Intervista a Shirin Chehayed. fondatrice di «Bottega p’Artigiana» e direttore artistico de «La Fabbrica dell’Animazione»

Intervista a Shirin Chehayed
fondatrice di «Bottega p’Artigiana» e direttore artistico de «La Fabbrica dell’Animazione»
a cura di Mario Verger

Mario Verger: Shirin Chehayed, studiosa del cinema d’animazione, nata a Damasco, capitale della Siria, ma naturalizzata italiana, in Italia da quando avevi 5 anni. Come ti sei avvicinata al cinema d’animazione?

Shirin Chehayed: Nel 2004, all’Università Statale di Milano, avevo frequentato il corso di “Storia e critica del cinema d’animazione” con Giannalberto Bendazzi. Quel corso aveva offerto a noi studenti una visione d’insieme sulle origini e sull’evoluzione di questa forma d’arte, permettendoci di studiare e analizzare sia autori che opere eccezionali. Il corso mi piacque molto e sentii di consigliarlo ad altri studenti ancora indecisi su cosa inserire nel proprio piano di studi. In quegli anni il prof. Bendazzi mi aveva proposto di collaborare ad alcuni progetti che stava tentando di avviare. In quel periodo, oltre a frequentare i corsi universitari, lavoravo al Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo e nel locale Rolling Stone, quindi, anche se provavo interesse nel fare esperienza in questo settore, la collaborazione non ebbe seguito. Avendo operato con diversi linguaggi espressivi e non avendo intrapreso una carriera accademica, ed essendo inoltre una persona che tende ad apprendere maggiormente dal lavoro sul campo piuttosto che dallo studio sui libri, non mi considero una studiosa di cinema d’animazione nel senso stretto del termine.

 

Giannalberto Bendazzi / illustrazione di ilcanediPavlov

 

MV: Quando hai iniziato a lavorare su progetti dedicati al cinema d’animazione?

SC: Mi sono riavvicinata al cinema d’animazione nella primavera del 2015, quando con l’amica Andrijana Ruzic andai allo Studiocine Cavandoli per intervistare Sergio Cavandoli. In quell’occasione, Sergio mi regalò un biglietto di addio che il padre Osvaldo aveva impacchettato e nascosto nel proprio studio con l’intento di farglieli trovare affinché dopo la sua scomparsa li regalasse agli amici. Mi sentii molto onorata nel ricevere tale dono e lo lessi come un segno di riavvicinamento a un mondo che mi era sempre piaciuto e che sentivo parte di me. Un paio di mesi più tardi, sempre con Andrijana Ruzic, andai a trovare il nostro professore Giannalberto Bendazzi. Lo avevo perso di vista in quanto per diversi anni si era trasferito a Singapore per insegnare. Quando lo rividi, notai che era molto demoralizzato a causa delle notevoli difficoltà riscontrate oggi in Italia nell’operare in campo artistico e culturale. Dato che il cinema d’animazione è un linguaggio con un forte potenziale espressivo, decidemmo di unire le energie. Lo scopo era creare una rete di persone capaci di lavorare in cooperazione e con umiltà alla creazione di progetti e iniziative fondate su contenuti di qualità.

 

 

MV: L’iniziativa che con Bendazzi avete istituito a Milano e a Genova è stata il «Premio Itala». Come si è sviluppato il progetto?

