Abbiamo ritrovato una vecchia presentazione di 30 anni fa di Giannalberto Bendazzi, «la voce più autorevole che il cinema d’animazione internazionale possieda», come ha scritto Alessio Galbiati, la quale faceva da introduzione al volume «appeso a una matita – IL CINEMA DI GUIDO MANULI», pubblicato nella collana dedicata agli incontri internazionali con gli autori di cinema d’animazione, a cura della Cooperativa Fantasmagorie di Milano, ideata nel 1984 da Attilio Valenti, un grande studioso ligure, il quale venne nominato anche Presidente dell’Asifa (Associazione Italiana Film d’Animazione). Buona lettura.
Il Cinema di Animazione di Guido Manuli
a cura di Mario Verger
GUIDO MANULI: Un Tex Avery a raggio vasto
di Giannalberto Bendazzi
Potrei immaginare Guido Manuli a Hollywood, mentre agita la statuetta dell’Oscar. Potrei immaginarlo al tavolo da disegno la schiena incurvata e la testa leggermente piegata di lato, mentre lavora freneticamente di matita quasi senza respirare.
Potrei immaginarlo ai festival, alla RAI, alla moviola, arrampicato su una sedia ad inventare assurdità economiche assieme a Bruno Bozzetto e a Maurizio Nichetti, intento a schizzare vignette sul primo pezzo di carta trovato a portata di mano. In un solo modo non potrei immaginarlo: fermo.
Ebbi la stessa impressione la prima volta che lo vidi quasi venticinque anni fa (poco manca che avessimo i pantaloni corti tutti e due).
Lo incrociai nei locali del Centro studi cinematografici di Milano. Stava lavorando alla scheda di non so più quale film di Bergman, aveva impancato una discussione ultimativa sulla Nouvelle Vague, e contemporaneamente guardava me. Schioccava le parole a raffiche successive, e poi ridacchiava. Era contento di fare almeno tre cose alla volta.
Non mi pare che sia cambiato molto, da questo punto di vista. Manuli è una specie di Tex Avery italiano, una forza della natura dell’invenzione cinematografica, uno di quegli elementi che, inseriti in una squadra, creano il salto di qualità. La “marcia in più” che ebbe la Bozzetto nel corso degli anni rispetto a tanta parte della produzione mondiale contemporanea, fu dovuta certamente anche all’apporto di questo scatenato produttore di idee. Il suo cinema stesso (quello firmato da lui in tutte le funzioni, compresa la regia), è sfrenato, scoppiettante ed esorbitante. E infine quanti altri in Italia potrebbero vantare una gamma così varia e vasta di esperienze: dal lungometraggio di animazione ai cortometraggi, alla pubblicità, alle sigle televisive, alla sceneggiatura di lungometraggi “dal vero”, ai “video”?
Tanta mobilità da un “genere” all’altro, tanta noncurante variabilità di ruoli creativi, tanta irrequietudine, gli hanno forse più nuociuto che giovato, agli occhi dei suiveurs del cinema d’animazione. Durante tutti gli anni in cui non “firmò”, si pensò a lui essenzialmente come l’alter ego di Bruno Bozzetto al suo asso nella manica. Era (come dire?) più un tecnico di lusso che un cineasta a pieno titolo. Era un regista in luce di cui tutti riconoscevano il talento, ma che aspettava a imporsi autonomamente, anzi tardava a farlo. Quando sarebbe arrivata la sospirata metamorfosi in autore?
Oggi è possibile accorgersi di quanto errato e limitante fosse quel punto di vista. C’era, alla base, l’equivoco del tempo la presa di partito a priori, per cui nel campo dell’animazione di qualità andavano celebrate le virtù di chi era autore e di chi non era autore (in pratica, di chi non firmava sotto la voce “regia”) andasse alla striglia. Era un punto di vista criticabile. Quanti sono gli autori in un film? Quanti sono, in un film d’animazione? E’ poi vero che il lavoro in una squadra è per forza di cose di rango inferiore, rispetto al lavoro singolo? Per parecchio tempo nelle recensioni nelle premiazioni perfino nelle chiacchiere da caffè festivaliere e parafestivaliere, l’attenzione per questo cineasta svettante fu inferiore a quella riservata ad “autori” firmatari di film magari spenti magari solo volenterosi.
Fu lo stesso Manuli a permettere una visione più ampia, quando effettivamente approdò alla sospirata sponda della authorship. Opera, Strip Tease, Fantabiblical, SOS, Erezione, Solo un bacio, costruirono nel corso degli anni un corpus sul quale si poté cominciare a decretare ammirazione, e a meditare criticamente. Fu cosa quasi naturale il risalire, dallo stile di questi film, a tanti spunti di altri film usciti dalla fabbrica dei sogni della “Bozzetto”, o tanti elementi delle sigle televisive, o a tante lunari invenzioni incorporate nei lungometraggi diretti e interpretati da Maurizio Nichetti.
