Una tappezzeria anni ’50 e mobilio coordinato. “Lilting” inizia così, con immagini morbide e rassicuranti nel loro essere nostalgiche.
Ma la realtà è che gli arredi sono quelli di un istituto per persone anziane e sono stati scelti per dare agli ospiti l’impressione di sentirsi più giovani.
Come dovrebbe valere per Junn, che però non ha ceduto all’inganno. Convinta a trasferirsi nella struttura ai primi, deboli, cedimenti di memoria dal figlio Kai da cui lei, nata e cresciuta in Cambogia, dipende fortemente anche per la sua non conoscenza della lingua inglese, la vediamo impegnata in un dialogo misto di affetto, rimproveri e senso di colpa proprio con lui.
Junn vorrebbe fortemente non essere lì ma Kai non riesce a dare una risposta precisa alle sue richieste di andare a vivere con lui, rimandando all’infinito la necessità di svelare la natura autentica del suo rapporto con il coetaneo Richard, e quindi la sua.
Ma anche questo sprazzo di vitalità si dissolve: Kai è morto e il dialogo tra i due si riferisce a un passato recente, costantemente richiamato come fosse possibile porre attraverso la memoria rimedio al vuoto che la scomparsa ha creato.
Junn vive in Inghilterra da molti anni, portata lì da suo marito, un franco-cambogiano incline al gioco d’azzardo e quindi traditore delle aspettative di lei, convinta al trasferimento con la promessa delle possibilità offerte da un Paese moderno e impossibilitata oggi a rientrare nel suo Paese di origine anche per non perdere l’accesso gratuito alle cure. Ed è per questo, forse, che non è mai riuscita ad adattarsi alla cultura del suo Paese di adozione, nemmeno imparando qualche elementare parola di inglese.
Junn non è l’unica a richiamare alla memoria sprazzi di dialogo con Kai. C’è anche e soprattutto Richard, che di lui è stato il compagno e convivente negli ultimi 4 anni, prima dell’incidente che ha spezzato per sempre il rapporto.
Entrambi hanno necessità di riempire un vuoto e cercare di guardare oltre il dramma in cui sono immersi: mentre Richard aspira a trovare una chiusura alla situazione di incomunicabilità con Junn sul suo rapporto con Kai, con quest’ultimo intenzionato a parlare del loro rapporto proprio la sera in cui troverà la morte, Junn frequenta un altro ospite della casa per anziani e con lui condivide sguardi romantici, alcune passeggiate e chiacchierate nelle rispettive lingue, sconosciute l’una all’altro.
Ed è Richard, visitatore non gradito della donna, che lo tratta con cortese distacco, a tentare di accorciare le distanze tra i due assoldando una giovane ragazza inglese di origine cinese, che presto entrerà attivamente nella dinamica scombinando la regola del non detto, perché faccia da interprete tra i due attempati spasimanti. È qui che irrompe la commedia, con la donna ad aspirare a un rapporto romantico fatto di piccoli gesti quotidiani che le facciano anche dimenticare la mancanza di prospettiva che il luogo le impone, mentre lui ha brame decisamente meno eteree nei suoi confronti.
Ed è curioso osservare come sarà proprio la facilitazione del loro dialogo a portare alla conclusione brusca del loro rapporto.
Mentre Richard cerca Junn per chiudere un discorso in realtà mai iniziato e anche per sentire ancora l’illusione della presenza dell’amato scomparso, Junn tollera con fatica la presenza di lui, simbolo e causa dell’allontanamento – in realtà mai davvero avvenuto – del figlio.
In realtà, appare chiaro che avranno bisogno l’uno dell’altra per poter ricominciare a guardare avanti.
Curiosamente apparentato a Tom à la ferme di Xavier Dolan nel raccontare di un uomo spinto da una tragica circostanza a svelare il reale rapporto che lo legava a un membro di un’altra famiglia, Lilting è un esempio di tatto e rara capacità di delicata introspezione nonché capacità di sfidare i luoghi comuni e elevare riti quotidiani apparentemente meno significativi a motivo di nostalgia. Come, per esempio, l’utilizzo di bacchette cinesi per fare sfrigolare il bacon in padella, un gesto che avrà una rilevanza inaspettata nel racconto e che offre una tra le scene più struggenti del film.
E che parla anche di come non siano le parole, infine, a unire necessariamente le persone, con i due protagonisti mai così sinceramente vicini quanto nel momento in cui parlano l’uno con l’altra nelle rispettive lingue, sempre incomprensibili all’altro.
Diretto e sceneggiato dall’esordiente (nel lungometraggio) Hong Khaou, che dichiara di essersi ispirato alle atmosfere di In the Mood for Love di Wong Kar-wai, mentre il soggetto deriva da una pièce teatrale dove il fulcro è però una coppia formata da uomo e donna, Lilting – prodotto da Microwave Films con un budget di 120’000 sterline (meno di 150’000 euro di oggi) – è un gioiello di equilibrio tra detto e non detto, dolore che paralizza e aspirazione a guardare avanti.
Filmato prevalentemente in spazi chiusi, in cui l’autore riprende i personaggi nel loro costante isolamento anche quando non sono davvero soli, si prende tutto il tempo di sviluppare i fragilissimi rapporti attraverso dialoghi semplici nella scrittura e complessi nella dinamica per arrivare a un finale inaspettato.
Menzione speciale alla fotografia di Ula Pontikos e agli interpreti, un’abbondante spanna sopra tutti Ben Whishaw, che nel ruolo di Richard merita un plauso per l’interpretazione misurata di un uomo costantemente sull’orlo della disperazione ma mai disposto ad abbandonare la determinazione nell’avere una parola in una situazione in cui l’assenza di parole ha creato una voragine. Costantemente presente lungo il film, è sempre convincente nell’attribuire al suo personaggio tenacità e compassione mentre è costretto a gestire la sua vulnerabilità.
Roberto Rippa
Lilting
(UK/2014)
Regia, sceneggiatura: Hong Khaou
Fotografia: Ula Pontikos
Musiche: Stuart Earl
Montaggio: Mark Towns
Scenografie: Miren Marañón
Costumi: Camille Benda
Interpreti: Ben Whishaw (Richard), Pei-Pei Cheng (Junn), Andrew Leung (Kai), Morven Christie (Margaret), Naomie Christie (Vann), Peter Bowles (Alan)
Lingue originali: inglese, mandarino
86′