articolo pubblicato su Rapporto Confidenziale numero3 – marzo 2008 (pagg. 18-19)
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La porta sul buio
Quanto a “La porta sul buio”, che intitola la serie, vi chiederete cosa vuol significare. Ebbene, vuol dire molte cose: aprire una porta sull’ignoto, su ciò che non conosciamo e che perciò ci inquieta, ci fa paura. Ma per me vuol dire anche altre cose. Può capitare, ed è capitato una volta, anche una sola volta nella vita di una persona, di chiudersi una porta alle spalle e trovarsi in una stanza buia… cercare l’interruttore della luce e non trovarlo… provare ad aprire la porta e non poterlo fare. E dover restare lì, al buio… soli… per sempre. Ebbene, alcuni dei protagonisti delle nostre storie si sono chiusi questa fatale porta alle spalle.
– Dario Argento nell’introduzione de “La porta sul buio” –
Nel 1970 nacque in Italia uno dei suoi più grandi talenti registici, ovvero quel Dario Argento capace di dare forza e vigore a un cinema di genere che da sempre vivacchiava nel sottobosco cinematografico senza essere mai preso veramente in considerazione dalla critica.
Argento obbligò la critica a fare i conti con questi thriller dalla violenza esasperata, grazie alle sue grandi capacità visive e visionarie, che faranno in modo che Argento diventi in breve tempo uno dei registi italiani più amati all’estero. Dopo la famosa trilogia degli animali (“L’uccello dalle piume di cristallo”, “Il gatto a nove code” e “4 mosche di velluto grigio”), nel 1973 la RAI commissionò ad Argento la produzione di una mini-serie televisiva composta da quattro episodi che avrebbero dovuto ripercorrere le storie e lo stile del regista romano. Nonostante la RAI si dimostrò essere una televisione ancora d’avanguardia capace di proporre prodotti variegati al suo pubblico, Argento si dovette sin da subito confrontare con la censura che gli vietò di usare coltelli come armi degli omicidi (perchè ritenuti simboli fallici) e, più in generale, di usare quella violenza che era la sua particolare cifra stilistica.
Dario Argento non si fece intimorire e, pur dispensando a piccole dosi violenza raccapricciante (per l’epoca), costruì un prodotto televisivo virato principalmente sui toni del giallo/ thriller, puntando quindi sulle atmosfere claustrofobiche e su storie apparentemente impossibili ma quantomai logiche nella loro risoluzione. Il paragone con “Hictchcock presenta” è quindi presto fatto. Da sempre Argento ha ammesso di essere influenzato dall’opera del regista londinese e questa serie non ha fatto altro che dargli la possibilità di cimentarsi con la serialità e con i tempi ristretti della durata (gli episodi durano 52 minuti circa l’uno). Quando la serie vide la luce durante la prima messa in onda, i vertici della RAI tremarono quando alcuni spettatori ritennero eccessivamente violento il primo episodio, tant’è che obbligarono Argento a far visionare loro i successivi episodi per autorizzare la messa in onda. In realtà “La porta sul buio” piacque molto al pubblico televisivo, che lo ritenne un programma d’intrattenimento alternativo, molto vicino a quello cinematografico che ricordiamo non essere molto presente nella televisione d’allora (appena un film a settimana).
Ora passiamo ad una breve panoramica sugli episodi nello stesso ordine a cui vennero proposti al pubblico televisivo.
IL VICINO DI CASA di Luigi Cozzi
Due giovani sposi con il loro primo figlio ancora lattante, si trasferiscono in una nuova casa. Zona marittima, il caos della città è lontano. Il destino è come il vento che modella le onde, a volte favorevole altre no, ed è per questo che l’apparente calma del luogo si trasformerà ben presto in uno degli incubi peggiori.
Il racconto di Luigi Cozzi da cui è tratto il primo episodio della serie aveva affascinato sin da subito il giovane Argento, che ne acquistò subito i diritti e lo tenne nel cassetto sino a quando “La porta sul buio” non gli diede l’occasione di recuperarlo. Alla regia chiamò lo stesso Cozzi (già sceneggiatore di “4 mosche di velluto grigio”) che, nonostante l’esordio fantascientifico con “Il tunnel sotto il mondo”, era smanioso di mettersi alla prova con un genere differente. Se lo script può vantare un rispettoso omaggio a Edgar Allan Poe, la regia di Cozzi si ciba di atmosfere claustrofobiche e di un montaggio serrato, grazie ai quali il film prende subito ritmo costruendo una forte empatia con lo spettatore. Nonostante qualche dubbio ci rimanga sul perchè un assassino lasci la porta di casa sua aperta (con vittime annesse), è indubbia la capacità di Cozzi nel creare l’atmosfera giusta per la narrazione. Il punto di forza dell’episodio è però il finale, che tronca nettamente la storia senza farci sapere come finirà. Non è un finale aperto questo, non ci lascia quel briciolo di speranza hollywodiana, tronca ogni possibilità di sopravvivenza dei personaggi, come se la telecamera, dopo averne ripreso la paura e il terrore, non avesse il coraggio di mostrare la loro sconfitta, la loro morte.Argento decise di mandare in onda “Il vicino di casa” come primo episodio, anche se in realtà era il suo segmento che avrebbe dovuto aprire la serie. Ritenne il lavoro di Cozzi più coraggioso e con un impatto emotivo più forte, che avrebbe di certo giovato all’apertura di una serie out-side come questa.