Proprio nel momento in cui si prende atto della qualità del suo lavoro come demiurgo unico dei suoi film, si deve riconoscere insomma la sua più autentica natura: che è quella di cineasta a raggio vasto, di talento che interviene nei più diversi ruoli; concependo il cinema come un tutto coerente. Senza timori per i generi, per le specializzazioni e per gli steccati più o meno illusori. Autore, Manuli non ha l’egoismo parossistico di certi autori, a cui talvolta l’incapacità di delegare funzioni, o l’ostinazione a coltivare un limitato campo di ispirazione tarpa le ali. Sceneggiatore, non porta con sé quel sospetto di librettismo, di sostanziale estraneità al fatto visivo, che spesso contraddistingue gli sceneggiatori. Disegnatore, non s’incanta sul “bel disegno” o sul “bel personaggio”, ma punta all’idea, all’inserimento della figura nell’azione. Animatore, sparge a piene maniche mimiche e movenze in ogni scena dei film a cui lavora, aggiungendo anche ai punti più statici quel tanto di spettacolo che attira l’occhio e diverte. (Ricordo un’inquadratura di West & Soda: vari personaggi si allontanano verso l’orizzonte, lentamente. Fra loro il can barbone Socrate zampetta con un buffissimo andamento a molla.
E Manuli accanto a me, alla moviola, che ride ancora, per l’ennesima volta la scena). Gran profusore di idee, questo Manuli, e altresì gran dilapidatore. Ricostruire la sua filmografia è impresa più da enigmista che da studioso di cinema. Collabora a un’iniziativa (un film collettivo), proposto dallo statunitense Mar Newland, e chi scrive ne ha fortunosamente notizia leggendo la stampa straniera; nella foresta dei lavori pubblicitari non è possibile addentrarsi senza mesi di lavori davanti; le copie dei film meno celebri, come le sigle o appunto le opere pubblicitarie, sono sperperate chissà dove, ritrovabili chissà quando e chissà se.
Non c’è dubbio che lavorare di critica e di filologia su materiale così caotico e disperso è una maledizione. Tuttavia va anche confessato, in tutta sincerità, che questo atteggiamento suscita un’irresistibile simpatia. E’ veramente raro che il creatore autentico, vivo, vitale, sia un metodico. E’ simile piuttosto a quegli orfani orientali che, dopo essersi incalliti le dita e fiaccati gli occhi tutto l’inverno per creare pochi monili preziosi, li cedono poi spensieratamente e quasi gratis al primo viaggiatore che ne loda la bellezza. E poi sono essenzialmente gli esponenti delle arti ormai paludate e tramontanti, quelli che conservano gelosamente ogni traccia del loro operato; quasi pensando a se stessi come capitoli dei libri di storia piuttosto che a persone operanti nella realtà. In tutta la sua povertà e limitatezza, il cinema d’animazione è un’arte ancora giovane, e l’esuberanza disinteressata dei tipi come Guido Manuli ne è una confortante riprova. Sicché il suo lavoro potrà essere considerato un temibile baluardo per i (pignolissimi, si spera) filmografi del futuro: che potranno tenere presente quel suggerimento di Goethe, quando ricordava il filo rosso che va da un’estremità all’altra di tutte le corderie della marina britannica, in maniera tale da non potersene staccare neppure un minimo pezzetto senza che se ne riconosca l’origine dalla flotta della Corona. Il filo rosso sarà in questo caso lo stile del nostro cineasta, diramato da un’estremità all’altra dei più impensabili filmati.
Soggettivamente, chi scrive ha un debole per Solo un bacio. Vi è in questo film una compattezza ammirevole. Se aveva ragione quel critico del New York Times che, recensendo la prima opera teatrale di Woody Allen, scriveva che “Una sola situazione comica ben sviluppata è migliore di mille battute umoristiche”, allora Solo un bacio è magistrale. Alla base si trova un’unica, robusta idea: il cineasta d’animazione che, frustrato dalla sua impossibilità di corteggiare le… attrici dei suoi film, disegna quella che per lui è ideale e tenta di sedurla. Tutte le potenzialità sono sviluppate in concatenamento coerente, dalla vendetta dei nani alla sorpresa finale in cui si attua il ribaltamento della fiaba: è il protagonista maschile ad aspettare che il sonno fatato possa spezzarsi grazie al bacio di… un principe. (A proposito della faccenda del principe, varrà la pena di rammentare la domanda di quell’inviato al festival di Annecy 1983, che chiese a Manuli se per caso vi fosse, sottintese, un messaggio in favore dell’omosessualità. Manuli, controllando bravamente il suo sangue romagnolo, represse la risata e rispose con savoir-faire consumatissimo “No, no, ma le pare…”).
