69. Festival del film Locarno – Fuori concorso
3. Festival diritti umani, Lugano
Questa è la storia di un accanimento registico, ma anche di un’amicizia intergenerazionale tra una regista di 35 anni e un filosofo di 70, un’esplorazione dell’io e del tu, e di quel confine tutto individuale e poco rispettato, del vivibile e dell’invivibile. “Ho incontrato Angelo Santagostino per la prima volta nel luglio del 2013, quando era già gravemente malato di Sla. Un corpo completamente immobile, se non per gli occhi, così intelligenti, vivaci e desiderosi di comunicare. Lettera dopo lettera, il suo pensiero prendeva corpo grazie a un puntatore oculare in grado di interpretare il movimento dei suoi occhi sulla tastiera del PC. Una vita estrema aggrappata a 21 micro possibilità, le 21 lettere dell’alfabeto.
La Sla si tocca e si vede in tutta la sua crudeltà in pochi ma scultorei momenti di vita quotidiana, per dimenticarla di volta in volta nel dialogo che diventa un altrove, la dimensione dell’incontro e dell’esplorazione. Nel confronto dialettico Angelo non è un malato di cui avere pietà ma un’astronauta in missione che esplora i limiti dell’umano, interrogandosi ed interrogando lo spettatore con la passione di chi ama la vita ma sa di doverla lasciare a breve. L’immobilità del corpo è solo un punto di partenza per esplorare la vivace mobilità della mente, ed è su questo ipnotico contrasto che si muove visivamente l’intero film. Un viaggio tra le luci e le ombre dell’animo umano per prendere coscienza dei propri limiti e ribadire il valore sacro dell’ascolto e del libero arbitrio.
Tra i molti possibili approcci alla realtà, Laura Viezzoli – che con La natura delle cose firma il suo primo film – sceglie il più complesso: quello della profonda empatia con il soggetto della sua attenzione e quello della rispettosa curiosità su una persona definita certamente non solo dalla sua malattia.
Nel testimoniare le ultime fasi della vita di Angelo Santagostino, malato di SLA (sclerosi laterale amiotrofica, malattia neuro degenerativa progressiva ad oggi senza cura caratterizzata da rigidità muscolare, contrazioni muscolari e graduale debolezza a causa della diminuzione delle dimensioni dei muscoli che porta a difficoltà di parola, di deglutizione e, infine, di respirazione), l’autrice si prende la bellezza di dieci mesi per frequentarlo senza camera, un po’ per poter entrare in contatto con lui senza mediazioni, un po’ per eliminare il filtro costituito dal monitor attraverso cui lui comunica.
Il film pone il protagonista al centro della sua quotidianità: la memoria di ciò che non può più osservare se non dal suo mondo ormai bidimensionale, la presenza di due amorevoli figli, l’assenza dell’amata moglie, ormai scomparsa, la complessità del suo esistere tra macchinari e persone che provvedono alle sue esigenze, e una montagna di ricordi che l’autrice – che, evento rarissimo quanto corretto, riconosce alla montatrice Enrica Gatto la dignità di co autrice – interseca con immagini dell’archivio privato di Santagostino e di repertorio relative a imprese aeronautiche con l’assenza di gravità degli astronauti comune al fluttuare quotidiano di Santagostino tra le quattro mura che lo racchiudono e con lo sguardo, unico mezzo pur caduco che lo tiene in connessione con il mondo. Ma la malattia scivola non di rado in secondo piano quando la discussione verte sul più profondo significato della vita vista da un ex sacerdote filosofo convertitosi per amore, con la voce discreta di Roberto Citran a sostituirsi a quella di Santagostino (lui avrebbe voluto Nino Manfredi), ormai impossibilitato a parlare.
Dieci mesi di frequentazione, due soli mesi di ripresa per un documentario che mette lo spettatore in stretto contatto con un uomo dall’intelligenza brillante e dalla consapevolezza schiacciante sulle sue condizioni trattandolo con il massimo rispetto – del resto l’ispirazione per l’autrice giunge dalla lettura dei diari di Piergiorgio Welby – il che significa semplicemente optare per scelte complesse che fanno a meno del sentimentalismo per comporre un ritratto intimo e personale che, in un Paese in cui una proposta di legge sull’eutanasia non riesce a varcare seriamente la soglia della Camera dei deputati per diventare oggetto di discussione, si trasforma indirettamente ma efficacemente in manifesto politico che fa appello alla coscienza di ognuno.
Un “De rerum natura” in cui la natura prevede il libero arbitrio. Un film prezioso.
Roberto Rippa
(le informazioni sulla Sla sono tratte da Wikipedia)
Laura Viezzoli si laurea al Dams di Bologna, per specializzarsi in regia e produzione di documentari alla Scuola del Documentario di Milano. Collabora con il gruppo Sky, Fondazione Cinemovel, Festival Corto Dorico, Enece Film e il Centro Televiso dell’Università Statale di Milano. Nel 2010 fonda, con il regista Roberto Nisi, l’Associazione culturale i Bicchieri di Pandora. Insieme realizzano due edizione del corso di alta formazione in cinema documentario “Conero Doc Campus”, il percorso di formazione cinematografica “CineResidenze”, il Documentario Live in Sferisterio. La Natura delle Cose è il suo primo lungometraggio documentario.
La natura delle cose
(Italia/2016)
Regia: Laura Viezzoli
Interpreti: Angelo Santagostino, Roberto Citran (voce)
Produttori: Laura Viezzoli, Lorenzo Cioffi
Fotografia: Laura Viezzoli
Testi: Laura Viezzoli, Angelo Santagostino, Enrica Gatto, Sergio Borrelli
Suono: Massimo Mariani, Tommaso Barbaro
Montaggio: Enrica Gatto
Produzione: Ladoc
68′