La Mafia uccide solo d’estate > Pierfrancesco “Pif” Diliberto

La Mafia uccide solo d'estate

La mafia uccide solo d’estate è un film banale. Non come il male, la sua è una banalità insulsa. Scrivere di un film banale espone al pericolo di restarne invischiati. Le parole sono un terreno minato sul quale saltano in aria tutti i pensieri, per alti che siano. Per questo invito tutti coloro i quali siano in grado di leggere il pensiero ad attingere a quello, gli altri dovranno accontentarsi di quanto segue.

Questa recensione la dedico alla memoria dei miei 6 euro caduti vittima de La mafia uccide solo d’estate.

«Un grande artista, se davvero se ne sbatte dell’arte lasciandola a quello che è, ingloriosa defecazione, si pone per quello che è, un pericolo pubblico, un criminale. In questo senso, sono stato, sono un criminale. Ho sempre cercato il mio patibolo. Il cemento delle teste vuote contro cui andarmi a disintegrarmi. Mai cercando il sociale». Carmelo Bene

Mai cercando il sociale
Mai cercando il sociale
Mai cercando il sociale
Mai cercando il sociale
Mai cercando il sociale
Mai cercando il sociale

Ripetete con me. Per voi deve diventare un mantra.

Chi scrive sposa in pieno quanto appena esposto. Questo rende La mafia uccide solo d’estate un film che mai potrebbe incontrare i miei favori. Nonostante ciò ho provato con tutto me stesso a trovare qualcosa di buono in questo film, qualcosa che mi facesse sentire meno solo, qualcosa che giustificasse ai miei occhi la quasi totale assenza di recensioni negative. Niente, non ho trovato nulla. La mafia uccide solo d’estate è un’opera priva.

Pif non è dalla parte dei criminali, questo è chiaro. Pif bacia in fronte quelle teste vuote di cemento. Pif non solo cerca il sociale ma lo trova nella sua espressione più patetica e conciliante.
Qui siamo oltre la semplice ricerca, siamo al pedinamento, alla persecuzione, allo stalking del sociale. Il fine è quello di nobilitare, agli occhi di quelli che li hanno abitualmente foderati di prosciutto, una storia banale. Di fronte ai morti ammazzati, ai martiri, agli eroi, il pubblico sospende il giudizio e attiva una modalità di condivisione generica e superficiale che conduce all’apprezzamento di quello che vede senza un motivo razionale. Una sorta di entusiastica ed obbligatoria adesione civile, un senso di colpa di stato.

Con Benigni si è riso dell’olocausto, volete che non si possa ridere della mafia? Per quanto mi riguarda si può pure ridere dei malati di cancro se vi fa piacere ma mi fa molto più ridere sentir parlare di cinema civile, d’autore, impegnato o addirittura coraggioso. Io non parlerei nemmeno di cinema in questo caso. Siamo seri!

Cosa ci sarebbe di coraggioso nel parlar male della mafia? Ormai è come sparare sulla croce rossa. Molto più ardito sarebbe stato fare un film dal punto di vista di un mafioso, magari proprio una commedia, dove gli eroi sarebbero diventati delle buffe caricature e tutto sarebbe stato capovolto, senza cercare pietosamente la lacrima del sempliciotto ma sbattendogli in faccia una realtà che ignora, un altro punto di vista. E invece al solito ci troviamo di fronte i soliti personaggi monodimensionali divisi tra buoni e cattivi talmente apatici e superficiali che la loro morte non turba minimamente. E si badi bene che non è la nobile apatia dell’apatico che fa sì che Anassagora risponda così a colui che lo informava della morte del figlio “Sapevo di averlo generato mortale”, ma bensì l’assenza di qualsiasi azione o reazione naturale che esuli dalla meccanica imposta dal preconfezionamento dei personaggi figli di una scrittura elementare.

Ogni volta mi chiedo perché oggi il cinema definito impegnato debba per forza essere formalmente accessibile a tutti. Perché io dovrei sentirmi trattato come un perfetto idiota nel momento in cui, dio non voglia, sentissi la necessità di approcciare questo genere di film?

Seneca diceva che “L’applauso della folla è la prova dell’empietà di una causa”. E allora ben venga il premio del pubblico al Torino Film Festival!
Vorrei fosse chiaro che non ho un atteggiamento sprezzante nei confronti della spettatore medio. Questi infatti non è capace d’intendere e di volere e non governa i propri stessi pensieri figuriamo i gusti. La mafia uccide solo d’estate è un film beceramente e banalmente ideologico mascherato da commedia. Chi accetta di farsi fare la morale da questo pulpito rasoterra non ha più alcuna dignità.