Il solo elemento di rottura, rispetto all’omogeneità del film, è la sorprendente trovata iniziale. Si vede staccarsi dalla parete un essere alato, che compie un paio di evoluzioni prima di venire soppresso da una mano insetticida, materializzarsi per l’occasione. La trovata è bella nella sua assurdità e nella sua gratuità, e “riempie” a dovere il tempo della carrellata d’avvicinamento (“dal vero” e con l’obiettivo grandangolare) attraverso i corridoi di un appartamento semioscuro.
Opera, girato dieci anni prima, nel 1973, è quasi agli antipodi. La parte ideata e realizzata da Manuli (si ricorderà che il film da una co-regia Manuli-Bozzetto) era una sfida all’inventiva di qualunque gagman: un ininterrotto scoppiettio di trovate su un tema risaputo come l’opera lirica. Era quasi un gioco da virtuoso. Data questa premessa, come me la cavo? Che cosa invento di originale, di sorprendente, per far ridere? La conseguenza era che la sfida del gag era vinta con sicurezza, ma che non c’era sviluppo di una situazione, non c’era insomma azione drammatica. Una serie di acuti non faceva un canto.
L’evoluzione, attraverso Fantabiblical (i cui primi minuti sono da antologia), SOS, Erection (o Erezione, a ciascuno la sua: i due titoli furono dati in contemporanea) è stata continua.
Il limite, al giorno d’oggi superato, era la brevità del fiato. Come dominato dall’horror vacui, il cinema di Manuli prima maniera accumulava i gag, invece di distenderli su ritmi più ampi e più armoniosi. Non c’è dubbio che il problema nasceva dalla lunga consuetudine al lavoro di gruppo, e quindi alla specializzazione sempre più forte: in fondo, alla “Bozzetto”, di sceneggiatura e sviluppo drammatico si occupavano essenzialmente Bruno Bozzetto e Maurizio Nichetti.
Manuli come cineasta d’animazione erotico? La definizione non appare infondata: Streap Tease, SOS, Erezione, Solo un bacio hanno tema licenzio setto, e così pure due film in cui la sua impronta era ben calcata, Ego e il brano “Prélude à l’Après-midi d’un faune” di Allegro non troppo.
Ma verosimilmente si tratta poco più che di una coincidenza. L’aria del tempo, negli ultimi anni, è stata questa, con una crescita continua dei film a soggetto erotico, fossero comici o lirici o calligrafici: e Manuli ha dato il suo contributo a questa ondata, da parte italiana. Il suo erotismo disegnato non è mai volgare: è gioioso e giocoso, fatto disincantato da quel pizzico di nonsense che caratterizza sempre la sua comicità. Parve a qualcuno troppo violento: ferite, mutilazioni, personaggi che letteralmente si fondono, a cui scoppia la testa. Prima che a chiunque sorga l’idea di un’interpretazione freudiana (che con l’andare degli anni sembra sempre meno legittima, in sede di approccio critico alle opere della creazione), occorrerà ricordare che la violenza e l’esuberanza sono quasi il marchio di fabbrica di quest’uomo così mansueto nella vita di tutti i giorni. Esplosioni, distruzioni, apocalissi sono l’elemento fondamentale, i mattoni con cui ogni comico ha sempre creato i suoi edifici della risata. Specie nell’animazione. Come non pensare a Tex Avery, già citato, o alle terrificanti battaglie fra Tom e Jerry, o ai continui tentati omicidi di Wyle Coyote ai danni dello struzzo Beep-Beep, o alla passione della bombe di Zlatko Grgić, altro dirompente gagman moderno e altra persona di straordinaria mitezza nella vita quotidiana.
(“Cerco di mettere, in ogni mio film, una piccola, bella bomba. Ecco la sorpresa comica che mi piace di più!”).
E’ la violenza della risata aperta, l’allegria che esplode. E chi non sa ridere, lui sì, vada alla striglia.
Giannalberto Bendazzi
Dal volume «appeso a una matita – IL CINEMA DI GUIDO MANULI», A cura di Giannalberto Bendazzi. Comune di Genova – Assessorato alle attività culturali, con la collaborazione della COOPERATIVA FANTASMAGORIE DI MILANO, 1983, pp. 48
Si ringraziano:
il dott. Attilio Valenti
il prof. Giannalberto Bendazzi
A cura di Mario Verger
Guido Manuli visto dagli Animatori Italiani
(La Copertina di «appeso a una matita – IL CINEMA DI GUIDO MANULI»)