Giannalberto Bendazzi (Ravenna , 1946) è la voce più autorevole che il cinema d’animazione internazionale possieda. Autore dei più importanti volumi dedicati alla storia del cinema d’animazione – il suo Cartoons – Cento anni di cinema d’animazione (tradotto in inglese, francese, spagnolo e persiano ma in Italia non è mai più stato ristampato) rappresenta una pietra miliare per studiosi e appassionati –, Bendazzi è ciò che si suol dire un’istituzione. Attualmente è Visiting Professor di Storia dell’animazione alla Nanyang Technological University di Singapore, in fuga dall’Italia, dalla sua decadenza e dalle sue miserrime dinamiche accademiche. Nel maggio 2015 sarà pubblicato da Focal Press, in tre volumi per un totale di 1500 pagine, Animation – A World History, uno sforzo enciclopedico mai visto prima totalmente dedicato al cinema d’animazione degli ultimi trent’anni.
[Rimando il lettore alla coda dell’intervista per un quadro più esaustivo, ma comunque parziale, della bibliografia di Giannalberto Bendazzi]
Alessio Galbiati: La storia di Simone Massi, il suo percorso artistico, i traguardi da lui raggiunti e le difficoltà incontrate rappresentano un caso tanto eccellente e singolare quanto paradigmatico dell’Italia e del nostro tempo. Dopo aver pubblicato una lunga conversazione con lui (Mordere nei sassi. Conversazione con Simone Massi), ho pensato di chiederti, in qualità d’uno dei più importanti e prestigiosi studiosi di cinema d’animazione a livello mondiale, di illustrare ai nostri lettori un breve profilo di Simone e del suo cinema. Dunque: chi è Simone Massi?
Giannalberto Bendazzi: Prima di tutto è un amico. Ho conosciuto Simone 13 o 14 anni fa, quando ancora era un giovane promettente, ma già molto determinato. Ci siamo stimati, abbiamo fatto amicizia e ci siamo sempre voluti molto bene. La mia prima risposta è che Simone è una persona che amo. Se poi vogliamo separare la persona che amo dalla persona che ammiro, dico che probabilmente è il più interessante cineasta d’animazione italiano oggi vivente. Il suo è uno stile molto personale ma al contempo legato alle opere di un gruppo, di una corrente, che qualche anno addietro con una mia studentessa (Priscilla Mancini, autrice di una tesi di laurea dedicata a Simone Massi e di un libro sulla corrente: L’animazione dipinta. La corrente neopittorica del cartoon italiano, ed. Tunué 2014) definimmo neopittorica. Un gruppo molto legato alla regione in cui vive, alla scuola d’arte di Urbino ma anche all’epoca nella quale vive. Credo che l’importanza di Simone e dei neopittorici sia estremamente centrale per il nostro tempo. L’Italia è un paese in precipitosa decadenza, una decadenza che è morale, economica, spirituale, di identità e l’unica soluzione possibile, per chi possiede intelligenza e nerbo, per chi ha colonna vertebrale, è quella di chiudersi nella propria fortezza privata e testimoniare la propria esistenza, e quella della propria generazione, per vie artistiche e intellettuali. Non esistono vie ufficiali percorribili, queste sono di fatto precluse, impossibili. La vedo un po’ come la situazione dei monaci del Medioevo che si chiudevano nei monasteri e copiavano i testi latini e greci per le future generazioni. Un’altra soluzione, per molti, è emigrare. Io non appartengo a quella generazione, potrei essere il padre di Simone, ho ventiquattro anni più di lui però, a mia volta, come vedi… mi stai telefonando dall’Italia e ti sto rispondendo da Singapore. Insegno all’Università di Singapore perché nell’Università italiana non avrei mai trovato posto. Trovai posto, ma a cifre ridicole e quasi umilianti. Dunque l’altra soluzione è emigrare, portando all’estero le migliori capacità italiane che possono essere esportate. Questo è il bivio. Non credo che in Italia si possa fare molto, a meno che non si sia nati ricchi o figli di onorevole.
