Allegro non troppo
Un Tesoro dell’Arte Italiana
a cura di Mario Verger
A GIUSEPPE
Dedico con grande piacere questo catalogo a Giuseppe Laganà, prima di tutto un caro e grandissimo amico ma anche e soprattutto un collaboratore fondamentale di Allegro non troppo. Lavorare con lui è stato un piacere e una gioia perché Giuseppe era una persona allegra, positiva, piena di energia e d’interesse verso le novità e la ricerca in generale. Ho avuto la fortuna e il piacere di condividere con lui i momenti più belli e felici della creazione di Allegro, sia nel Bolero che nel Preludio al pomeriggio di un fauno, filmati di cui ha curato la direzione artistica, e ancora oggi conservo un bellissimo ricordo di quei meravigliosi (ma laboriosissimi) giorni trascorsi insieme a lui, nel suo studio, a discutere con passione ogni più piccolo dettaglio del film. È terribilmente triste quando una persona cara ci lascia, ma quando questa persona ha il valore, la simpatia e la creatività di Giuseppe, diventa una vera tragedia. Grazie ancora Giuseppe, a nome mio e del pubblico, per lo spirito e l’entusiasmo che hai saputo regalare ad Allegro non troppo e a tutti i tuoi numerosissimi film!
Bruno Bozzetto
BUON COMPLEANNO ALLEGRO NON TROPPO!!!
Per La Fabbrica dell’Animazione, che prende il nome da un saggio dedicato all’opera di Bruno Bozzetto, celebrare il quarantennale di Allegro non troppo, è un grande onore che ci riempie di una gioia che non è mai troppa. Vorrei per questo ringraziare Sergio Pomati che ci ha suggerito l’idea della celebrazione e soprattutto la famiglia Bozzetto che è stata generosa nell’accettare di sostenere un progetto che avrebbe potuto non prendere vita. L’umiltà e l’onestà, unite alla praticità dello spirito degli artigiani, hanno riempito il mio cuore dimostrandomi che il valore della cultura si riconosce guardando oltre la scena per condividere insieme quei piccoli gesti di gentilezza che determinano la qualità di un’opera d’arte quanto quella di una relazione umana. Vorrei inoltre ringraziare lo storico e critico del cinema d’animazione Giannalberto Bendazzi, nonché grande Amico, senza il quale tutto ciò non sarebbe stato possibile.
Shirin Chehayed
Presidente associazione culturale Bottega Partigiana
NOTA INTRODUTTIVA
In occasione dei 40 anni dell’uscita in sala del capolavoro di Bruno Bozzetto, Allegro non troppo, la città di Milano diventa protagonista di una serie di iniziative tra cui la mostra dedicata a quest’opera significativa dell’attività del regista, autore di personaggi memorabili della storia dell’animazione italiana, come tra gli altri il “noto” Signor Rossi, protagonista di film, fumetti e pubblicità. Allegro non troppo, lungometraggio a episodi, sintesi di musica, animazione e fiction cinematografica, resta uno dei suoi lavori più apprezzati e di recente anche riconosciuto vincitore del premio Itala, come miglior lungometraggio italiano di animazione. Bozzetto, poliedrico autore, grazie a questo lavoro corale alla cui realizzazione hanno partecipato diversi collaboratori, esplora la dimensione del vero e del disegnato, con attenzione alla sperimentazione linguistica, e con un riuscito connubio nel rapporto musica – immagine.
“Allegro non troppo. Un tesoro dell’arte italiana” è il percorso espositivo che omaggia questa significativa ricorrenza mostrando immagini di fotogrammi, personaggi, fotografie del backstage di autori e cast, esplorando gli aspetti ideativi e inediti di un’arte, quella del cinema di animazione, capace di stupire e affascinare il pubblico di ieri e di oggi.
Filippo Del Corno
Assessore alla Cultura – Comune di Milano
ALLEGRO OGGI
di Giuliana Nuvoli
Il riso degli dèi inferi
Dall’inizio dei tempi esistono due modalità di riso: quello degli dèi superni (composto, compiaciuto, che plaude all’ordine) e quello degli dèi inferi (irridente, sarcastico, disgregante): Allegro non troppo è figlio di quest’ultimo. Fuor di dubbio, e per esplicita indicazione del suo autore, siamo in presenza di una parodìa: ma non quella di un’opera o di un autore: Allegro non troppo è la sistematica, estemporanea, graffiante parodia di un intero popolo, di una cultura e, più latamente, di un’epoca. E’ il costante e variegato “scoronamento dell’eroe”: il divismo del cinema, della musica, della televisione vengono sbeffeggiati senza pietà insieme ai miti dell’eccellenza, della diversità ricercata, della cultura alla moda. Bozzetto parodizza, ma non tanto per muovere il riso, quanto per mostrare cosa resta dopo una risata. Un’operazione che Umberto Eco [Diario minimo, 1963] avrebbe definito come il modo per pulire il carburatore e le candele della macchina culturale e, da ultimo, un responsabile dovere intellettuale. Il riso entra ed esce dal film con baldanza e naturalezza a tre livelli diversi: quello dei personaggi, quello dello spettatore e quello dell’autore. Sardonico con scatti di innocenza quest’ultimo; sorriso e risata incuriositi e meditabondi per lo spettatore; multiforme quello dei personaggi. C’è il riso sgangherato e lubrico delle vecchie suonatrici d’orchestra; c’è il ghigno tronfio, pomposo e talora crudele del loro direttore. A loro si alternano le varietà di risate forzate, imbarazzate, vacue del presentatore, che si congelano in sorrisi forzati da robot che male ha appreso la lezione e si incanta. Nessuno resiste alla corrosione del riso: la parodìa si fa caricatura, e la caricatura divora tutto; restano estranei a quel mondo osceno il sorriso del disegnatore e della donna delle pulizie: sorriso della misura e della tenerezza, che prepara la loro necessaria dipartita. Ridono anche i personaggi animati. Spicca fra tutti il ghigno del protagonista del primo episodio: è il riso della pregustazione, della superiorità immaginata, della beffa preparata: ma è un riso che si spegne di fronte ai deretani irridenti delle sue potenziali vittime.
Allegro e la Storia
Allegro è, per scelta consapevole, parodìa riconoscibile del suo tempo. Uscito negli Stati Uniti il 27 ottobre 1976, arriva nelle sale italiane il 22 dicembre 1977. Sono i cruenti anni Settanta: l’America lascia, sconfitta, il Vietnam; l’irredentismo irlandese miete vittime; cade la dittatura di Caetano nel Portogallo, muore Peron in Argentina e muore il generale Franco in Spagna. Se il mondo è inquieto, l’Italia si copre di sangue. La strage di Peteano (1972), la bomba a Milano dell’anarchico Bertoli (1973), Piazza della Loggia Brescia e la strage dell’Italicus (1974) segnano la nostra storia e l’immaginario degli artisti. Ma sono anche gli anni della liberazione sessuale, dell’esaltazione della creatività e del diverso. Una voglia di rottura coi miti di stabilità e benessere del ventennio precedente, che si traduce senza scampo in un profondo malessere, anche per la perdita di punti di riferimento ritenuti sacri e inamovibili: la superiorità del maschio; la necessità di eccellere; la fiducia in una felicità acquistabile col denaro. E molto di questo e d’altro ancora lascia tracce di sé in Allegro: iniziando da quel personaggio deforme, Franceschini, un Quasimodo nostrano, che ha il nome di uno dei più famosi brigatisti rossi, Alberto, l’organizzatore del rapimento del giudice Mario Sossi, ma mai accusato di omicidio. Personaggio cupo ma utilizzabile, per questa colpevolezza incompleta, in una parodia. Quando l’aria diventa pesante, negli anni di piombo, l’unico rimedio è fuggire via. Così il disegnatore e la giovane donna delle pulizie, si trasformano in personaggi da fiaba (Biancaneve e il Principe azzurro) e volano con la leggerezza di Peter Pan verso l’Isola che non c’è. Come era accaduto nel secolo della riforma cattolica e della nascita del barocco: all’asfissìa del presente il miglior antidoto è l’aria respirabile della fantasia.