SC: A seguito del nostro incontro, cominciammo a sentirci più spesso. Decidemmo d’impegnarci su un primo piccolo progetto utile a creare e rodare una squadra di lavoro e a mettere in moto una rete di collaborazioni. Chiesi a Bendazzi di presentarmi un concept. Lui propose l’idea di un premio con cui celebrare i migliori film della storia del cinema d’animazione italiano. In quel periodo su Genova stava nascendo l’Associazione Cartùn e quindi decidemmo di operare con le due associazioni sotto il cappello di La Fabbrica dell’Animazione. Per permettere a tutti gli artisti e intellettuali coinvolti di trovare uno spazio di espressione e per le esigenze di comunicazione e di promozione, alla fine l’iniziativa prese un corpo più consistente rispetto alle intenzioni iniziali. Dirigere e coordinare i lavori non fu semplice per me perché, nonostante la squadra di collaboratori fosse composta da molte persone, la comunicazione tramite il web e la burocrazia oggi necessaria per realizzare i progetti ha richiesto molte energie e attenzione. Dividemmo le premiazioni su Milano (lungometraggi e serie TV) e su Genova (cortometraggi e sigle). Come iniziativa collaterale creammo il ciclo di incontri “Passioni Animate” presso la Casa della Cultura di Milano. Ad esso abbinammo la produzione dell’omonimo saggio, curato da Raffaella Scrimitore, in cui sono stati raccolti interventi di giovani promesse della critica cinematografica italiana (Marco Bellano, Davide Giurlando, Giacomo Ravesi e Priscilla Mancini). Il riscontro da parte delle istituzioni che hanno patrocinato l’iniziativa fu notevole. Anche la Commissione Italiana per l’Unesco ci ha concesso il proprio patrocinio e l’Assessore alla Cultura del Comune di Milano Filippo Del Corno ha partecipato sia alla conferenza stampa che alla premiazione milanese all’Anteo spazioCinema. C’è stato un ottimo riscontro anche da parte dei partner che eravamo riusciti a coinvolgere strada facendo. Bruno Bozzetto e Osvaldo Cavandoli sono stati gli autori pluripremiati dalla qualificata giuria di addetti al settore riunita da Bendazzi. Autori di cui abbiamo deciso di continuare a promuovere le opere, in quanto molto amati sia da noi che dal pubblico.

MV: Recentemente sei stata la curatrice della celebrazione per il quarantennale di «Allegro non Troppo», il capolavoro animato di Bruno Bozzetto. Come è nata l’idea?

SC: L’idea era stata proposta da Sergio Pomati, che per via di questioni familiari non ha poi potuto proseguire la collaborazione. Nel novembre 2015 lui ed io siamo andati allo Studio Bozzetto dove abbiamo incontrato Pietro Pinetti, Bruno, Anita e Irene Bozzetto per la prima volta. Ho percepito subito che si trattava di persone “fuori dalla norma”: limpide e umane, che ragionano e lavorano guidate dal tipico buon senso degli artigiani. Durante il brainstorming, abbiamo proposto loro il progetto di una mostra focalizzata sulla storia della particolare carriera di artista/artigiano di Bruno e l’idea di festeggiare il quarantennale di Allegro non troppo. La possibilità di avviare una collaborazione mi era piaciuta molto, ma in quel periodo ero molto presa dai lavori su Premio Itala e, poco dopo il nostro primo incontro, la giuria di addetti al settore ha proclamato Allegro non troppo il miglior lungometraggio della storia del cinema d’animazione italiano. Si era creata perciò una sovrapposizione progettuale a livello di tempi e, in accordo con l’Anteo spazioCinema, abbiamo deciso di posticipare i festeggiamenti di Allegro non troppo all’autunno. Dopo la conclusione di Premio Itala ho ripreso in mano il progetto per il quarantennale di Allegro, in modo da riuscire a realizzarlo per l’autunno.

 

40° anniversario di Allegro non Troppo © Bruno Bozzetto

 

MV: Com’è andata la collaborazione con la famiglia Bozzetto?

SC: Nella prima fase ho collaborato principalmente con la Bruno Bozzetto Distribution, delle figlie Anita e Irene Bozzetto, così da raccogliere il materiale disponibile e decidere il taglio che si voleva dare alla mostra e al catalogo. Successivamente, con Bruno ci siamo confrontati sui materiali che mano a mano venivano elaborati. La famiglia Bozzetto conosce bene gli equilibri, i meccanismi e il valore del lavoro necessario a realizzare i progetti. Nonostante il periodo estivo e i diversi impegni di ciascuno, i loro tempi di risposta sono sempre stati molto rapidi e puntuali. Collaborare con loro è stato un vero piacere, perché su tutto ciò che è necessario per far procedere i lavori ci siamo sempre accordati con chiarezza e semplicità. Bruno mi ha fatto riscoprire che lavorare con entusiasmo è una qualità, cosa che mi ha trasmesso una fiducia che stavo smarrendo.