AG: È inevitabile, allora, che quando si parla di Simone Massi il discorso finisca sempre sull’Italia. Un discorso che è pessimistico o realistico, dipende dai punti di vista…
GB: È tanto pessimistico quanto realistico il discorso sull’Italia. L’Italia è però il caso più brutto di una situazione che, comunque, è sempre esistita. È la terza faccia della medaglia. Come tu sai le medaglie hanno tre facce: uno di qua, una di là e una che fa da corona. La faccia della medaglia che fa da corona è quella per la quale il mondo dell’arte, della creatività e dell’intellettualità in una società di massa e di consumo sono limitati da tutti i i punti di vista. E infatti la terza faccia delle medaglie è molto stretta. Il mondo dell’intellettualità in una società di massa e di consumo è limitato economicamente, intellettualmente, spiritualmente, moralmente, eccetera eccetera. In questo mondo chiunque faccia film “alla Simone Massi” è in condizioni di isolamento e proscrizione. Certo che ci sono paesi migliori, la circonvicina e cugina Francia ne è un esempio. Tu puoi essere un cineasta “alla Simone Massi” e trovare un finanziamento dello Stato, della televisione, trovare un produttore illuminato e vivere, non dico lautamente, ma dignitosamente del tuo mestiere, cosa che non si può fare in Italia. Perché la produzione di élite non ha mercato, proprio perché d’élite. Il mio più grande Maestro e amico fu Alexandre Alexeieff, un grandissimo artista dell’animazione, dell’incisione e dell’acquaforte che passò l’intera sua esistenza in povertà. Nacque nel 1901 e morì nel 1982, dunque in un’altra epoca rispetto alla nostra, ma passò la sua vita povero, permettendosi solo qualche piccolo sfizio: qualche vacanza in Italia, qualche viaggio all’estero e qualche partecipazione a festival. Questo accadde proprio perché la sua era un’arte d’élite, ad alto livello intellettuale. E ha vissuto in Francia! Dunque quello che accade oggi non è una cosa strana, non è una cosa nuova. Questa è la terza faccia della medaglia. Se invece che fare film di ricerca spirituale, politica, morale e storica Simone facesse bau-bau ciao-ciao qua-qua… allora sicuramente avrebbe maggiori possibilità.
AG: Cos’è successo all’animazione in Italia. Perché da un certo punto in poi un intero settore industriale, comunque presente almeno fino all’epoca di Carosello (l’ultima messa in onda è datata 1 gennaio 1977), è totalmente scomparso? Come mai da un certo momento in poi non ci sono più state, in Italia, cose di produzione dedicate all’animazione?
GB: L’animazione in Italia ha vissuto un solo momento di discreta fioritura: dal 1958 al 1977. Cioè quando Carosello fece degli episodi pubblicitari in animazione. In quegli anni la creatività degli animatori italiani si sviluppò perché aveva un mercato, dei clienti. Carosello non fu il solo aspetto che favorì quella stagione, vi fu anche un altro elemento assai importante. Nel 1965 venne fatta la legge 1213, la cosiddetta legge Corona (dal nome del Ministro proponente), che istituì dei premi di qualità assegnati trimestralmente ai cortometraggi che dessero garanzie di qualità, aumentati del 10% nel caso fossero realizzati in animazione. E per qualche anno la cosa funzionò. Pur con tutti i limiti, che non sto a spiegarti, la legge Corona diede modo ad alcuni produttori di fare film e di incassare qualche ridicolo profitto. Purtroppo però la legge Corona presentava un difetto innato e insormontabile, in quanto determinava per iscritto, e una volta per tutte, l’entità dell’ammontare dei premi di qualità. Ora tu capisci che, in una paese flagellato dall’inflazione, un premio che valeva 10 milioni di lire nel 1965 non valeva più un accidente dieci anni dopo. A quel punto la leggere Corona divenne inefficace. In quel periodo fortunato l’animazione italiana ebbe un minimo di sviluppo industriale ma, per il resto della sua storia, l’animazione italiana si è sempre basata sulla buona volontà di alcuni individui autodidatti. Artisti che non potevano fare a meno di esprimersi. Simone vive nel 2014, la stessa esperienza che avrebbe vissuto nel 1954.
AG: Per quale motivo in Italia non esiste un festival dedicato all’animazione? Un festival che sia magari anche in grado di sostenere in qualche modo i cineasti…
GB: Ho poca fiducia nella capacità dei festival di sostenere qualunque cosa se non la distribuzione. I festival offrono l’opportunità ai film di essere visti, questo è il sostegno che possono dare al cinema d’animazione. Quanto al perché non ne esista uno in Italia… la risposta è abbastanza facile. Non ne esiste nessuno perché non esistono i soldi. Ho cercato di realizzare un festival ma ne abbiamo realizzata una sola edizione, a Chiavari nel 2004. Altre persone ci hanno provato e quelle esperienze sono durate più tempo, però sono esperienze sempre basate su piccolissimi budget sopra i quali si lavora al risparmi estremo. Come dice un vecchio proverbio: non si possono fare le nozze coi fichi secchi. Per avere un festival internazionale bisogna avere un budget da festival internazionale e non da sagra della salsiccia.