Le citazioni filmiche
Un film pieno di memorie: ovviamente anche dello schermo. Tra quelle del cinema italiano spicca Federico Fellini, nella sgangherata parodìa non tanto di un’orchestra, quanto del femminino nostrano. C’è l’indomita lasciva, la zitella pudibonda, la vogliosa trattenuta, in una smemorata percezione di sé, convinte di essere ancora giovani e desiderabili come la prostituta assoldata per il disegnatore, così fisicamente simile alla Gradisca di Amarcord, allora uscito da poco nelle sale (1973). Dagli USA, ancor prima di Disney arriva il personaggio del disegnatore, filiazione diretta e sottilmente integra di Groucho Marx, tanto che potremmo applicare a lui quanto Woody Allen scriveva per il più geniale dei fratelli Marx: “C’era una grandezza innata in Groucho, che sfida l’analisi più accurata, come succede con tutti i veri artisti. Lui è semplicemente unico, allo stesso modo di Picasso o Stravinskij, e credo che la sua impudente strafottenza verso l’ordine costituito sarà divertente tra mille anni come adesso. Oltre tutto, mi fa ridere.”
Il disegnatore è un personaggio in apparenza inetto, sfasato e inconcludente: ma tale solo perché sghembo rispetto agli standard della società in cui si muove. Il suo mondo è quello della creatività non finalizzata al denaro e al successo; della dissonanza con tutti i possibili “direttori d’orchestra”; del sogno che travolge e spazza via. La sua forza risiede nella lontananza: e lontano volerà via grazie alla sua matita che cancella la pesantezza del corpo e riconduce la grevità del quotidiano alla leggerezza della fiaba: Biancaneve, appunto. E arriviamo a Fantasia, ineludibile, per indicazione dello stesso Bozzetto e citazione deformata (ma riconoscibile) del presentatore in apertura di film. Ma Fantasia non è imitabile e Bozzetto ne fa il correlativo oggettivo di Allegro, proprio nell’accezione indicata da Eliot, di “cosa la cui presenza permette l’esistenza di un’emozione”: Disney crea i presupposti per Allegro che, poi, prende altra strada, a partire dal rapporto fra musica e disegno. In Fantasia la musica funge da commento e motore dell’immagine; in Allegro la musica accompagna una narrazione autonoma, che svela, graffia e porta alla conoscenza. La leggenda narra che, in una stanza in penombra, arrivassero a Bozzetto le note del Bolero di Ravel; e che egli vedesse, nei giochi casuali della luce, muoversi figurine danzanti su quelle note. In quel momento nacque Allegro… no: non esattamente. Dal Bolero di Ravel scaturì la visione della potenza creativa di una matita che intendesse raccontare una storia, frugando anche nelle pieghe più riposte del quotidiano, con l’aiuto di una musica opportuna che ne potenziasse il pathos e ne esaltasse l’incisività. Descrizione (Disney) contro narrazione (Bozzetto). Prendiamo, ad esempio, in Fantasia, Una notte sul monte Calvo. Vi è una potente sinergia e corrispondenza fra il suono e le immagini che si accavallano: le larve dei fantasmi, i mostri, le mani diaboliche, il fuoco da cui escono e di cui si sostanziano le tre grazie, gli animali, il volto luciferino: ma è danza. E’ puro movimento. E anche altrove, quando pare racconti una storia come nel brano dello Schiaccianoci o nella Pastorale di Beethoven, siamo di fronte a una sequenza fantastica di movimenti che si dipana scollegata dalla realtà.
A lato vi era poi la volontà di dichiarare una poetica e una tecnica diversa:
C’era per Bozzetto un universo da rivendicare: tutta la recente tradizione internazionale dell’animazione d’autore di cui egli stesso era uno dei vessilliferi, e che proponeva per l’appunto soluzioni stilistiche opposte a quelle del “Mago di Burbank”: animazione limitata, disegno angolare, gusto per l’aforisma, antisentimentalismo. [Bendazzi, La maturità del ragazzo d’oro, 2005]
Fantasia è ludus senza finalità ulteriori; in Allegro invece, l’elemento estetico non è mai separato da quello etico: diverte, certo, ma delectat ut doceat.
GLI EPISODI ANIMATI
1. Preludio al pomeriggio di un fauno di Claude Debussy: il machismo delirante.
In un locus amoenus un fauno cerca compagnia femminile: ma è vecchio, e le giovani ninfe lo rifiutano. Così si snoda la parodia dell’esibizione del maschio per conquistare una donna: l’inseguimento, la corsa, la fatica e il progressivo crescere della frustrazione. L’immagine che egli ha di sé non corrisponde a quello che la leggiadra fanciulla che coglie fiori vede: e a niente serve il mascheramento (la parrucca) cui segue l’inevitabile svelamento (la dentiera), con la consapevolezza di essere un vecchietto che necessita di sciarpetta e bastone. Un fauno caricatura scoperta dei cummenda del boom economico, attaccati all’immagine di maschio vigoroso e attraente, all’inseguimento – nei decenni – dello stesso corpo giovane e bellissimo; stolta voglia che faceva loro perdere quello che la natura (e la loro storia) offrivano: la femminilità misconosciuta delle loro compagne di vita. Il fauno cammina sui seni della donna, in un paesaggio onirico che non riconosce perché non trova il modo di fermare la sua corsa dissennata e guardare. Soltanto guardare.
2. Danza slava Op. 46 n° 7 di Antonín Dvořák: la superbia irrisa.
In una comunità di uomini delle caverne, uno di loro decide di costruirsi una capanna: e viene imitato da tutti gli altri. Questo si ripete quando si costruisce una casa e anche quando compie gesti inconsulti come ingoiare una mazza di legno, staccarsi la testa, mettersi un pitale in testa, culminando nella trasformazione in un dittatore militare che persegue l’estinzione dell’intera specie umana. Marcia seguito da tutti gli altri e si butta oltre un dirupo, aggrappandosi a un ramo appena sotto il ciglio, convinto che gli altri lo seguiranno e cadranno nel vuoto. Ma, quando crede di avere il mondo tutto per sé, verrà gratificato con un plateale sberleffo finale mostrandogli il fondoschiena, nel gesto di disprezzo adottato dai contestatori degli anni Sessanta (ma di lombi illustri, come Il Candelaio di Giordano Bruno). La necessità di distinguersi, il solipsismo, la volontà di eccellere nel disprezzo dei propri simili (in sintesi la superbia) si rivela arma letale, ma per chi ne è posseduto: il riso degli dèi inferi non perdona.
3. Bolero di Maurice Ravel: la cecità cruenta del progresso.
In una chiara citazione di 2001 Odissea nello spazio (1968) di Stanley Kubrick, uno scimmiesco direttore d’orchestra lancia una bottiglia di Coca Cola da cui esce un liquido che, nel disegno, si muta una sorta di brodo primordiale in cui ha inizio l’evoluzione della vita. Ma il tributo alla fantascienza risale ancora più indietro, al mitico La guerra dei mondi (1953), per quella figura serpentina con l’occhio periscopico col quale gli alieni esaminavano il mondo degli umani. E quanti occhi ci sono a guardare una marcia sempre più consistente di forme diverse che si moltiplicano! Esseri che vanno: verso le piramidi, verso il Golgota; comunque verso un mondo di sangue. A niente è valso il Diluvio universale, emblema di una catastrofe che potrebbe tornare: a niente la fatica del cammino e la condivisione degli ostacoli. Tanti occhi! Cos’hanno visto millenni di storia? Misteri e morte. Certo: ci sono viadotti, grattacieli, costruzioni avveniristiche: ma nessuna evoluzione. L’uomo è rimasto intrappolato in un progresso che non lo ha reso migliore. E’ la scimmia da cui pensa di essersi evoluto, ma più arrogante, artefatta, insensibile.