Verrebbe da chiedersi per quale ragione un esordiente, in Italia, riesca a godere di un simile supporto politico e mediatico. Pif è evidentemente un prodotto televisivo vincente che porta in dote un gregge di spettatori per niente esigenti in fatto di cinema e pronti a digerire entusiasticamente la televisione sul grande schermo. Il cinema c’entra davvero poco. In più compie un passo ulteriore rispetto a film come Diaz, ai quali si criticava l’eccessiva retorica. Infatti usando un registro informale come quello della commedia per trattare un argomento di rilevanza sociale, si mette al riparo da pressioni e critiche facendo addirittura dire a qualcuno che questo film “insegna a ridere della mafia”.
A questo punto visto i trascorsi di Martani, uno degli sceneggiatori, mi aspetto per il prossimo anno un Natale a Corleone.

Se provassi a rileggere quanto appena scritto probabilmente lo troverei patetico almeno quanto il film. Trarre conclusioni che mi appaiono ovvie ma che ovvie evidentemente non sono per tutti, mi porta a pensare che chi non coglie istantaneamente la complessiva bassezza e pochezza di questo film sia talmente distante dal mio sentire che risulta impraticabile qualsiasi forma di comunicazione. Parlare a chi la pensa come me è inutile ma anche parlare al muro non mi soddisfa particolarmente.

Avrei di gran lunga preferito evitare di scrivere del film di Pif, ma ho dovuto farlo. Così facendo forse altri euro eviteranno la sorte toccata ai miei 6 e loro stessi non saranno caduti invano. •

Michele Salvezza

La Mafia uccide solo d’estate

Regia: Pierfrancesco “Pif” Diliberto
Soggetto, sceneggiatura: Michele Astori, Pierfrancesco “Pif” Diliberto, Marco Martani
Fotografia: Roberto Forza
Montaggio: Cristiano Travaglioli
Musiche: Santi Pulvirenti
Casting: Maurilio Mangano
Produttori: Mario Gianani, Lorenzo Mieli
Organizzatore generale: Patrick Carrarin
Produttore Esecutivo: Olivia Sleiter
Interpreti principali: Cristiana Capotondi (Flora), Pierfrancesco “Pif” Diliberto (Arturo), Claudio Gioe’ (Francesco), Ninni Bruschetta (Fra Giacinto), Alex Bisconti (Arturo bambino), Ginevra Antona (Flora bambina), Barbara Tabita (Maria Pia), Rosario Lisma (Lorenzo)
Produzione: Wildside Media, Rai Cinema; in collaborazione con MTV Italia
Distribuzione: 01 Distribution
Paese: Italia
Anno: 2013
Durata: 90′



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Ci sono 6 commenti...

  1. Carmen Albergo

    Buon giorno Michele!
    Mi va di esprimere il mio generale accordo con questa sua recensione del film (in
    particolare concordo con il parallelo, fatte sempre le dovute distinzioni, con
    il film “Diaz” di Vicari: anche in questo caso il film si erge su tesi pre-messe(in
    scena) che non problematizzano criticamente in alcun modo un dibattito pubblico,
    piuttosto reiterano solo la memoria collettiva – aneddoto televisivo di repertorio
    e a tal proposito, mi permetto di aggiungere al suo personale compianto di
    questi 6 euro, ancor di più quelli spesi per “L’ultima ruota del carro” di Veronesi).
    Tuttavia, mi va anche di esprimere un paio di note di replica (almeno nelle
    intenzioni costruttiva) mi sovviene quanto affermava Serge Daney ne “Il cinema, e oltre” in merito all’ultimo (e unico) valore possibile nella discutibilità del visibile, il valore della Tolleranza: arrestarsi nel punto di non ritorno di tollerare che altri
    possano rinvenire un qlche valore in ciò che per noi è privo di valore (se non
    ci appellassimo a questo consapevole artificio teorico non potremmo sopravvivere
    ai prodotti mediali commerciali, Zalone su tutti, che infestano il grande schermo per quello stesso gregge di spettatori, che se vogliamo con Pif è già una spanna sopra) Anche “La mafia uccide solo d’estate” (come “Diaz” e tutta la schiera di film, per es. la filmografia di Giordana) non perderanno mai il merito di voler riportare alla mente del grande pubblico la storia recente italiana che non compare sui testi scolastici di predeterminazione ministeriale e cmnq con una fattura sempre superiore alle odiosissime fictionTv o Talk di commemorazione nostrani. E purtroppo questo punto, nel caso del film di Pif, non scade meccanicamente nella retorica, se si pone mente ad almeno due dati (di
    fatto?): 1) poterne parlare ai bambini raggirando l’osticità formale di genere
    2)rammentare la lungimiranza intellettuale di Pasolini che denunciava