AG: Pensi che non esista spazio in questo momento per poter pensare a una cosa del genere? Non esistono le risorse oppure non esiste un interesse politico per poter dar vita a un festival italiano dedicato all’animazione dal forte respiro internazionale?
GB: Non esiste assolutamente alcun interesse politico perché l’animazione, per la politica, non rappresenta nulla di interessante. Ci vorrebbe qualche rivalità comunale… la speranza è che l’Italia sia talmente divisa che i romani odino i napoletani, i napoletani i romani e quindi Napoli faccia un festival del cinema per rivaleggiare con quello di Roma; o che Milano odi Torino e faccia un festival del cinema per rivaleggiare con quello di Torino. In questo caso se Roma fa un festival dedicato al cinema dal vero, Napoli potrebbe fare un festival dedicato al cinema d’animazione; se Torino fa dal vero, Milano fa l’animazione… non lo so…
AG: Qual è l’attuale livello del cinema italiano d’animazione nello scenario internazionale?
GB: Dobbiamo distinguere. Ci sono moltissimi cinema d’animazione al mondo. Se fermiamo la nostra analisi al cinema d’animazione d’autore, l’Italia non è messa malissimo. In fondo nelle guerre fra poveri… poveri italiani, poveri americani, poveri inglesi e poveri svedesi… le armi sono quasi pari. Simone non a caso ha fatto una messe di premi ai festival internazionali riservati al cinema d’autore, occasioni che rappresentano l’unico sistema per distribuire il cinema d’animazione d’autore e per remunerarlo attraverso i premi erogati. Se invece pensiamo ai lungometraggi, tipo Disney, tipo Pinocchio per parlare di un prodotto italiano, il mercato è completamente diverso e la situazione italiana, in questo caso, è disperata. Se va bene esce un lungometraggio ogni due anni, mentre in paesi secondari – secondo la visione italiana – come l’Iran ne vengono prodotti una dozzina all’anno. Oppure la Corea… Ovviamente sono paesi solo in apparenza secondari, perché in realtà sono molto più ricchi di noi. La terza sezione, quella delle serie televisive, ci vede produrre opere di una qualità ancora più bassa dello standard decisamente modesto circolante. Siamo ben lontani dalla qualità giapponese, coreana, cinese e soprattutto americana. C’è poco mercato per il nostro prodotto.
In sostanza l’Italia non è il paese dell’animazione, non lo è assolutamente.
AG: Quali sono a tuo avviso gli autori più interessanti dell’animazione italiana contemporanea?
GB: Devo confessare che ne conosco pochi perché da circa 7-8 anni sono stato recluso in casa a scrivere, dunque ho partecipato a pochi festival e ho visto pochi film. Direi che l’ultima cosa importante che ricordo è la produzione della corrente cosiddetta neopittorica. Simone Massi, Roberto Catani, Gianluigi Toccafondo, Magda Guidi, Mara Cerri, Elena Chiesa, Ursula Ferrara… sono tutti artisti di un livello molto alto, per i quali nutro una profonda stima e un grande affetto. Li conoscono a uno a uno e, nei miei limiti, ho sempre cercato di sostenerli. Nei miei limiti perché, a mia volta, conto quello che conto…
AG: Per quale motivo i tuoi libri hanno smesso di uscire in Italia? Come mai da un certo momento in poi non sono più stati pubblicati o anche solo ripubblicati? E soprattutto perché i libri pubblicati in lingua inglese o francese non hanno mai avuto un’edizione italiana? Attualmente stai lavorando a una storia mondiale del cinema di animazione… questo tuo nuovo libro, per esempio, uscirà in Italia?