4. Valzer triste di Jean Sibelius: la favola tradita della casa felice.
Un gatto si aggira per una casa in rovina, in cui una volta era stato felice. Nella sua mente si ammassano le scene del passato, vive tanto da sembrare reali: ma tutto è svanito, il passato è morto e resta la desolazione dell’assenza. Una parodia dolente questa, di sapore leopardiano: il sogno di una vita felice, di un amore compiuto, della gioia della convivenza, della sicurezza degli affetti rivela la sua vacuità. Era il sogno portato in Europa dai film americani d’anteguerra: universo ordinato, casa sicura, famiglia felice, poi replicato anche nel dopoguerra. Modello fragile che non regge all’urto impietoso dei mutamenti della Storia: le fiabe e la vita reale non sono proprio la stessa cosa…
5. Concerto in do maggiore RV559 di Antonio Vivaldi: l’ombra del sesso invadente.
Un piccolo filmato per una piccola ape, il più disneyano di tutti i personaggi di Allegro, anche se la vicinanza temporale del kodomo L’ape Maya (1975) segnala una scoperta filiazione da quest’ultima. Il piacere innocente del pic-nic dell’ape è disturbato prima dall’ombra invadente dei corpi dei due innamorati, poi dal peso dei loro corpi che, rotolando, piombano sulla sua apparecchiatura. L’ape si vendicherà pungendo il maschio. La liberazione sessuale degli anni Sessanta aveva portato a eccessi talora faticosi, in una esibizione iterata che andava a discapito dei piccoli piaceri domestici che, in questa gag leggera, prendono – con l’interruzione dolorosa della puntura – la loro rivincita
6. L’uccello di fuoco di Igor Stravinskij: non il sesso, ma il denaro è il male.
Garbata ma affilata parodia della sessuofobia della Chiesa, quest’ultima animazione si presenta come il rovescio salutare della precedente: se l’esibizione eccessiva del sesso è cosa da evitare, a maggior ragione lo è la sua demonizzazione. Adamo ed Eva rifiutano il frutto del peccato (e della conoscenza) e restano ignari e felici nell’Eden, mentre il serpente che lo ingoia precipita dapprima nell’inferno e poi (ma forse è la stessa cosa) nella società dei consumi. Una vita infernale al servizio del denaro che finisce in quantità ingente nelle fauci avide della Chiesa. Civilizzato e rivestito, il serpente torna nel Paradiso Terrestre (dove Adamo ed Eva sono rimasti incontaminati) si spoglia e torna ciò che era prima. Indi esce dallo spazio animato per piombare nella sala dove porta scompiglio nell’orchestra, in un movimento perfettamente rovesciato rispetto a quello della bottiglia di Coca Cola del terzo filmato. In quest’ultima storia la metafora è abbandonata e la narrazione si serve di immagini esplicite il cui significato è incontrovertibile. Di ambiguo, di interpretabile resta lui, il serpente che, da emblema codificato della tentazione e del male, si scopre piccolo uomo che, supponendo di possedere la conoscenza (ne ha ingoiato il frutto) precipita senza volerlo in un inferno di produzione/distruzione. Ma c’è spazio per la salvezza, nell’unico modo possibile: il ritorno alla naturalità delle cose.
Il finale
Il disegnatore chiude in un mondo magico lui e la fanciulla di cui è innamorato: una Biancaneve e un Principe Azzurro lontani dalla matita di Disney. Il finale della loro storia non coincide però col finale del film, che va cercato. Il presentatore grida istericamente: “Franceschini mi porti un finale!” Adesso!”. E Franceschini, come dicevamo una sorta di Quasimodo subnormale, il finale non ce l’ha. Ha solo tante scatole a forma di teatro di cui ignora (e non comprenderà mai appieno) il contenuto. Il finale è invece chiarissimo allo spettatore che vede rovesciata – nelle scatole-teatrino – la storia di Giulietta e Romeo. Fin all’inizio la parodia muove un riso divertito: Romeo scende dal balcone (invece di salire) e ogni volta in maniera più disastrosa, acciaccandosi al punto che Giulietta non ne vuol più sapere e lo fa precipitare con un perentorio calcio nel sedere. Non paga scende e lo ributta giù più volte sino a quando non lo smembra e ne getta uno per uno i pezzi, col gesto noncurante di chi spenna un pollo ne butta via le piume. Dopo il metateatro arriva lo sberleffo: via le fiabe, via la retorica amorosa, via l’illusione di un mondo (quasi) perfetto. Forse esisterà nell’Isola che non c’è; forse lo troveranno il disegnatore-Principe azzurro e l’inserviente-Biancaneve. Non chi racconta; non lo spettatore. Quello che avrebbe dovuto essere un bacio si trasforma in una minacciosa esibizione dentale: l’uno di fronte all’altra, l’uno contro l’altra. Un finale grottesco e raggelante che chiude l’esibizione di parodie di natura diversa. Allo spettatore meditare. A quarant’anni di distanza, ci accorgiamo che niente di questo film è invecchiato. Forse perché gli artisti guardano sempre lontano e vedono quello che è ancora opaco per chi li circonda. Oggi è tutto solo un più chiaro: perché ancora crediamo alle favole del potere; ancora ci lasciamo irretire da una cultura che non è né naturale né costruttiva; e, addomesticati al riso degli dèi superni, dobbiamo ancora apprendere il riso liberatorio degli dèi inferi. Allegro ci sia da guida.
LA NASCITA DI UN CAPOLAVORO
di Chiara Cereda
Allegro non troppo, molto probabilmente il più famoso lungometraggio animato del cinema italiano, è considerato un capolavoro dell’animazione a livello internazionale, un’opera unica. L’unicità non è legata solamente alle scelte stilistiche ed espressive, ma si estende anche alla sua realizzazione. Un raro esempio in cui, grazie alla straordinaria autorialità di Bruno Bozzetto, una semplice idea si trasforma in un’opera corale di ampio respiro nella quale diverse arti si combinano, diversi artisti si esprimono in un’alternanza di stili e linguaggi differenti che si fondono in un unicum, animato tuttavia da un comune spirito. Si può infatti affermare che Allegro non troppo sia il frutto della grande maestria di Bruno Bozzetto e della sua capacità di dirigere e conferire omogeneità e coerenza alla libertà di espressione e sperimentazione.
L’idea: dal Bolero a un lungometraggio in tecnica mista
Tutto nasce, quasi per caso, da un ascolto radiofonico del Bolero di Ravel, in cui Bruno Bozzetto, grande appassionato di musica classica, riconosce la colonna sonora per un film animato. L’andamento ripetitivo della musica lo porta a immaginare una marcia, una marcia animata… perché non animare la marcia evolutiva? E perché limitarsi a un solo episodio? Confrontandosi con i collaboratori nasce quindi l’idea di realizzare un lungometraggio. Maurizio Nichetti, come da lui stesso dichiarato nel documentario Ricordando Allegro non troppo [1] aveva da tempo il desiderio di realizzare con Bozzetto un film dal vero e questa era l’occasione giusta per farlo, divertendosi e sperimentando. Divertimento e sperimentazione hanno guidato l’intera realizzazione del film, diventando il modus operandi di tutti coloro che hanno partecipato al progetto.
Una sceneggiatura a sei mani
Il rimando al disneyano Fantasia non poteva essere ignorato, anzi è stato per Bozzetto e gli altri autori un costante riferimento e un motore per lo sviluppo del film. Dall’esigenza di distinguersi da Fantasia nasce infatti l’impianto di Allegro non troppo, fondato su ironia e parodia che sfociano spesso nel grottesco e nel surreale. In questo senso è stato fondamentale il lavoro svolto sulla sceneggiatura, firmata a sei mani da Bruno Bozzetto, Maurizio Nichetti e Guido Manuli.
Ascoltando gli autori che ricordano come sono nate alcune scelte chiave del film, si potrebbe quasi dire che Allegro non troppo sia un perfetto esempio di come funzioni il brainstorming tra menti creative. Pensiamo ad esempio alla decisione di far interpretare l’orchestra a un folto gruppo di vecchiette in abiti Charleston. Inizialmente si era pensato di coinvolgere il maestro Claudio Abbado riprendendo il modello disneyano in cui un’orchestra reale interpreta i brani musicali che prendono poi vita negli episodi animati. Quest’idea non convinceva però nessuno, sia perché proprio nelle parti dal vero si individuava la maggiore debolezza di Fantasia, sia perché non coerente con la cifra ironica e parodica scelta. Si sentiva la necessità di andare oltre e non sembrava sufficiente puntare solo sulla comicità: di gag in contesti orchestrali se ne erano già viste fin troppe.
In un viaggio in macchina da Milano a Bergamo, Manuli propone di creare un’orchestra di anziane signore, vecchie attrici imbellettate. Nichetti coglie subito l’idea. Ma perché non coinvolgere vere vecchiette? Anche Bozzetto sposa questa soluzione che risponde pienamente allo spirito del film. Così «abbiamo raccolto tutte le portinaie, le vecchiette negli ospizi, ho preso mia suocera con tutte le sue amiche. E si sono divertite un mondo! […] Quest’orchestra colorata era stupenda!» [2]. Quasi un peccato non vederle a colori, ma sull’uso del bianco e nero Bozzetto è stato intransigente. Sebbene lo sviluppo del film nasca principalmente dalle idee di Bozzetto, il risultato finale è il frutto della collaborazione dei tre autori che hanno arricchito, ciascuno con le proprie personalità e inclinazioni, i diversi momenti del lungometraggio. Le storie ideate da Bozzetto sono il filo conduttore su cui si sviluppa l’intero film, la comicità slapstick e mimica di Nichetti impregna la cornice dal vero, mentre l’umorismo di Manuli trova piena espressione nel finale.