 

Bruno Bozzetto con la prof. Giuliana Nuvoli 40° anniversario di Allegro non Troppo © Bruno Bozzetto

 

MV: Come si evince dal catalogo, al progetto hanno collaborato molte persone. Chi sono quelle che ti hanno aiutato maggiormente?

SC: Le persone, che hanno creduto nel progetto sin dall’inizio e con cui ho lavorato a stretto contatto per riuscire a mandarlo in porto nei tempi prestabiliti, sono state Priscilla Mancini e Chiara Cereda. Entrambe hanno sempre lavorato con dedizione e professionalità.

 

Maurizio Nichetti – 40° anniversario di Allegro non Troppo

 

MV: Alla conferenza stampa hanno partecipato Bruno Bozzetto e Maurizio Nichetti, due importanti registi che hanno fatto la storia del cinema italiano. Cosa ti ha colpito di loro?

SC: Bruno l’avevo già incontrato diverse volte sia per Premio Itala che per i lavori di realizzazione del compleanno di Allegro. Di lui mi ha colpito molto la bontà e lo sguardo limpido e ironico con cui osserva il mondo e si pone nel suo rapportarsi agli altri. Ha un’energia incredibile che non può che trasmettere positività e freschezza. Ogni volta che lo incontro mi resta dentro una sensazione di speranza e di fiducia nell’essere umano. Maurizio Nichetti prima di allora non lo conoscevo. Qualche giorno prima della conferenza stampa gli ho telefonato per invitarlo a parteciparvi. Mi aveva passato il numero il regista Michel Fuzellier e, dato che in quei giorni ero sempre di corsa anche per via dell’inaugurazione de La Fabbrica dell’Animazione, quando l’ho chiamato (stavo camminando per strada) ho fatto subito una gaffe chiamandolo Michele. Lui mi ha risposto che non c’era nessun Michele e quindi pensando di aver sbagliato numero gli ho chiesto scusa e ho riagganciato. Pochi minuti dopo mi sono resa conto che avevo fatto confusione e imbarazzatissima gli ho ritelefonato temendo che si sarebbe potuto offendere. Invece è stato molto gentile e ha riso sopra alla mia svampitaggine. Di Maurizio durante la conferenza stampa mi ha fatto molta tenerezza il ricordo del lavoro fondato sull’entusiasmo e svolto “gomito a gomito” con i collaboratori del film. Mi ha dato l’impressione di essere una persona giocosa e autentica. Caratteristiche molto rare al giorno d’oggi.

 

Lo staff di Shirin Chehayed festeggia Bruno Bozzetto – 40° anniversario di Allegro non Troppo

 

MV: «Cavandoli, Bozzetto, Tonin: tre generazioni di animatori italiani», mostra inaugurata lo scorso 3 maggio al Museo Nazionale di Pristina, la capitale del Kosovo, e di cui sei la curatrice del Catalogo e della Mostra. Come è nato il collegamento con l’estero?

SC: Lo scorso inverno Piero Tonin, che stava dialogando con il noto illustratore kosovaro Nekra sulla possibilità di inaugurare a Pristina una mostra dedicata all’animazione italiana, mi ha chiesto se con La Fabbrica dell’Animazione avremmo potuto sostenere dall’Italia il lavoro della National Gallery of Kosovo per la cura di questa mostra. Dato che la precedente collaborazione con la Bruno Bozzetto Distribution si era rivelata fluida e piacevole e dato in quei mesi stavamo cominciando ad avviare la collaborazione con lo Studiocine Cavandoli e con l’agenzia Quipos per la mostra retrospettiva dedicata al decennale della scomparsa di Osvaldo Cavandoli, ho accettato di buon grado di seguire la cura del progetto. Lavorare con Arta Argani e con lo staff kosovaro è stato un grande piacere. Sono stati molto chiari e puntuali su tutto e, nonostante le difficoltà linguistiche, siamo riusciti ad accordarci e coordinarci con semplicità. All’inaugurazione hanno partecipato molte persone e c’è stato un forte interesse da parte dei media per l’animazione italiana.