    “Noi siamo un paese senza memoria. Il che
    equivale a dire senza storia. L’Italia
    rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell’oblio dell’etere televisivo, ne
    tiene solo i ricordi, i frammenti che potrebbero farle comodo per le sue
    contorsioni, per le sue conversioni … Se l’Italia avesse cura della sua storia,
    della sua memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascono dal nulla, sono il
    portato di veleni antichi … che i suoi vizi sono ciclici, si ripetono incarnati
    da uomini diversi con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica,
    con l’identica allergia alla coerenza, a una tensione morale”

    Per fortuna l’Italia, tra cinema e letteratura i suoi Grandi eroi della memoria li ha, solo che per paradosso o per una sorta di “spirale del silenzio”, li relega fuori dal grande schermo, dal grande pubblico, dalla (dis)istruzione e (dis)informazione di
    massa, contribuendo alla reiterazione della profezia pasoliniana. Io penso
    essenzialmente al Maestro Rosi che ci sbatteva in faccia le preistoria della “Trattativa” già nel 1961…cercando di de-retoricizzare la visione filmica dentro e fuori la
    sala. Ora negli interstizi della banalità de “La mafia uccide solo d’estate” io
    ho intravisto la rielaborazione (voluta o no che sia) di una eco Rosiana: il
    focus – carrellata delle lapidi delle vittime di mafia (“Lucky Luciano”) non
    più tra le mura dislocate (dalla coscienza civica) del cimitero (metafora e
    prefigurazione della continuità generazionale già segnata – l’incontro dei bambini) bensì nelle strade pubbliche. Palermo città – cimitero memoria vigile sotto gli occhi
    de-lucidati da nomi e cognomi, tuttora sconosciuti alle nuove generazioni, anziché
    commemorativamente lucidi per il (rim)pianto del passato. Quando si vive in una specie di Sodoma e Gomorra intellettuale, e soprattutto civilmente educativa, io credo che una certa “tolleranza critica” meriti lo sforzo e anche la spesa, quanto meno per poterne/doverne discutere con cognizione.

  2. Carmen Albergo

    Buon giorno Michele!