La produzione: un duro lavoro di entusiasmo, creatività e genialità
Per analizzare la produzione del film, bisogna necessariamente distinguere tra il girato dal vero e la realizzazione degli episodi animati, anche se in entrambi i casi la produzione ha fatto leva sull’entusiasmo e la creatività degli artisti coinvolti.
Le riprese per la cornice dal vero, realizzate in un clima familiare e amichevole all’interno del Teatro Donizetti di Bergamo hanno coinvolto per lo più attori amici di Maurizio Nichetti, il quale per l’occasione oltre al ruolo di protagonista, assiste Bozzetto alla regia. Se le riprese dal vero sono durate pochi giorni, la produzione degli episodi animati è stata molto più lunga e laboriosa coinvolgendo gran parte del mondo dell’animazione di allora. Per sua natura il cinema d’animazione si configura come arte collettiva, ma per Allegro non troppo questo aspetto non si è limitato alla semplice collaborazione tecnica tra artisti, ma si è esteso alla partecipazione di ciascuno con la propria espressività e autorialità, contribuendo a rendere il film unico per la sua varietà e ricchezza grafica e stilistica. Anche le tecniche sono molteplici, dall’animazione tradizionale alla stop-motion della plastilina, passando dal rotoscopio, ma ciascuna risponde a una precisa esigenza di stile e narrazione. Anche da qui è evidente la grande capacità direttiva di Bruno Bozzetto, il quale ha saputo dare senso e coerenza alla varietà, ponendo al centro tre elementi sui quali poi sviluppare la creatività: la storia, la musica e l’animazione. Per quanto riguarda le storie, gran parte del lavoro è stato svolto dallo stesso Bozzetto, l’esperto di musica classica del gruppo. Partendo dal presupposto di non limitarsi a illustrare la musica – cosa che invece caratterizza Fantasia – ma di raccontare qualcosa, il lavoro consisteva nel trovare un’idea che si sviluppasse in una storia che si sposasse con la musica per la sua intera durata. In un’intervista Bozzetto racconta le difficoltà di creare una reale sinestesia tra racconto e musica: «[…] la musica ha la sua strada, ma anche la storia ce l’ha […] la storia – man mano che si sviluppa – pretende di andare avanti autonomamente, e invece la musica potrebbe prendere un’altra direzione. […]
[…] Per questo motivo ho dovuto scartare tantissimi brani, perché fino a metà, anzi un quarto, la cosa funzionava, poi non più» [3].
Un’altra curiosità sulla scelta dei brani è che alcuni sono stati scartati perché non sono stati concessi i diritti di utilizzo, pensando che il progetto fosse in realtà una presa in giro.
Il matrimonio tra musica e narrazione è la chiave della riuscita degli episodi animati e tecnicamente tutto ruota attorno alla capacità di trovare una perfetta rispondenza tra la sfera musicale e quella animata. Se Bozzetto, in quanto regista, dava indicazioni circa i ritmi principali trovando un’attinenza tra musica, strumenti e disegni, gli animatori lavoravano sui dettagli per realizzare un sincrono perfetto. Un lavoro già complesso, complicato ulteriormente dalle risorse tecniche a disposizione. Diversamente da quanto faceva Disney per i suoi film, Bozzetto e i suoi collaboratori non hanno avuto la possibilità di studiare sulle partiture musicali, ma hanno dovuto lavorare direttamente sulla pista magnetica della colonna registrata, ascoltando e riascoltando, segnando il nastro con una matita bianca in corrispondenza di accenti, cambi di ritmo, entrate di strumenti. Tutto questo, senza avere alcun riferimento in termini di secondi o fotogrammi, rendeva il lavoro svolto completamente inaffidabile in termini di sincronizzazione. Bozzetto racconta che la prima volta che venne montata la colonna sonora sul film risultò fuori sincrono, ma fu sufficiente spostare tutto di solo un fotogramma e mezzo per ottenere un sincrono perfetto. Gli autori, considerando la tecnica “arcaica” utilizzata, sostengono che sia un vero miracolo che tutto abbia funzionato perfettamente al primo colpo…o quasi.
Agli animatori va anche il grande merito di aver saputo rispettare la volontà di Bozzetto di avere un’animazione fluida, morbida, disneyana. Questa scelta implica dal punto di vista tecnico un lavoro meticoloso di intercalazione, dove ogni dettaglio deve prendere vita attraverso l’animazione. Per questo per realizzare il solo episodio del Bolero ci sono voluti due anni. Uno dei tratti distintivi dei personaggi realizzati da Giorgio Valentini è infatti la loro plasticità resa dalle sfumature ottenute tramite un utilizzo marcato del tratto a matita. Come ogni altro elemento anche queste sfumature così come i singoli tratti che le determinavano dovevano essere animate, fotogramma per fotogramma. Allegro non troppo è da ritenersi quindi un’opera unica, anche per la straordinarietà del lavoro svolto, soprattutto tenendo in considerazione che negli anni Settanta le tecnologie e gli strumenti a disposizione non erano quelli di oggi.
Si pensi ad esempio al momento in cui la bottiglietta di Coca Cola entra direttamente nella sequenza animata dando inizio all’episodio del Bolero: oggi sarebbe stato semplicissimo realizzare la scena compositandola in digitale; all’epoca gli autori hanno dovuto ricreare artigianalmente l’effetto vetro lavorando su due livelli di animazione diversi per 800 fotogrammi… bastava un piccolissimo errore per dover ricominciare dall’inizio.
L’artigianalità propria dell’arte animata, che ha piena espressione nell’animazione della plastilina nell’Uccello di Fuoco, la troviamo anche negli inserti di video dal vero degli episodi animati sulle musiche di Sibelius e Stravinsky. In Valzer Triste Bozzetto ha deciso, anche forse per la storia ispirata a un evento familiare, di inserire video di ricordi di famiglia in cui compare con figli, nipoti e amici; mentre nell’Uccello di fuoco si tratta di esterni e cartelli pubblicitari ripresi con macchina a mano dallo stesso Bozzetto a Milano. In entrambi gli episodi l’intromissione della ripresa dal vero risponde a un’esigenza narrativa, ma si inserisce stilisticamente nella sperimentazione sulla commistione tra live action e animazione attuata dagli autori lungo tutto il film. Creatività, sperimentazione, entusiasmo e collaborazione hanno contribuito a determinare l’assoluto valore artistico dell’opera. Ancora oggi Allegro non troppo rappresenta uno dei più alti momenti dell’animazione mondiale, forse l’unico in cui l’animazione italiana è riuscita a esprimersi al meglio come arte corale. Se pensiamo inoltre che all’inizio il lungometraggio di Bozzetto non trovò una distribuzione in Italia perché, pur comprendendone la qualità, non fu considerato adatto al pubblico dell’epoca, rimane spazio per una riflessione… non troppo allegra!
UN ROMANZO CORALE
di Andrijana Ruzic
Allegro non troppo rappresenta una risposta animata di Bozzetto a Fantasia di Walt Disney, uscito nel 1940. Ispiratosi a questo lungometraggio disneyano, Bozzetto mette per immagini i sei brani di musica classica più cari a lui, ma, al contrario di Disney, cerca di introdurre dei contenuti dentro le cornici musicali. Nelle storie che nascono, ispirate dai brani di Stravinsky, Sibelius, Ravel, Dvorzak e Debussy, riesce ad elaborare i temi che più gli stanno a cuore: la critica della società consumista, le questioni legate all’ambiente, all’ecologia, al conformismo. In questo senso, si potrebbe quasi accostare Bozzetto a George Dunning: nel suo lungometraggio Yellow Submarine (1967) si ritrova lo stesso tipo di ironia e di sensibilità all’ambiente. E ancora, il film di Dunning e quello di Bozzetto potrebbero essere visti e vissuti come dei «documentari sulle condizioni ecologiche, fisiche e psicologiche del loro tempo» [4].