 

Cavandoli, Bozzetto, Tonin: tre generazioni di animatori italiani – The National Gallery of Kosovo © Piero Tonin

Il catalogo Cavandoli, Bozzetto, Tonin: tre generazioni di animatori italiani – Galeria Kombëtare e Kosovës / The National Gallery of Kosovo © Curated by Shirin Chehayed

 

MV: La mostra in Kosovo ha previsto l’anteprima internazionale di «Osvaldo Cavandoli. Lo stile dell’essenziale» che il prossimo 30 settembre verrà inaugurata al Museo Ecologico MUMI presso l’ex fornace sui Navigli di Milano. Il «Festival Itala» che hai deciso di dedicare alla figura di Cavandoli, è patrocinato da Regione Lombardia, Città Metropolitana di Milano, Comune di Milano, Camera di Commercio di Milano, Rai Lombardia, AGIS lombarda e ASIFA. Secondo te quale impatto può dare il Festival sulla città di Milano?

SC: Penso che il Festival possa contribuire a segnare un pezzo di buona storia italiana e possa essere utile a rendere la città di Milano (in cui sono nati importanti studi di produzione e dove hanno operato grandi autori) un punto di riferimento per il cinema d’animazione. Rispetto a Premio Itala, che di fatto metteva in gara tra loro gli autori e le loro opere, Festival Itala è una manifestazione culturale che si pone come obiettivo di realizzare una politica cooperativa tra associazioni ed enti pubblici e privati in grado di riconoscere la genialità di un autore che, con l’essenzialità del tratto e lo spirito dell’umorismo, è riuscito a parlare al mondo intero. L’idea è di rendere omaggio a Osvaldo Cavandoli è concepita con iniziative dislocate in più punti della città e ricorrendo a diverse forme d’arte. Il 14 settembre abbiamo inaugurato a pochi passi dal Duomo di Milano una statua de La Linea, attualmente esposta al MUMI. Sono molto contenta che un ente come SIAE abbia deciso di sostenere il progetto con un proprio contributo.

 

 

La mostra Osvaldo Cavandoli. Lo stile dell’essenziale © Shirin Chehayed & Sergio Cavandoli

 

Da sinistra: Shirin Chehayed (direttore artistico Festival Itala), Coleta Goria Ravoni (direzione generale agenzia Quipos) e Sergio Cavandoli (figlio di Osvaldo Cavandoli)

 

Bruno Bozzetto presenta con Shirin Chehayed Osvaldo Cavandoli. Lo stile dell’essenziale a Palazzo Marino a Milano

 

MV: Com’è nata l’idea di Bottega p’Artigiana, di cui sei fondatrice e presidente? Il nome ha un significato particolare? Come è nato il progetto La Fabbrica dell’Animazione, il cui nome prende spunto da un saggio di una decina di anni fa dedicata a Bruno Bozzetto nell’industria culturale italiana, non a caso curato da Giannalberto Bendazzi e Raffaele De Berti, entrambi tuoi professori all’Università Statale di Milano? L’avete avviato circa un anno fa, come sta andando?