IL TRAM di Sirio Bernadotte [Dario Argento]
Un commissario sta indagando su un omicidio veramente strano: una donna è stata assassinata in pieno giorno a bordo di un tram affollato senza che nessuno se ne accorgesse.
Accreditato a Sirio Bernadotte ma in realtà diretto dallo stesso Argento, “Il tram” è l’ennesimo omaggio che il regista romano fa al suo grande amore, ovvero il cinema hitchcockiano. Tutto il film ruota attorno all’indagine, alla curiosità non tanto di scoprire come il commissario risolverà il caso, quanto come l’assassino ha fatto a compire questo omicidio apparentemente impossibile. Argento gioca tutte le carte a suo favore (una su tutte il carisma di Enzo Cerusico, nel ruolo del commissario), tessendo abilmente e senza buchi una sceneggiatura semplice e lineare nel suo svolgimento, con la tipica struttura da giallo classico. Da notare anche la tipica ironia argentiana che percorre i sotterranei della pellicola. In origine il misterioso omicidio a bordo di un tram sarebbe dovuto finire nel soggetto de “L’uccello dalle piume di cristallo”, ma venne ritenuto inadatto in quanto avrebbe dilatato il ritmo della pellicola. Nonostante “Il tram” non abbia dalla sua parte l’originalità dell’intreccio e le modalità del suo sviluppo, Argento lo fa con mestiere e passione, rendendo questo mediometraggio un lavoro piacevole e mai mediocre.
LA BAMBOLA di Mario Foglietti
Mentre una ragazza viene continuamente pedinata da uno sconosciuto, un’altra ragazza è assassinata. Tutto questo dopo l’evasione da un manicomio di uno schizofrenico.
Quello dell’esordiente regista Roberto Foglietti (anch’egli co-autore del soggetto di “4 mosche di velluto grigio”), risulta essere l’episodio più debole della serie. Foglietti alla regia fa un po’ il verso a Dario Argento, ma tutto sommato se la sa cavare bene e ad unire a quelle che potremo chiamare citazioni argentiane, una certa visione personale delle vicende. Ciò che in realtà stona è una trama decisamente mal congegnata, dove le ipotesi dell’ispettore protagonista (e quindi quelle del pubblico) sono rese vane da un colpo di scena sin troppo inverosimile, costruito non attraverso procedimenti logici, ma rincorrendo la voglia di creare quel terribile “effetto sorpresa” che fa, ha fatto e sempre farà male al cinema di genere. Vedere Gianfranco D’Angelo e Mara Venier cimentarsi con ruoli inaspettatamente drammatici crea inizialmente un effetto straniante, ma dopo che ci si è fatta l’abitudine non risultano essere così fuori ruolo.
TESTIMONE OCULARE di Roberto Pariante
Una donna trova riversa sull’asfalto il cadavere di una giovane, evidentemente assassinata. In preda al panico, corre in un bar e chiama la polizia che però, arrivata sul posto, non trova traccia del cadavere né di sangue. Creduta una pazza visionaria, la donna intanto rischia la vita dato che l’assassino è già sulle sue tracce per eliminarla.
Roberto Pariante era stato aiuto regista di Argento per “L’uccello dalle piume di cristallo”, “Il gatto a nove code” e “4 mosche di velluto grigio”, e veniva un po’ da sé che il maestro dell’horror italiano gli avrebbe affidato la regia di questo ultimo episodio. Una volta visto il girato però Argento valutò insufficiente il lavoro fatto sinora e lo sostituì alla regia, accreditandola comunque allo stesso Pariante. “Testimone oculare” si rivela essere il miglior mediometraggio della serie, con una regia curata da ogni punto di vista (bella la scena in cui Argento segue l’assassino dalle suole delle scarpe). L’originalità dell’intreccio premia sicuramente, così come delle interpretazioni che, sebbene non eccelse, comunque al di sopra di quelle che la serie ci ha proposto sinora.
La cura con cui Argento ha prodotto “La porta sul buio” è veramente alta, sintomo di un progetto sentito e curato sotto ogni minimo aspetto. È interessante notare come i lavori degli altri registi trovino un’autonomia stilistica pur rifacendosi direttamente allo stile argentiano, come se fosse solo il punto di partenza per un discorso più ampio sul modo di fare cinema. “La porta sul buio” fa partire anche la fruttuosa collaborazione col musicista jazz Giorgio Gaslini che Argento, dopo qualche incomprensione con Ennio Morricone che curò le sue prime colonne sonore, assunse come abituale compositore delle musiche dei suoi film (raggiungendo il suo meglio in coppia con i Goblin nella colonna sonora di “Profondo rosso”).
“La porta sul buio” rimane ancora oggi oltre che un buon prodotto di genere, un caso più unico che raro di avvicinamento della televisione al mondo del cinema di genere, sempre un po’ troppo snobbato dal mondo televisivo (e non mi dite che i telefilm polizieschi italiani siano film di genere). Vi lascio ora con un ultima postilla. Anche lo stesso Luigi Cozzi negli extra del DVD della mini-serie, suggerisce agli spettatori di non guardare gli episodi a colori così come ci sono proposti nel DVD, ma di schiacciare sul tastino che toglie i colori al televisore. Il bianco e nero è il non-colore con cui la serie è nata, e l’atmosfera che si respira in effetti è di tutt’altro peso emotivo.
Ma cosa hai scritto Lu ?????????????