Bozzetto stesso ci tiene a sottolineare che il suo Allegro non troppo doveva essere un film che rispondesse all’idea di Walt Disney, «ma fatto con la nostra mentalità e sensibilità. Con un gusto di storie si cercava di dare un contenuto più che fare una rappresentazione grafica della musica. Questa è stata una sfida raccolta subito da tutti» [5]. Questi “tutti” sono i suoi collaboratori, che, come dichiarerà lo stesso Bozzetto trent’anni più tardi: «si sono buttati nel progetto anima e corpo, credendoci, e soprattutto divertendosi». E il risultato è un film che fa riflettere, un caso irripetibile di collaborazione umana, a tratti irriverente e divertente, sognante nella sua essenza.
Allegro non troppo è un film a tecnica mista, con intermezzi dal vero ed episodi a disegni animati (con alcune sequenze di animazione in plastilina) e ancora oggi ci stupisce per la magia delle invenzioni grafiche e per la maestria dell’esecuzione. L’eterogeneità degli stili è il risultato delle diverse penne che hanno contribuito alla sua realizzazione. Come precisa Maurizio Nichetti: «lo stile grafico degli episodi animati rappresenta il campionario di come era l’animazione in quei tempi a Milano» [6].
Un’équipe da romanzo corale
Allegro non troppo è un fantastico viaggio musicale, ideato da Bozzetto e realizzato da una équipe numerosa di animatori eccellenti, entusiasti e sognatori tenaci, che hanno saputo esprimere bene ed animare con il cuore i concetti antropologici che Bruno aveva in mente, in un’atmosfera che rimanda al romanzo corale. Tutto il lavoro artistico e tecnico si è svolto in tre studi milanesi: quelli di Bozzetto, di Laganà e di RDA. Per due anni Bozzetto si è spostato da uno studio all’altro per supervisionare e coordinare i lavori. Bozzetto si è sempre mostrato molto grato ai suoi collaboratori, menzionandoli in ogni intervista, cosciente del fatto che questa generosa collaborazione artistica sarebbe stata irripetibile in futuro. Guido Manuli, ad esempio, ha definito Allegro non troppo come «l’idea libera del disegno mai più ripetuta in Italia» [7], sostenendo che una collaborazione fra gli animatori così entusiasta e disinteressata, senza gelosie e segreti professionali, oggi non sarebbe più possibile. La sceneggiatura e il soggetto sono firmati da Bruno Bozzetto, Guido Manuli e Maurizio Nichetti. Come principali collaboratori all’animazione e alle scenografie figurano molti artisti talentuosi.
Giuseppe Laganà è il direttore artistico nell’episodio del Bolero, nonché ideatore di layout e storyboard. Anche per il brano Preludio al pomeriggio di un fauno, Laganà firma lo storyboard, il layout, alcune parti dell’animazione (le ragazze) e le scenografie. Bruno Bozzetto si cimenta nell’episodio della Danza slava n. 7 di Antonin Dvorak, molto lineare e pulito, ironizzando sulla questione di imitazione degli umani per puro scopo competitivo.
Walter Cavazzuti e Giovanni Ferrari dello studio RDA 70 sono i responsabili delle intere sequenze del Bolero e della camminata dei personaggi. Il loro tratto artistico si riconosce nella morbidezza del corpo e nella malinconia negli occhi del gatto nel Valzer triste e dell’ape nel concerto di Vivaldi. Paolo Albiccoco e Giorgio Forlani disegnano le opulenti e coloratissime scenografie: il primo quelle contenute nell’episodio del Valzer triste, il secondo quelle del brano di Vivaldi.
Giancarlo Cereda, partendo dal consiglio di Bruno, che voleva uno stile morbido e delicato, usa l’aerografo e crea tutte le scenografie per il Bolero, di cui l’animatore Giorgio Valentini crea dei personaggi. Luciano Marzetti, grande sperimentatore, è l’autore degli 800 fotogrammi necessari per far illuminare la bottiglia di Coca Cola nelle prime sequenze del Bolero. Inoltre firma le riprese e gli effetti speciali (non solo in Allegro, ma in tutti i film di Bozzetto). Mentre il volitivo e vulcanico Guido Manuli realizza le diverse dissacranti visioni dei possibili finali del film.
Lo stile grafico come specchio dell’animazione d’epoca
Lo stile (o meglio i diversi stili grafici) degli episodi animati subiscono l’influenza dai diversi film d’animazione d’epoca, verso i quali si riconoscono numerosi richiami. Al di là delle differenze specifiche dei vari episodi, si può dire che, in linea generale, l’animazione è sempre morbida, fluida e mai ripetitiva, mentre i protagonisti dei vari episodi si comportano da veri attori, nell’accezione disneyana di character animation. La soluzione grafica del Dio del consumismo nel brano L’uccello di fuoco realizzata da Manuli, potrebbe ben essere un’ironica interpretazione del Dio Chernabog, disegnato dal grande animatore disneyano Bill Tytla, nell’episodio della Notte sul Monte Calvo in Fantasia, su musica di Musorgskij.
Le scenografie dei due episodi disegnati sulle note di Vivaldi e Debussy si rispecchiano nei paesaggi, sontuosi, floreali ed ubriachi di colore, che si trovano nei disegni di Heinz Edelmann per il film Yellow Submarine oppure nelle scenografie di Zlatko Bourek delle serie zagabresi dedicate alle avventure di professor Balthazar. La fantasmagorica fila di animali che si muove nel ritmo del Bolero rimanda alle tipologie di animali del tutto inventati dalla penna dell’animatore zagabrese Zlatko Grgic nel suo film Klizi-puzi del 1968. Tutte queste similitudini stilistiche sono giustificate dalle mode e dagli stili di un tempo, che si trovano in tutte le altre arti, l’animazione compresa.
Allegro non troppo, ovvero la visione malinconica di Bozzetto dell’Uomo
Recentemente Bruno mi ha confidato un episodio molto tenero e personale della sua infanzia:
«Bambi mi ha formato. Ho cominciato a capire il discorso dell’uomo con Bambi, in una scena particolare. C’è Bambi che sta tornando a casa, guarda la valle e vede il fumo che sale, e dice: “È arrivato l’uomo.” Quella scena per me è stata rivelatrice; da lì ho capito che cosa era l’uomo per la natura. Prova ad immaginarti un mondo come quello, lascia stare che nella natura si scannano peggio che fra noi; ma lo fanno per mangiarsi e non per cattiveria o per divertimento. In un mondo così, con questo ordine della natura, l’arrivo dell’uomo è stato devastante» [8].
Dopo questo suo ricordo ho rivisto Allegro con altri occhi, ho pensato in un altro modo ai temi che vengono trattati. È verissimo che la musica classica, con la sua intoccabile perfezione e bellezza, contribuisce a definire questo film di Bozzetto un classico d’animazione, che ormai ha superato nello stile e nei contenuti il modello dal quale era ispirato. Ma è pur vero che tutte le storie, insediatesi dentro i brani musicali scelti da Bozzetto, altro non trattano che i temi che da sempre affascinano Bruno, tutti quanti legati alla figura dell’Uomo. Non perché Bruno lo stimi particolarmente, quell’essere umano, anzi. Se potesse, lo spoglierebbe dalla sua mania di protagonismo e lo spodesterebbe del piedistallo sul quale si è arrampicato da solo. Le storie di Allegro rispecchiano il lato pessimista e malinconico dell’autore, il quale non crede nell’Uomo, denunciando con l’ironia le sue miserie e vanità, fotogramma dopo fotogramma.
GLI INTERMEZZI DAL VERO
di Priscilla Mancini
Gli attori e la recitazione: la grande forza espressiva delle parti dal vero
Allegro non troppo è un lavoro a tecnica mista, in cui l’animazione si alterna alle riprese dal vero. Per questa peculiarità, il film può essere considerato come vero e proprio spartiacque nella filmografia bozzettiana, posto tra i lungometraggi animati West and Soda (1965) e Vip mio fratello superuomo (1968), e il film live Sotto il ristorante cinese (1987), di cui Bozzetto è sceneggiatore, produttore e regista. La struttura filmica di Allegro non troppo prevede sei episodi d’animazione intermezzati da siparietti in live action, in cui gli attori in carne ossa sono veri e propri co-protagonisti del film insieme ai disegni. E proprio nelle parti dal vero, il film ha una grande forza espressiva, per almeno tre ragioni [9].
- Le gag degli attori, che si susseguono ritmate e a volte in maniera imprevista o imprevedibile, creano una storia a sé stante, perfetto esempio meta-cinematografico di “film nel film”.