GB: Il libro che sto concludendo, Animation – A World History, l’ho scritto direttamente in inglese per un editore americano (Focal Press). Si tratterà di tre volumi rilegati, complessivamente di 1500 pagine. Sarà una specie di storia onnicomprensiva che ovviamente però, trattando degli ultimi tre decenni più vicini a noi, non mi ha dato la possibilità di fare storia ma cronaca – non c’è il distacco storico necessario. Ho avuto richieste di traduzione da parte della Cina, della Corea, della Polonia, della Repubblica Ceca ma dubito ci sarà mai un’edizione italiana. Perché è un libro corposo ed è un libro che interessa moltissimo pochissima gente. Dal punto di vista del mercato sarebbe un lavoro inutile… Una volta però l’editoria avrebbe fatto un sacrifico per il prestigio ma oggi, sicuramente, non lo farà.
Per quanto riguarda i miei libri… In pratica negli anni recenti non ho lavorato moltissimo, dal 2006 al 2014 mi sono impegnato nella realizzazione di Animation – A World History. In collaborazione con un collega dell’università di Milano (Raffaele De Berti) ho realizzato, in lingua italiana, un libro dedicato a Bruno Bozzetto (La fabbrica dell’animazione. Bruno Bozzetto nell’industria culturale italiana; ed. Il Castoro, 2003), libro che però è stato distribuito pochissimo. Ho anche realizzato un libro piuttosto importante su Alexandre Alexeieff che uscì contemporaneamente in lingua inglese e francese (Alexeieff – Itinéraire d’un maître / Itinerary of a Master; ed. Dreamland, Parigi, 2001) ma che non incontrò mai l’interesse di alcun editore italiano.
Sostanzialmente mi considero un autore nato in Italia ma fondamentalmente anglofono o francofono.
AG: Ti senti in esilio?
GB: In esilio no, perché è stata una mia scelta. Sono espatriato, come tanti che vanno all’estero a studiare o insegnare o a lavorare perché altrimenti, in patria, non troverebbero le condizioni per fare le stesse cose. Adesso comunque ti parlo da Singapore ma tra un paio di settimane sarò di nuovo in Italia, dove mi fermerò per un paio d’anni. Poi cercherò nuovamente di andare all’estero, anche se non sono più giovincello. Per un paio d’anni mi conviene fermarmi per il lancio del libro di cui parlavamo poco fa e l’Italia si trova in una posizione molto più strategica che Singapore. È vero che l’estremo Oriente è la spina dorsale del mondo d’oggi e di domani, però è pur vero che il loro sviluppo è primariamente economico mentre la cultura è, ancora, patrimonio dell’Europa e degli Stati Uniti. Dall’Italia sono Parigi in un’ora di volo, da Singapore invece ce ne metto tredici di ore.
AG: Tornando a Simone. Nell’intervista che mi ha concesso, nella conversazione che abbiamo intrattenuto, traspare una forte amarezza dalle sue parole, tanto che in un paio di risposte afferma esplicitamente e senza giri di parole di stare riflettendo se continuare o meno la sua carriera d’animatore. Di quale sia la situazione italiana ne hai già parlato con estrema lucidità… Cosa ti sentiresti di consigliare a Simone? Cosa può fare alla luce del fatto che avverte per il proprio cinema una riduzione degli spazi entro l’ambito dei festival internazionali?
GB: Certi spazi si sono ridotti e si sarebbero ridimensionati comunque, perché il festival per sua natura non premia l’autore affermato. Ricordo che ai tempi in cui ero giovane Norman McLaren partecipava al festival di Annecy e non entrava nemmeno nei premiati. Alexandre Alexeieff partecipò con uno dei suoi film più belli (Tableaux d’une exposition) al primo festival di Zagabria, nel 1972, e non entrò tra i premiati. Questo perché erano già conosciuti, perché già si sapeva che erano dei giganti dell’animazione. Perché premiare un gigante? Meglio premiare una voce nuova, meglio fare una scoperta. Ed è questa la mentalità di un po’ tutti i festival. Non posso dare consigli a Simone perché è una persona adulta e ne sa più di me. Me ne guarderei bene dal ficcanasare. L’unica cosa che dico è che la sua scelta è quella della libertà e la libertà è una delle cose più costose che ci siano al mondo. Per essere liberi bisogna spendere moltissimo: denaro, dolore, fatica, sofferenza, solitudine. La libertà è un lusso rarissimo. La maggior parte degli altri autori indipendenti di poesia e arte sincera, fanno un secondo lavoro, o un primo lavoro, che produce loro uno stipendio per sopravvivere. Non sarò io a dire a Simone che per continuare a fare i suoi film deve andare a fare l’insegnante di disegno alle scuole medie, oppure di mettersi a fare pubblicità… ma questa è la soluzione più semplice che tanti altri hanno provato. Certamente vivere d’arte non si può. Non si può nel mondo occidentale. Si poteva nell’Europa dell’est quando c’era il comunismo. Ma quelli erano altri tempi e altri sistemi politici e tra l’altro non sono convinto che l’Europa dell’est, durante il comunismo, sia stato un posto felice. L’ho conosciuta bene ed erano tutti infelici.
