Dialogando su Final Portrait
a cura di Cristina Beretta & Veronica Raimo / Berlinale 2017
In questo film, presentato fuori competizione alla Berlinale 2017, siamo a Parigi negli anni sessanta. Alberto Giacometti (Geoffrey Rush) riceve la visita dell’amico James Lord (Armie Hammer) e gli propone di fargli un ritratto. Il lavoro, che avrebbe dovuto richiedere al massimo una settimana, si protrae perché le sedute vengono sempre interrotte e il giovane scrittore americano è obbligato a posticipare continuamente il suo ritorno negli States; tra una procrastinazione e l’altra, avrà modo di conoscere la vita di Giacometti.
PRIMA DEL FILM
Veronica: Ma tu hai letto di che parla sto Final Portrait?
Cristina: Arno mi ha detto che parla di Giacometti.
V: Giacometti l’artista?
C: Sì.
V: E perché ce lo stiamo vedendo?
C: Perché fuori ci sono meno sette gradi, ho un principio di raffreddore e abbiamo Trainspotting 2 tra due ore e mezza.
V: Ah okay. Ma quindi sarà tutta una roba Parigi, donne, alcol e bohème?
C: Boh, secondo me è una roba sul senso di finitezza e infinitezza di un’opera d’arte.
DOPO IL FILM
C: Eh vabbè, ce lo siamo viste.
V: Secondo me pure Stanely Tucci quando gli hanno comunicato che avevano preso il suo film alla Berlinale si è chiesto perché.
C: Tanto più che non parla di nessuna disgrazia sociale e dura solo 90 minuti.
E comunque alla fine ci abbiamo preso e abbiamo sbagliato entrambe con la nostra previsione. C’erano Parigi, l’alcool, la bohème (e tante sigarette), ma siamo rimasti quasi sempre confinati in quell’atelier grigio-monocromatico. E si parlava del processo di creazione artistica, ma – nonostante si veda Giacometti sempre al lavoro – a parte i modi di fare bizzarri e artistoidi di Giacometti-personaggio, non ho percepito un grande discorso sull’arte e sull’artista, il suo talento, il genio… O mi sbaglio?
V: Il fatto di prendere solo un segmento di vita di Giacometti e concentrare tutta la scena nel suo atelier io l’ho apprezzato, insomma rendeva il senso di claustrofobia che può venirti nel processo di creazione, e forse l’idea era proprio quella di rendere il talento attraverso l’ossessività. Secondo me quello che emerge sul Giacometti-artista è proprio questo, che lui non fosse interessato a un’iper-concettualizzazione del proprio lavoro – e infatti prende le distanze dagli artisti che lo fanno – ma al tempo stesso non giocava neppure a fare il naïf o l’esaltato sotto il demone dell’ispirazione. Insomma era uno ossessivo e cronicamente insoddisfatto ed è come se queste due caratteristiche fossero in qualche modo alla base del suo talento.
C: Okay, Tucci ci ha risparmiato scene di struggimento, di crisi isteriche e di improvvise illuminazioni dell’artista alla ricerca della musa; gliene siamo tutti molto grati. In alcune scene l’artista parla dell’arte e del rapporto con i colleghi e con il denaro e con i clienti (ammettendo schiettamente che nell’artista accanto alla genialità c’è anche una buona dose di puttanaggine e cialtroneria) – e comunque Vero, a volte Giacometti macchiettistico lo è, dai, quando ostenta disinteresse nei confronti del denaro e nel suo rapporto con le due donne (la moglie martire e la prostituta che sta sempre a mille, abbraccia tutti e sembra che si sia appena presa una dose da cavallo di mdma). Ma mi è sembrato sì, un film onesto, che vuole parlare in generale dell’arte a un pubblico generico. Non è banale o triviale, ma non è nemmeno fine o sofisticato. Mi è sembrato che Tucci volesse rimanere nel mezzo.
V: Sì, sì, assolutamente, è un film generalista sull’arte, in questo senso senza troppe pretese di essere a sua volta un film “arty”. Ho anche apprezzato molto Armie Hammer, gli avevo solo visto fare ruoli da stronzo e non l’avevo mai notato troppo, invece è bravo, no? Questa recitazione un po’ understatement però al tempo stesso ammiccante, il giusto equilibrio tra essere cool e gigioneggiare, credo fosse l’immagine di come molti scrittori si auto-percepiscono, ovvero di come vorrebbero essere e non sono. Di base mi sa che è stata lui la ragione per cui non ce ne siamo andate.
C: Tutto questo giro di parole per dire che ce lo siamo viste solo perché Hammer è figo. E comunque non ti si può mai nascondere niente. •
Cristina Beretta & Veronica Raimo / Berlinale 2017
Final Portrait
Regia, scenggiatura: Stanley Tucci • Fotografia: Danny Cohen • Montaggio: Camilla Toniolo • Scenografie: James Merifield • Produttori: Nik Bower, Gail Egan, Ilann Girard • Produttori esecutivi: Fred Hogge, Deepak Nayar • Interpreti principali: Geoffrey Rush (Alberto Giacometti), Armie Hammer (James Lord), Clémence Poésy (Caroline), Tony Shalhoub (Diego Giacometti), James Faulkner (Pierre Matisse), Sylvie Testud (Annette Arm) • Produzione: Olive Productions, Potboiler Productions, Riverstone Pictures • Paese: UK • Anno: 2017 • Durata: 90′