- In ogni sipario comico si ha un filo conduttore con gli episodi animati, una sorta di “testimone” nella staffetta tra la dimensione reale e quella animata. Gli oggetti e i personaggi disegnati (il gorilla, il serpente, il Signor Rossi: geniale apparizione di una delle più celebri creazioni bozzettiane) che entrano nella scena live accentuano il carattere di finzione e amplificano la comicità.
- Le scenette recitate hanno un crescendo narrativo (ne è un esempio la storia d’amore tra il disegnatore e la sguattera), che coinvolge lo spettatore. Come pubblico, da un lato siamo interessati a vedere i virtuosismi artistici degli episodi disegnati, ma dall’altro lato siamo incuriositi di scoprire cosa succederà nell’intermezzo successivo.
Il teatro nel teatro
A livello tecnico, gli intermezzi dal vero presentano una fotografia in bianco e nero molto contrastata, che accentua volutamente i tratti demodé della scenografia, lo stile alla belle époque del trucco e dei costumi, e rimanda in maniera velata ai Café Concert, al cinema muto e al mondo del Charleston.
In particolare, la scelta del direttore della fotografia, Mario Masini (fresco delle collaborazioni con Carmelo Bene) rispondeva al desiderio di Bozzetto di caratterizzare i momenti in live action con un bianco e nero fortemente accentuato e volutamente espressionista per dare maggior risalto alla musica e alla poesia dell’animazione. A livello di narrazione, il tratto distintivo è la comicità, la volontà di far ridere lo spettatore e il crescendo di ironia dato dal rapporto tra i personaggi, dalle gag in perfetto stile slapstick comedy, dai simpatici riferimenti e dagli inserimenti metacinematografici. Tale approccio ironico è dichiarato in apertura del film, con la retorica introduzione di un pomposo presentatore (Maurizio Micheli):
«Signore e signori, state per assistere a uno spettacolo indimenticabile, a un film destinato all’immortalità, immortale come le musiche che verranno ora eseguite e interpretate a disegni animati. […]Con questo film siamo finalmente riusciti a realizzare questa unione, disegni animati e musica classica, una coppia destinata a rimanere, ne siamo certi, nella storia del cinema. Un film nuovo, originale […] dove potrete vedere la musica e ascoltare i disegni, in una parole un film pieno di… fantasia».
Il riferimento al film disneyano è chiarissimo ed evidente, tanto più che, dopo questa introduzione, il presentatore riceve una telefonata da Hollywood che fa sorgere qualche dubbio. Pare che un film simile sia già stato realizzato svariati anni prima da un americano…un certo Frisney, Prisney o forse Grisney… (naturalmente Disney!). Un riferimento diretto a Fantasia, quindi, da cui però si vuole evidentemente prendere le distanze!
Il set è quello di un teatro [10] (luogo per eccellenza della rappresentazione simbolica) vuoto, in cui l’atmosfera demodé e fuori dal tempo data dalla fotografia si amplifica. La scelta del teatro è un espediente perfetto per sottolineare il senso di finzione nella finzione, che confonde su cosa è vero e cosa non lo è. Lo spettatore si trova davanti a scene in cui tutto può succedere o in cui nulla è come appare, dove realtà e animazione sono due facce della stessa medaglia.
I personaggi da slapstick comedy
Per quanto riguarda i personaggi che popolano in maniera apparentemente casuale e confusionaria il teatro, troviamo in primis l’orchestra di improbabili vecchiette (prelevate direttamente da un ospizio), truccate e vestite allo stile della belle époque, che suonano strumenti esageratamente finti, a volte addirittura cartonati.
L’orchestra è un elemento comico di grande novità: non si tratta infatti di un’orchestra vera in cui vengono create gag sui vari musicisti (come avevano fatto ad esempio Jerry Lewis o Marty Feldman), ma di un’orchestra surreale, decadente e priva di credibilità.
Poi ci sono i protagonisti, vere e proprie “macchiette”, stereotipi della storia del cinema e della letteratura. Il presentatore un po’ distratto (Maurizio Micheli), «anti-eroe dell’avanspettacolo di una normalità tragicomica» [11]; il burbero direttore d’orchestra (l’argentino Néstor Garay), «direttore obeso dall’accento straniero, irritabile e vanesio, che per il fatto di prendersi troppo sul serio finisce col subire scherzi in gran quantità» [12]; la sguattera (Maria Luisa Giovannini), moderna Cenerentola un po’ fuori luogo, che nei gesti e nelle movenze rimanda volutamente a un immaginario disneyano rivisitato in chiave ironica; il disegnatore, ovvero l’artista (Maurizio Nichetti), che, ancora “all’antica”, disegna in tempo reale le sequenze animate su fogli di carta bianca.
Antagonisti, in un cliché tipico del film comico, sono il direttore d’orchestra, serio e impostato, e il disegnatore, spirito libero sorretto dall’estro artistico. Contrapposti uno all’altro, i due si punzecchiano, battibeccano e alla fine creano una gran confusione, in perfetto stile slapstick comedy, ispirandosi a uno modello di comicità alla “Stanlio & Ollio”.
Non va scordata infine tutta quella serie di personaggi di volta in volta vengono prestati alle gag (come il gorilla che irrompe sulla scena dopo l’esecuzione del Bolero di Ravel o il serpente che esce dall’animazione de L’Uccello di fuoco di Stravinsky).
Allegro e la sua natura “concertistica”: il cast e gli autori Proprio per la struttura a episodi (unico caso in tutta la produzione bozzettiana), Allegro non troppo non ha un’unica linea autoriale, ma sembra essere il frutto di una progettualità collettiva forte e unitaria, che coinvolge almeno tre autori differenti: Maurizio Nichetti, Guido Manuli e Bruno Bozzetto (che fin dai titoli di testa sono accreditati come soggettisti e sceneggiatori). Responsabile del casting è Maurizio Nichetti, che, grazie alle sue conoscenze nel mondo del teatro milanese dell’epoca, ha procurato gran parte degli attori. È stato lui a proporre Maurizio Micheli, suo compagno di studi al Piccolo Teatro di Milano, per il ruolo del presentatore, e a coinvolgere molti colleghi della compagnia “Quelli di Grock” da lui co-fondata insieme ad Osvaldo Sappi (anch’egli coinvolto nel film, nella parte dell’uomo vestito da gorilla). Tra i molti nomi che compongono il cast, si possono citare un’allora ventenne Angela Finocchiaro, oggi attrice di successo (che interpreta la stunt women della vecchietta che cade rompendosi in mille pezzi) e Jolanda Cappi, oggi regista teatrale (che interpreta la vecchietta che balla il charleston con il disegnatore). Anche gli episodi animati sono realizzati da molti animatori e disegnatori, ognuno con caratteristiche e peculiarità proprie. Tra loro ricordiamo ad esempio i compianti Walter Cavazzuti (1946-2004), collaboratore di Enzo d’Alò come character designer nei film La Gabbianella e il Gatto (1998), Momo alla conquista del tempo (2001) e Opopomoz (2003); e Giuseppe Laganà (1944-2016), autore della serie animata di Lupo Alberto, dei lungometraggi del Coniglietto Felix e del primo film italiano interamente realizzato in computer animation, Pinxocchio (1981).
Ecco allora che Allegro non troppo appare come un vero e proprio film “concertistico” (non a caso la musica è l’elemento fondante), pensato da più menti e realizzato da più mani, costituito da linguaggi differenti e da registri variegati. E proprio in questa molteplicità di punti di vista sta la sua grande forza e originalità, che lo discosta da un film classico come Fantasia, nonostante si rifaccia ad esso in maniera esplicita.