    Mi va di esprimere il mio generale accordo con questa sua recensione del film (in
    particolare concordo con il parallelo, fatte sempre le dovute distinzioni, con
    il film “Diaz” di Vicari: anche in questo caso il film si erge su tesi
    pre-messe(in scena) che non problematizzano criticamente in alcun modo un
    dibattito pubblico, piuttosto reiterano solo la memoria collettiva – aneddoto
    televisivo di repertorio e a tal proposito, mi permetto di aggiungere al suo
    personale compianto di questi 6 euro, ancor di più quelli spesi per “L’ultima
    ruota del carro” di Veronesi). Tuttavia, mi va anche di esprimere un paio di
    note di replica (almeno nelle intenzioni costruttiva) mi sovviene quanto
    affermava Serge Daney ne “Il cinema, e oltre” in merito all’ultimo (e unico) valore possibile nella discutibilità del visibile, il valore della Tolleranza: arrestarsi nel punto di non ritorno di tollerare che altri possano rinvenire un qlche valore in ciò che per noi è privo di valore (se non ci appellassimo a questo consapevole artificio teorico non potremmo sopravvivere ai prodotti mediali commerciali, Zalone su tutti, che infestano il grande schermo per quello stesso gregge di spettatori, che se vogliamo con Pif è già una spanna sopra) Anche “La mafia uccide solo d’estate” (come “Diaz” e tutta la schiera di film, per es. la filmografia di Giordana) non perderanno mai il merito di voler riportare alla mente del grande pubblico la storia recente italiana che non compare sui testi scolastici di predeterminazione ministeriale e cmnq con una fattura sempre superiore alle odiosissime fictionTv o Talk di commemorazione nostrani. E purtroppo questo punto, nel caso del film di Pif, non scade meccanicamente nella retorica, se si pone mente ad almeno due
    dati (di fatto?): 1) poterne parlare ai bambini raggirando l’osticità formale di genere 2)rammentare la lungimiranza intellettuale di Pasolini che denunciava
    “Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia. L’Italia
    rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell’oblio dell’etere televisivo, ne
    tiene solo i ricordi, i frammenti che potrebbero farle comodo per le sue
    contorsioni, per le sue conversioni … Se l’Italia avesse cura della sua storia,
    della sua memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascono dal nulla, sono il
    portato di veleni antichi … che i suoi vizi sono ciclici, si ripetono incarnati
    da uomini diversi con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica,
    con l’identica allergia alla coerenza, a una tensione morale”
    Per fortuna l’Italia, tra cinema e letteratura i suoi Grandi eroi della memoria li
    ha, solo che per paradosso o per una sorta di “spirale del silenzio”, li relega
    fuori dal grande schermo, dal grande pubblico, dalla (dis)istruzione e
    (dis)informazione di massa, contribuendo alla reiterazione della profezia
    pasoliniana. Io penso essenzialmente al Maestro Rosi che ci sbatteva in faccia
    le preistoria della “Trattativa” già nel 1961…cercando di de-retoricizzare la
    visione filmica dentro e fuori la sala. Ora negli interstizi della banalità de
    “La mafia uccide solo d’estate” io ho intravisto la rielaborazione (voluta o no
    che sia) di una eco Rosiana: il focus – carrellata delle lapidi delle vittime
    di mafia (“Lucky Luciano”) non più tra le mura dislocate (dalla coscienza
    civica) del cimitero (metafora e prefigurazione della continuità generazionale
    già segnata – l’incontro dei bambini) bensì nelle strade pubbliche. Palermo città –
    cimitero memoria vigile sotto gli occhi de-lucidati da nomi e cognomi, tuttora
    sconosciuti alle nuove generazioni, anziché commemorativamente lucidi per il
    (rim)pianto del passato. Quando si vive in una specie di Sodoma e Gomorra intellettuale, e soprattutto civilmente educativa, io credo che una certa “tolleranza critica” meriti lo sforzo e anche la spesa, quanto meno per poterne/doverne discutere con cognizione.

  3. Michele Salvezza

    Buongiorno Carmen,
    Il parallelo tra Pif e Rosi mi ha fatto letteralmente accapponare la pelle. Nonostante ciò ti ringrazio per il commento. Nel momento in cui nessuno più si prenderà la briga di sottolineare la differenza tra questa roba e il Cinema potremmo dire addio alla settima arte. Da parte mia tolleranza zero verso chi usa l’impegno civile per affermare solo il proprio ego e ricavarne un profitto. Non lasciarti sedurre. Non sospendere il giudizio. Un film mediocre è tale anche se parla di valori che pensi di condividere.

  4. Rigetto

    Hai sicuramente il dono dell’eloquio. E’ una delle poche recensioni che ho letto su questo film con la quale mi trovo d’accordo. Di solito, se ho qualche dubbio, leggo prima qualche recensione e poi decido se vedere o meno il film. In questo caso pensavo di poter perdere due ore per guardarlo da spettatore (l’ho proiettato nel cinema dove lavoro, se il film non m’interessa lo faccio scorrere sullo schermo per vedere se va tutto bene, ma non lo guardo). Dopo la visione, durante la quale mi sono dovuto sforzare di tenermi lontano dallo smartphone (segno inequivocabile di noia profondissima), ho cercato le recensioni. Poveretto, lo avranno stroncato tutti, pensavo. E invece no: osanna alleluia santo subito una boccata d’aria fresca…
    Grazie per aver messo in parole una parte dei miei pensieri. Mi conforta (poco, ma mi conforta).

    1. Michele Salvezza

      Dobbiamo confortarci a vicenda, ci resta poco altro da fare. Essere megafoni di ciò che ci appare ovvio è un puro atto di resistenza. Mentre scrivo Pif vince il David di Donatello quale miglior regista esordiente e i miei sei euro si rivoltano nella cassa.

      1. Nonno

        Mi fa piacere per lui, cosa devo dire? Mi fa meno piacere per il cinema. Oramai si vedono così tanti film raffazzonati su alla bene meglio fare incassi record e ricevere plausi a destra e a sinistra.

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