AG: Quali sono i paesi in cui, forse, c’è maggiore libertà ed esistono le condizioni per poter vivere della propria arte?
GB: In Europa in generale, in Inghilterra e Francia in particolare. Un po’ in Canada, un po’ negli Stati Uniti. Però anche lì, anche in questi paesi, per montare dal punto di vista finanziario un film occorrono due anni e almeno sei mesi per la sua realizzazione. È un lavoraccio pesante. D’altra parte costituire una distribuzione per cortometraggi d’autore non è facile perché siamo in una società di massa e di consumo. Qualunque notizia il giornalismo ti dia, risponderà sempre alla logica della massa e di consumo e non alle logiche della qualità.
Recentemente è successa una cosa che è passata sotto silenzio – o quasi… non so in Italia quanto se ne sia parlato con l’attenzione che il fatto meriterebbe. Una sonda, credo americana, è atterrata su una cometa e per la prima volta nella storia abbiamo un vascello spaziale, un occhio, che viene trascinato attraverso lo spazio da un corpo celeste. Siamo ospiti di un cavallo alato. Questa è una notizia straordinaria per la Storia. Ma per la cronaca è molto meno importante del cambiamento di cappellino della signora Clinton o della nuova trasmissione televisiva.
È evidente che la misura non è quella della qualità ma quella dell’efficacia sul minimo comun denominatore. Però minimo.
AG: Dove e quando nasce il tuo amore per il cinema di animazione?
GB: Credevo fosse un’intervista su Simone Massi (ride). La mia personalissima visione delle cose è purtroppo d’élite. Sono un critico cinematografico, mi occupo di comunicazione di massa ma ho gusti di élite. Tant’è vero che, appunto, il mio libro che leggerai ha come filtro la qualità. Che un film abbia incassato molto o poco, sia molto popolare o molto poco popolare, conta poco per me. Quello che conta è che lo reputi bello o brutto. Poi posso sbagliare, anzi sbaglio senz’altro, però lo dichiaro onestamente e queste sono le mie valutazioni.
Ero un giovane appassionato di poesia, letteratura, musica, pittura e cose di questo genere… e a un certo punto mi innamorai del cinema. Parlo dei miei quattordici anni. Mi innamorai del linguaggio cinematografico e mi dissi che se esisteva un modo d’essere puri con questo linguaggio era quello di non usare un profilmico che già esiste ma di inventarne uno. Mi domandavo se questo potesse essere possibile. Dopodiché mi accorsi che esisteva il cinema di animazione. Da quel momento in poi mi dedicai allo studio del cinema di animazione. In particolare mi piace la poesia; la narrazione delle avventure del tale o del talaltro mi interessa relativamente poco. Invece i film come quelli di Simone mi dicono moltissimo perché sono pieni di analogie, sensazioni, suggerimenti, connessioni tra suono e immagine. Questo tipo di cinema è come un cartoccio che devi scartocciare per trovare i diamanti. Questo è quello che mi piace. Da quel momento in poi mi sono appassionato e da quel momento in poi ne ho fatto un secondo mestiere. Invece di correre dietro alle ragazze passavo i sabati e le domeniche a scrivere saggi molto colti sul cinema d’animazione.
AG: E poi magari le ragazze ci cascavano lo stesso…
GB: Più che altro ci cascavo io con loro.
AG: Qual è stato il primissimo film d’animazione che ti ricordi, quello che ti ha fatto dire “è questo quello che stavo cercando!”?