GLI EPISODI ANIMATI E LA MUSICA
di Marco Bellano
Allegro non troppo e Fantasia: due universi solo apparentemente simili
Quando Maurizio Micheli, il “presentatore” servile e incompetente che apostrofa il pubblico nelle sequenze dal vivo di Allegro non troppo, annuncia «Un film dove potrete […] vedere la musica e ascoltare i disegni, in una parola un film pieno di Fantasia», per poi essere redarguito da un’improvvisa telefonata, che subito commenta trafelato: «Sostengono […] che questo film […] l’avrebbe già fatto, parecchi anni fa, un certo […] Frisney, Prinsey, Grisney… Un americano, insomma», è inevitabile reagire sorridendo. Tanta ignoranza, infatti, è ritenuta paradossale dallo spettatore medio: chi non conosce Walt Disney e il suo “concerto filmato” del 1940, Fantasia? L’assurdità diventa subito umorismo; il sedicente presentatore fa ridere per il goffo tentativo “all’italiana” di vendere un plagio come novità assoluta, e fa ridere al tempo stesso l’autoironia degli autori, che tramite la scenetta paiono dire: sì, stiamo per rifare Fantasia, ma sappiamo benissimo di non essere Disney; per questo abbiamo subito messo le carte in tavola, sperando nella vostra benevolenza. Peccato che ciò di cui bisognerebbe ridere è proprio il pubblico, che gli autori stanno di fatto prendendo in giro. La premessa che innesca la piccola gag, infatti, è fallace: Allegro non troppo è ben lungi dall’essere un rifacimento di Fantasia. Questo, tuttavia, lo si capisce solo mano a mano che il film si dipana. L’idea di illustrare con disegni animati celebri brani della musica colta europea è l’unico concetto che lega le due opere: tutto ciò che ne consegue è diverso, a cominciare dalla maniera in cui la musica stessa viene prestata alla messinscena animata.
Bruno Bozzetto ha individuato così il cuore di tale questione:
«In effetti […] sono molto debitore a Disney perché l’idea parte da Disney. Prima di allora nessuno aveva avuto l’idea di fare un lungometraggio visualizzando brani di musica classica. Sicuramente era una risposta a Disney, ma anche in senso affettivo. Ho però cercato di dare un’interpretazione col mio stile. Mentre lui si era dedicato maggiormente ad una interpretazione estetica e grafica, io ho cercato di trovare dei contenuti».[13]
L’importanza della narrazione
Allegro non troppo racconta sei storie. Anzi, sette, o forse una sola: perché le scene dal vivo intercalate ai cortometraggi animati costituiscono un’unica vicenda, quella dell’amore fra un animatore e una giovane addetta alle pulizie, tra le angherie subite da un corpulento direttore d’orchestra alla guida di un ensemble di vecchiette dotate di strumenti finti. Mano a mano che il film procede, diversi personaggi animati (tra cui il Signor Rossi, in un cameo) finiscono per interagire con le persone in carne ed ossa, finché gli stessi animatore e ragazza non si tramutano in caricature di Biancaneve e del Principe Azzurro in versione Disney. In Fantasia, invece, di storia con un impianto narrativo chiaro ve ne è una sola: L’apprendista stregone. Il resto del film si risolve in frammenti dove contano di più le coreografie e gli incanti visivi, e in silhouette di veri musicisti, all’opera sotto l’autorità dell’altrettanto “reale” Leopold Stokowski, tra didattici interventi del critico e compositore Deems Taylor, in abito da cerimonia e quasi sempre inquadrato, significativamente, un poco dal basso verso l’alto.
L’autenticità della musica
Accanto all’immaginario animato, la musica classica viene porta allo spettatore di Fantasia in veste “autorevole”: i maestri in silhouette, pur tra scenografie quasi astratte, agiscono secondo i rituali tipici della sala da concerto (fatta eccezione per un voluto momento di contrasto, la jam session nell’intervallo). Stokowski nota Mickey Mouse solo quando questi riesce, a fatica, a farsi notare; allora si piega, rimanendo però alto sul suo podio, per stringere accondiscendente la mano all’alter ego di Walt Disney (e della cultura pop americana).
La “preoccupazione” per l’autorevolezza della musica è palese anche nei segmenti animati. In essi, il legame tra suono e immagine si nutre di sincronie perfette; sotto lo strato di virtuosismi grafici, però, nulla sembra interferire con la sensazione di un’esecuzione da capo a fondo. L’animazione, insomma, pare essere al servizio della musica; eppure, ciò che avviene è esattamente il contrario. Non c’è infatti un solo brano, tra quelli selezionati per Fantasia, che venga presentato in forma autentica: tutti sono ritoccati, e in modo niente affatto marginale, per fornire spunti più efficaci all’animazione. Nell’Apprendista stregone, dal poema sinfonico di Paul Dukas vengono tolte tutte le piccole ripetizioni che costellano il discorso, ovvero gli incisi che ribadiscono simmetricamente delle battute di proposta, con l’evidente intento di dare al pezzo una direzione “a senso unico”, molto più adatta a un’animazione dinamica. Ma si potrebbe parlare anche dell’arbitraria ripresa finale dell’incipit nella Sagra della primavera di Igor Stravinsky, del contrabbasso che intona da capo la Danza delle ore del giorno nella Danza delle ore di Amilcare Ponchielli per dare comico “corpo” alle movenze dell’ippopotamo Giacinta, oppure, ancora nell’Apprendista stregone, dei posticci colpi di piatti aggiunti alla scena in cui l’ombra di Mickey fa giustizia di una scopa impazzita, in nome dell’insaziabile fame di sincronie audiovisive che pervade l’intero film.
Allegro non troppo non ha bisogno di alterare la musica su cui si basa. Dell’autorevolezza simulata fa a meno, mantenendo intatta, benché sempre sullo sfondo, quella autentica: per il Prélude à l’aprè-midi d’un faune di Claude Debussy, la Danza slava n. 7 di Antonin Dvorak, il Bolero di Maurice Ravel e il Valser Triste di Jean Sibelius sono state selezionate esecuzioni di Herbert Von Karajan con i Berliner Philharmoniker; per il Concerto PV 74 di Antonio Vivaldi ci si è affidati invece a Hans Stadlmair e alla Münchener Kammerorchester, mentre quanto proposto dalla Suite L’oiseau de feu di Stravinsky (ossia la Ronde des princesses e la Danse infernale du roi Katschei) viene da un’incisione di Lorin Maazel con la Radio-Symphonie-Orchester di Berlino [14].
Di tutti questi musicisti nel film non si fa cenno, poiché Bozzetto e colleghi non cercavano certificazioni d’eccellenza. La bontà dell’operazione era già attestata dal precedente di Disney; su questo fu possibile costruire. E ciò che si volle realizzare non fu un’esibizione di maestria nell’animazione (che pure in Allegro non troppo esiste, senza voler a tutti i costi cercare paralleli con Disney: quelli del Bolero sono forse i disegni animati italiani più spettacolari di sempre), ma un pezzo di bravura nell’arte dello storytelling.
Per ogni brano della selezione si scovò una storia appropriata, con inizio, svolgimenti e conclusioni; e ognuna di queste articolazioni fu declinata sui ritmi e le atmosfere della musica, senza alterare nemmeno una nota. Il gioco di incastri che ne è seguito non si è svolto solo tra arti visive e sonore, ma anche tra competenze: ogni arco narrativo doveva essere controllato nella sua interezza e poi nelle sue singole parti, dove avrebbero dialogato tra loro gag a effetto, scelte registiche e grafiche, nonché pantomime brillanti, in un flusso di mutamenti continui capaci di mantenere vivo l’interesse; curando poi che il tutto confluisse nel grande quadro complessivo dell’unica storia raccontata, tenuta assieme dalla “cornice” delle scene dal vivo. A un compositore, tale intricata ingegnosità non potrebbe che ricordare certi procedimenti raffinati, ad esempio le variazioni su basso ostinato, in cui la musica si rinnova di continuo pur basandosi sempre su una successione fissa di suoni. È un’incarnazione del principio di variazione, uno dei cardini della composizione occidentale: sarà forse questa la vera ragione per cui Allegro non troppo è un film così profondamente musicale?
SCHEDA FILM
Titolo: Allegro non troppo
Anno: 1976
Formato: 35mm
Durata: 85’
Produzione: Bruno Bozzetto
Regia: Bruno Bozzetto
Aiuto regista: Maurizio Nichetti
Soggetto e sceneggiatura: Bruno Bozzetto, Guido Manuli, Maurizio Nichetti
LIVE ACTION
Interpreti: Marialuisa Giovannini (ragazza delle pulizie), Néstor Garay (direttore d’orchestra), Maurizio Micheli (presentatore), Maurizio Nichetti (disegnatore), Osvaldo Saivi (scimmione), Jolanda Cappi, Franca Mantelli, Mirella Falco. Con la consulenza mimica di Marise Flach
Direttore della fotografia dal vero: Mario Masini
Operatore riprese dal vero: Aldo Antonelli
Costumista: Lia Morandini
Trucco: Giuliana De Carli
Montaggio ed effetti sonori: Giancarlo Rossi
Musica originale (motivi dei balletti): Franco Godi
ANIMAZIONE
Collaboratori principali ai disegni animati: Walter Cavazzuti, Giuseppe Laganà, Guido Manuli, Giorgio Valentini
Aiuto animazione: Stefano Nuzzolese, Pierangelo Veggetti, Carlo Beretta
Animazione in plastilina: Master Programmi Audiovisivi s.r.l.