SC: Bottega p’Artigiana è nata nel 2013 dopo un periodo in cui avevo orbitato all’interno di diversi gruppi di attivismo economico e in cui avevo vissuto situazioni umane poco gradevoli. Una sera, dopo essere stata aggredita verbalmente sui social network, mi sono resa conto che quello non poteva essere il mio ambiente e che io dovevo tornare a operare con l’arte e la cultura insieme a persone tranquille, limpide e capaci. Il nome Bottega p’Aartigiana è nato da un’ispirazione notturna. Senza averci riflettuto troppo ho voluto trasmettere l’idea che, pur dovendo stare al passo coi tempi, è giusto far resistere un metodo di lavoro dal carattere artigianale dove si collabora con onestà e in modalità amichevole come nelle botteghe a conduzione famigliare. Pensavo che, per riuscire a operare al meglio all’ideazione e alla produzione di progetti e iniziative, sarebbe stata necessaria una sede di lavoro. Desideravo creare un centro dal carattere sperimentale ispirato all’esperienza del Tendone del Folklore dell’artista cilena Violeta Parra. Ritenevo che nel cuore di Milano, popolato prevalentemente da attività commerciali, mancasse un luogo accessibile anche alle fasce sociali più disagiate. Quando raccontavo il mio sogno di creare un piccolo centro socio-culturale vicino al Duomo, dove poter creare collaborazioni con altri enti culturali, le persone mi guardavano come se di colpo mi fossi ammattita o, nella migliore delle ipotesi, mi rispondevano con un gelido silenzio. L’idea de La Fabbrica dell’Animazione ha preso corpo nel 2015 quando mi hanno segnalato che il Comune aveva indetto un bando pubblico per l’assegnazione di spazi e tra quelli disponibili ce n’era uno in Via San Maurilio. Con alcune persone che mi hanno aiutata ho lavorato al bando determinata a vincerlo. Dato che in quel periodo avevo rincontrato Bendazzi e visto che l’operato di Bottega p’Artigiana era fondato sull’idea di lavoro, per essere coerenti rendendo omaggio ai miei professori e al metodo di lavoro di Bruno Bozzetto, ho deciso di battezzare il nostro spazio con questo nome. Il centro è attivo, ma non opera a pieno ritmo come vorrei. Nell’ultimo anno abbiamo incominciato a sviluppare alcune iniziative, ma siamo costantemente alla ricerca di quei finanziamenti necessari per farlo funzionare in maniera ottimale affinché sia possibile garantirne la sostenibilità organizzativa, e perciò anche quella economica.

 

La Fabbrica dell’Animazione. Bruno Bozzeto nell’industria culturale italiana a cura di Giannalberto Bendazzi e Raffaele De Berti

 

MV: Tu sei nata in Siria ma ti sei trasferita da bambina con la tua famiglia nella provincia modenese, dove, sin da adolescente, organizzavi eventi e feste a tema. Raccontaci…

SC: Mi sono trasferita in Italia nel 1982 all’età di cinque anni. Ho vissuto a Campogalliano per oltre quindici anni. Negli ambienti che frequentavo sin dalle scuole medie e superiori, dall’oratorio al centro sociale anarchico, creavo spesso feste a tema e concerti. La provincia modenese era un ambiente molto genuino sul piano umano e tutte le iniziative erano concepite con spirito di condivisione e per il piacere di stare insieme. Non c’era alcun tipo di budget. Ai tempi nessuno aveva i telefoni cellulari e internet non era diffuso, quindi bisognava ingegnarsi per riuscire a far sapere alle persone delle feste e il come arrivarci. Negli anni ‘90 ricordo che ha avuto molto successo l’idea di fare una “festa di fine estate in abito da sera”, iniziativa che per alcuni anni ho replicato. Diverse persone non possedevano completi da sera e quindi riesumavano gli abiti di matrimonio dei nonni. Era molto divertente vedere giovani, che abitualmente erano vestiti da punk, che durante quelle occasioni indossavano abiti da sera estremamente retrò. Una volta, non so come, avevo trovato una casa sperduta nella frazione di un paesino. Era accorsa talmente tanta gente che, pur essendo in aperta campagna, non c’era più spazio per parcheggiare le auto e per arrivare al casolare le ragazze avevano camminato sull’erba tutte “intacchettate”.

MV: Nel 1999 ti sei trasferita a Milano dove ti sei diplomata in Fotografia al CFP Riccardo Bauer dove insegna Roberta Valtorta. Dopo un’esperienza dei stage alla Magnum Photo di Parigi, nel 2002 ti sei iscritta all’Università Statale di Milano, frequentando il corso di laurea in Scienze dei Beni Culturali con indirizzo in Storia e conservazione dei beni teatrali, cinematografici e televisivi. Dal 2002 al 2007 hai collaborato col Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo e successivamente hai intrapreso diverse collaborazioni come assistente fotografa, art buyer e stylist. Raccontaci cosa ricordi delle esperienze che hai vissuto in quegli anni.