GB: Ne ho visti tantissimi che mi hanno moltissimo entusiasmato. Però, quello che ha fatto scattare in me l’idea di occuparmi per il resto della vita di animazione è un film che pochissimi conoscono. Si chiama The Hangman, ed è un film del 1964 diretto da Les Goldman, che ne è anche produttore, illustrato dal disegnatore e pittore Paul Julian. È un film basato essenzialmente su movimenti di macchina e assai poco animato, forse per nulla animato, e tutto giocato su di una poesia che racconta come un giorno, in una città, arrivò un boia che incominciò ad impiccare le persone a una a una e di come tutti trovassero sollievo all’idea che quel giorno fosse capitato a un’altra persona. Fino a quando ne rimarrà uno solo e il boia gli dirà “ero venuto per te ma tu non hai avuto il coraggio di batterti per evitare di morire”. Credevo molto, e ci credo tutt’ora, nell’animazione legata alla parola poetica e questo mi convinse che quello dell’animazione era il mio mondo.
AG: Mi sembra un’ottima conclusione. In qualche modo il discorso è circolare… sempre pensando all’ottimismo.
GB: Sono contento delle mie scelte e non ne rimpiango neanche una. Sono arrivato a sessantotto anni senza rimorsi, senza rimpianti e soprattutto senza padroni – e non è una cosa facile. Sono molto felice di aver fatto le mie scelte.
– Novembre 2014
GIANNALBERTO BENDAZZI / BIBLIOGRAFIA
Sul sito giannalbertobendazzi.com è possibile scaricare gratuitamente diversi testi curati da Bendazzi.
Per una panoramica completa della carriera e delle pubblicazioni rimando il lettore al sito di Giannalberto Bendazzi.
Quirino Cristiani, pionero del cine de animación
Ediciones de la Flor, Buenos Aires, 2008
L’uomo che anticipò Disney
Tunué, Latina, 2007
Il cinema d’animazione e la nuova critica
(ed.) Cuem, Milan, 2006
Animazione e realismo by Midhat Ajanovic
(ed.) Cuem, Milan, 2005
Lezioni sul cinema d’animazione
Cuem, Milano, 2004, 2005
Alexandre Alexeieff – Poemes de llum i ombra / Poemas de luz y sombra / Poems of Light and Shadow
Sitges 03, Festival Internacional de Cinema de Catalunya, Barcelona, 2003
La fabbrica dell’animazione. Bruno Bozzetto nell’industria culturale italiana
(ed.) Il Castoro, Milan, 2003
I continenti dell’animazione
Cuem, Milan, 2002, 2003
Alexeieff – Itinéraire d’un maître / Itinerary of a Master
(ed.), Dreamland, Paris, 2001
Le tour de l’animation en 84 films – Joyaux d’un siècle / The Tour of Animation in 84 Films – Jewels of a Century
Festival International du Film d’Animation, Annecy, 2000
Coloriture – Voci, rumori, musiche nel cinema d’animazione
(ed.) Pendragon, Bologna, 1995
Il movimento creato – Studi e documenti di ventisei saggisti sul cinema d’animazione
(ed.) Pluriverso, Turin, 1993
Cartoons – Cento anni di cinema d’animazione
Marsilio, Venice, 1988 and 1992
French edition: Liana Lévi, Paris, 1992
English edition: John Libbey/Indiana University Press, London/Bloomington, 1994, 1995, 1999, 2003.
Spanish edition: Ocho y Medio, Madrid, 2003
Le cinéma d’animation
La Pensée Sauvage, Grenoble, 1985
La zuzzurellinea – Osvaldo Cavandoli e l’animazione
Incontri Internazionali con gli Autori di Cinema d’Animazione, Genoa, 1985
Woody Allen – Il comico piú intelligente e l’intelligenza piú comica
Fabbri (later RCS), Milan, 1984, 1987, 1989, 1991, 1995
French edition: Liana Levi, Paris, 1986, 1989, 1991
English edition: Ravette, London, 1987
German edition: Treves, Trier, 1990, 1998
Hungarian edition: Alexandra Kiado, Budapest, 1994
Spanish edition: Orbis, Barcelona, 1995
Due volte l’oceano – Vita di Quirino Cristiani, pioniere del cinema d’animazione
La casa Usher, Florence, 1983
Pages d’Alexeieff
(ed.) AAA, Annecy, 1983
Italian edition: Incontri Internazionali con gli Autori di Cinema d’Animazione, Genoa, 1984
Topolino e poi
Il Formichiere, Milan, 1978
Mel Brooks – L’ultima follia di Hollywood
Il Formichiere, Milan, 1977
French edition: Glénat, Paris, 1980
Woody Allen
La Nuova Italia, Florence, 1976 and 1979
Bruno Bozzetto – Animazione Primo amore
Isca, Milan, 1972
Croatian/English edition, Zagreb Animation Festival, 1998