Scenografia: Giancarlo Cereda, Giuseppe Laganà, Paolo Albicocco, Giorgio Forlani
Fotografia a disegni animati ed effetti speciali: Luciano Marzetti
Altri collaboratori: Edo Cavalli, Roberto Casale, Angelo Beretta, Mirna Masina, Carlo Caccialanza, Antonio Dall’Osso, Angela Garavaldi, Ivano Gorla, Grazia Lamura, Annalisa Paulon, Daniela Pescò, Anna Pezzotta, Gianfranco Pirovano, Modesto Rizzolo, Rosy Tesé
Organizzazione generale: Flora Sperotto
Musica preesistente: Claude Debussy, Preludio al pomeriggio di un fauno // Antonìn Dvořák, Danza slava n. 7 in do minore op. 46 n. 7. // Maurice Ravel, Boléro (parte) // Jean Sibelius, Valzer triste // Antonio Vivaldi, Concerto in Do maggiore per 2 oboi, 2 clarinetti, archi e cembalo RV 559 (primo movimento: Larghetto – (Allegro)) // Igor Stravinskij, L’uccello di fuoco (Suite del 1919): 3. Ronda delle principesse (parte); 4. Danza infernale del re Kascej
BRUNO BOZZETTO
Nato a Milano il 3 marzo 1938, Bruno Bozzetto è a oggi uno dei massimi rappresentanti del cinema d’animazione italiano nel mondo. Poliedrico, ironico e talentuoso, Bozzetto è autore e regista di lungometraggi, cortometraggi, pubblicità e campagne educative: un prolifico artista che non smette di stupire e che ama definirsi “artigiano”. Ideatore del Signor Rossi, l’italiano medio alle prese con il malcostume della società e attivo nella grande fucina di Carosello, Bozzetto raggiunge l’apice della sua carriera a partir dagli anni Sessanta-Settanta. In primis con i lungometraggi (West and Soda, 1965; Vip mio fratello superuomo, 1968 e Allegro non troppo, 1976), con i cortometraggi (tra i numerosi titoli, citiamo Mister Tao, vincitore dell’Orso d’Oro al Festival di Berlino nel 1990 e Cavallette, nominato al Premio Oscar nel 1991) e con le serie TV (basti pensare a La famiglia Spaghetti, degli anni Duemila).
Braccio destro di Piero Angela per le animazioni del programma Super Quark, Bozzetto ha ottenuto riconoscimenti anche oltre oceano. Nel 2013-2014, infatti, il Walt Disney Family Museum di San Francisco gli ha tributato un riconoscimento per i suoi lavori nel campo dell’animazione dedicandogli una mostra retrospettiva dal titolo Bruno Bozzetto Animation, Maestro!
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NOTE
[1] Contenuto speciale del DVD di Allegro non troppo, compreso nel cofanetto Tutto Bozzetto, o quasi (Edizioni San Paolo, 2005).
[2] Contenuto speciale del DVD di Allegro non troppo, compreso nel cofanetto Tutto Bozzetto, o quasi (Edizioni San Paolo, 2005).
[3] Dichiarazione di Bruno Bozzetto tratta dall’appendice 1 di Allegro non troppo. Vedere la musica e ascoltare i disegni, Valerio Sbravatti (ilGlifo, 2015).
[4] Giannalberto Bendazzi, Cartoons. One Hundred Years of Cinema Animation, John Libbey Publishing, Eastleigh, 1994; p. 281.
[5] Dichiarazione di Bruno Bozzetto, tratta dal contenuto speciale Ricordando Allegro non troppo, del DVD Allegro non troppo, compreso nel cofanetto Tutto Bozzetto, o quasi (Edizioni San Paolo, 2005).
[6] Dichiarazione di Maurizio Nichetti, tratta dal contenuto speciale Ricordando Allegro non troppo, del DVD Allegro non troppo, compreso nel cofanetto Tutto Bozzetto, o quasi (Edizioni San Paolo, 2005).
[7] Dichiarazione di Guido Manuli, tratta dal contenuto speciale Ricordando Allegro non troppo, del DVD Allegro non troppo, compreso nel cofanetto Tutto Bozzetto, o quasi (Edizioni San Paolo, 2005)
[8] Dichiarazione di Bruno Bozzetto all’autrice.
[9] Come spiega Guido Michelone nel saggio Allegro non troppo, in La Fabbrica dell’Animazione. Bruno Bozzetto nell’industria culturale italiana, a.c. di Giannalberto Bendazzi e Raffaele De Berti, Il Castoro, Milano 2003; p. 132.
[10] Teatro Gaetano Donizetti di Bergamo.
[11] Guido Michelone, Allegro non troppo in La Fabbrica dell’Animazione. Bruno Bozzetto nell’industria culturale italiana, a.c. di Giannalberto Bendazzi e Raffaele De Berti, Il Castoro, Milano 2003; p.133.
[12] Guido Michelone, Allegro non troppo in La Fabbrica dell’Animazione. Bruno Bozzetto nell’industria culturale italiana, a.c. di Giannalberto Bendazzi e Raffaele De Berti, Il Castoro, Milano 2003; p.133.
[13] Bruno Bozzetto, Intervista, in Maria Francesca Botticini, tesi di laurea, Allegro non troppo. Bruno Bozzetto, cartoonist italiano, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Magistero, a.a. 1992/93, pag. XIV, cit. in Antonio Vincenzo Boscarino, L’estetica di Bruno Bozzetto. Teoria e prassi tra movimento e spettacolo, Bulzoni, Roma 2002; p. 101.
[14] Si veda, per questi e altri dati, il disco LP Deutsche Grammophone 2535-400.
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ALLEGRO NON TROPPO. UN TESORO DELL’ARTE ITALIANA
1° Edizione curata da LA FABBRICA DELL’ANIMAZIONE
© 2016 Stampato da AGEMA®
Settembre 2016
Con il patrocinio di: Regione Lombardia Città Metropolitana di Milano Comune di Milano Expo in Città AGIS Regione Lombardia SIAE Fondazione Cariplo
Con il prezioso sostegno di: Walt Disney Company
In collaborazione con: Bruno Bozzetto Distrubution, Studio Bozzetto & Co.
Media partner: Cinecittà News, Cineforum
Partner tecnici: Agema®, Narvalo Fineart, Sportello sponsorizzazioni culturali della Camera di Commercio di Milano
Mostra e catalogo a cura di: Chiara Cereda, Shirin Chehayed, Priscilla Mancini, Andrijana Ruzic
Con la collaborazione di: Marco Bellano, Lella Bigatti, Valeria Bodanza, Cinzia Bottini, Bruno Bozzetto, Anita Bozzetto, Filippo Del Corno, Paola Gattermayer, Gianluca Pulsoni, Giuliana Nuvoli, Francesca Tassone
Si ringraziano: Samira Abou Moussa, Giuseppe Amagliani, ANAC Autori, Emma Balj, Nikola Balj, Marco Barraco, Joel Samuele Beaumont, Luisa Bonacina, Licia Bodanza, Alice Buscaldi, Francesca Calabretta, Giuseppe Calzolari, Roberta Canepa, Andrea Cangialosi, Paolo Carena, Marco Cattaneo, Francesco Chini, Silvia Deforza, Sara Di Marino, Ornella Di Profio, Marco Di Salvatore, Tommaso Dradi, Michel Fuzellier, Antonello Gianfreda, Federico Greco, Graziano Incardona, Giovanna Lazzati, Andrea Leone, Elvio Manuzzi, Margherita Marazzi, Veronica Marcantonio, Giovanni Marri, Marina Messina, Donatella Miceli, Paola Migliorino, Giusva & Luca Napolitano, Stefano Patrone, Neumannová Radka, Paolo Romano, Enrico Sanna, Raffaella Scrimitore, Monica Maria Seksich, Orsola Sinisi, Giovanni Smaldone, Fabrizio Vanzan
ALLEGRO NON TROPPO. UN TESORO DELL’ARTE ITALIANA
1° Edizione curata da LA FABBRICA DELL’ANIMAZIONE
© 2016 Stampato da AGEMA ®
Settembre 2016Edizione della Svizzera Italiana a cura di Mario Verger © 2017