflesso animal della matrigna. L’irresistibile topolino tonto Gus Gus, alter ego indispensabile del furbo, scattante Jaq, perde i connotati «umani» quando finisce sotto la tazzina di una delle sorellastre e si riduce a «grosso, orribile topo». Hitler nei ratti ci vedeva gli ebrei (topizzati, molti anni dopo, dal Maus di Art Spiegelman), Disney l’eroe Mickey Mouse, sintesi riscattante, almeno agli inizi, dell’emarginato nero, giudeo o hobo. E Vito Russo, l’autore de Lo schermo velato, inserì Jaq e Gus Gus nella vergognosa long list di eroi gay e lesbo dello schermo in cerca di outing.

Dunque, a ogni tassello del puzzle Cenerentola , umano animale o figurativo, viene data pari dignità. Nessun confine, alcun divieto. Un continuo oltrepassare i paletti. E’ un film dal portentoso tono unitario a dispetto dei numerosi stili e generi in esso contenuti. Dietro l’animazione, un lavoro d’équipe perfettamente omogeneizzato. I Nine Old Men disneyani ce la mettono tutta, ispirati come gli otto, bravissimi sceneggiatori. Da Topolino ai nuovi topi, Les Clark è padrone e cultore della materia. La sofisticazione di Marc Davis, l’evanescente di Eric Larson, il tocco massiccio di John Lounsbery e la plasticità a tutto tondo di Frank Thomas (artefice della cattiva Lady Tremaine) vengono ricompresi nella regalità di tocco di Milt Kahl. Ollie Johnston inquina il disegno troppo perfetto (sue le sgraziate sorellastre), mentre Wolfgang Reitherman inserisce scossoni thriller (il suspense hitchcockiano, à la Notorious, della chiave). La lotta tra gatto e topo, invenzione di Ward Kimball, immette un tocco di Tex Avery e Fritz Freleng nel regno incantato della fiaba.

Grandiose gag comiche, tra gli infiniti pertugi, scalinate e porte lubitschiane, oltre le quali lo slapstick intervalla spaventose rifrazioni dark. Bellissima la scena mélo delle sorellastre che strappano di dosso a Cenerentola il vestito agognato. La stanza della matrigna spegne la tavolozza amalgamata di colori opposti, fa sparire l’arcobaleno sontuoso di stati d’animo e punti di vista di cui è intessuto cromaticamente il film. Per interposta Biancaneve, ricorda l’eccesso di colore di Suspiria, solo più pastello. Il giardino decaduto e bluastro anticipa Tim Burton. Il viaggio simbolico verso il castello rinnova la silhouette evocativa di Lotte Reiniger (già autrice di un’incantevole Aschenputtel del 1922), la scena del ballo è Mitteleuropa stilizzata.

In qualche modo non c’è logica, è un balletto di forme, equivalente visivo e narrativo del non-sense musicale Bibbidi-bobbidi-boo. Fantasia dove la fata, pigra e sbadata pure lei, appare come una dea ex machina, la sontuosa incarnazione nonnesca di un girotondo di lucciole, brillii magici in risposta alle lacrime di Cenerentola. Non c’è bisogno di spiegare, raccordare: siamo nella realtà! E la musica (canzoni di Mack David, Jerry Livingston, Al Hoffman) si integra perfettamente ad essa, un successone all’epoca. Pure l’eroina è, ritmicamente, maldestra. Possiede la grazia infinita dell’informale. Perde la scarpa tre volte. Mentre porta la colazione a matrigna e sorellastre; dopo il ballo; durante la cerimonia nuziale. Il Re gliela restituisce intimidito, lei lo bacia sulla testa, il vecchio avvampa come Brontolo innamorato di Biancaneve.

La scarpa e la chiave del pre-finale sono gli elementi irreali che, proprio come il vestito senza il quale non è possibile recarsi al ballo, modellano la realtà con il nulla. La protagonista, chiusa nel soffitto, viene negata agli occhi del mondo, non esiste. E’ l’abito a palesarla. Chiunque indosserà la scarpetta, anche se non è Cenerentola, dovrà sposare il Principe, lo ami o no, sia amata o meno. Al Re interessa la prole, l’amore combinato, la convenzione assicurata. E passa pure per «romantico»! Regno delle apparenze, che Disney manda in frantumi, facendo rompere, geniale variazione, la scarpina di vetro, un istante prima che Cenerentola la calzi. Tuttavia la realtà resa concreta dal sogno materializza il vero negato dall’irreale reale (e regale) dominante. Il granduca è disperato, Cenerentola sorride e Lady Tremaine, sconfitta, strabuzza gli occhi in primo piano. «Ma, vedete, io ho l’altra scarpetta!».

Leonardo Persia

Cinderella
(Cenerentola, USA/1950)
Regia: Clyde Geronimi, Wilfred Jackson, Hamilton Luske
Soggetto: Bill Peet, Erdman Penner, Ted Sears, Winston Hibler, Homer Brightman, Harry Reeves, Ken Anderson, Joe Rinaldi (dalla fiaba di Charles Perrault)
Sceneggiatura: Mac Stewart, Tom Codrick, Lance Nolley, Don Griffith, Ken O’Connor, Hugh Hennesy, Charles Phillipi, Thor Putnam
Musiche: Paul J. Smith, Oliver Wallace
Montaggio: Donald Halliday
Produzione: Walt Disney
Animazioni: Disney Studio (Eric Larson, Milt Kahl, Frank Thomas, John Lounsbery, Wolfgang Reitherman, Ward Kimball, Ollie Johnston, Marc Davis, Les Clark, Norman Ferguson, Don Lusk, Phil Duncan, Hugh Fraser, Hal King, Fred Moore, Judge Whitaker, Cliff Nordberg, Marvin Woodward, Hal Ambro, George Nicholas, Ken O’Brien, George Rowley, Joshua Meador, Jack Boyd)
Voci: Ilene Woods (Cinderella), Eleanor Audley (Lady Tremaine), Verna Felton (Fata Smemorina), Rhoda Williams (Genoveffa), James MacDonald (Bruno/Gus/Jaques)
Voci italiane: Giuliana Maroni (Cenerentola), Tina Lattanzi (Lady Tremaine), Wanda Tettoni (Anastasia), Zoe Incrocci (Genoveffa), Sergio Tedesco (Gas Gas), Stefano Sibaldi (Granduca), Mario Besesti (Re), Laura Carli (Fata Smemorina), Giuseppe Rinaldi (Principe), Vinicio Sofia (Araldo), Giovanna Scotto (Voce narrante)
74′



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