SC: Mi sono trasferita a Milano perché a un certo punto della mia vita volevo fare la fotografa. La Riccardo Bauer è una scuola professionale molto rinomata nell’ambiente della fotografia.La concezione della scuola si ispirava all’esperienza del Bauhaus. Ho imparato davvero tanto anche perché, rispetto all’Università (che mi ha comunque arricchita culturalmente), era impostata su un metodo in grado di dare immediato riscontro pratico alla teoria. L’esperienza alla Magnum Photo di Parigi fu entusiasmante. Ho vissuto qualche mese in una città meravigliosa in cui si respirava un forte fermento culturale e artistico. Ogni giorno mettevo in ordine le fotografie che le agenzie di stampa riconsegnavano alla Magnum. Erano le foto dei migliori reporter del mondo. Al pomeriggio potevo passare qualche ora a sfogliare i libri e a guardare l’interno delle scatole in cui erano archiviate le fotografie di importanti avvenimenti storici. In agenzia passavano spesso noti fotografi come ad esempio Abbas, Martin Parr e Josef Koudelka, persone che mi colpirono per l’umiltà e la predisposizione a dedicare tempo per chiacchierare con noi giovani stagisti. Il corso di studi che avevo intrapreso all’Università mi piacque molto. Mi ha permesso di conoscere più a fondo i linguaggi espressivi e ho imparato ad analizzare le opere d’arte da diversi punti di vista. Studiare gli autori mi faceva venire idee su progetti che avrei voluto realizzare e, dovendo lavorare per mantenermi gli studi, a seguito di un incidente stradale avvenuto nel 2005 sono entrata in crisi. Non riuscivo più a sostenere quei ritmi di lavoro e di studio. Inoltre, pensavo che forse il diploma di laurea non sarebbe stato così utile a svolgere il lavoro che desideravo. Quindi, nonostante tutti mi incoraggiassero a laurearmi, decisi comunque di abbandonare gli studi. Mentre frequentavo l’Università avevo già cominciato a lavorare al Museo di Fotografia Contemporanea, che in quegli anni stavano fondando Roberta Valtorta e Gabriella Guerci. È stata un’esperienza importante perché, pur essendo allora molto giovane e presa da tanti interessi che si discostavano dalla fotografia, ho avuto la fortuna di assistere alla nascita di un’istituzione culturale. Questa esperienza mi ha permesso di capire l’organizzazione interna necessaria a sviluppare progetti culturali fondati sul lavoro di squadra. Dopo qualche anno sentivo la necessità di cambiare ambiente e di avere più tempo per riflettere in modo da disporre della sufficiente tranquillità per ideare e creare miei progetti. Pur arricchendomi professionalmente, il lavoro nel settore della moda, del design e del marketing non mi lasciava molto tempo libero per dedicarmi ad altro. In alcuni momenti ho preferito svolgere mansioni umili che, sebbene fossero più gravose dal punto di vista fisico, mi permettevano di mantenere la mente più libera.

 

Shirin Chehayed

 

MV: Per il futuro quali progetti hai riguardo al cinema d’animazione?

SC: Il settore arte e cultura è stato penalizzato parecchio dalla crisi economica, ma la speranza è l’ultima a morire e io continuo a sperare di poter incontrare qualcuno di lungimirante che investa nella rinascita delle arti e dei mestieri, perché questo a mio parere, oltre a creare maggiore bellezza e funzionalità, aiuterebbe a creare maggiore benessere e a rendere la società più umana.
Attualmente sono molto impegnata con Festival Itala e non ho in mente progetti legati al cinema d’animazione. Se trovassi davvero degli investitori che mi permettessero di raccontare liberamente ciò che vedo e sento, mi piacerebbe molto fare un film e mi piacerebbe continuare a lavorare nel settore culturale per rendere Milano il punto di riferimento dell’animazione italiana.

Mario Verger



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