“La tegola e il caso” di Rezza e Mastrella

Donne en ma bouche parole vraie et estable et fay de moy langue caulte.
cit. in Lacan, Scritti, I, 240

In un’Italia imputridita – quotidiano susseguirsi di palude in palude: interni comuni, talora posticci: per addobbi, pavimenti fregiati, colonne scolpite nell’alveo del tardo kitsch o mobili d’ingresso pomposamente demodé; orrendamente (très!) petit-bourgeois – il figuro agente di guarigione, di formazione, di sondaggio chiama risposta alla parola della mis en scène. Di quale guarigione si parli non è dato sapere: non era guarigione quella di Karl Valentin, allorché – con I predoni di Monaco – “con un piccolo gruppo recitava un testo straordinario, una fenomenale burlaccia.” (C’informa Hermann Hesse) – “Scopo dello spettacolo era offrire a Valentin l’occasione per andare avanti e indietro come una sentinella, con una lunga sciabola, facendo e dicendo cose comiche. Talvolta sapeva anche essere triste fino alle lacrime.” E se – così Lacan – ogni parola chiama risposta, ogni puntata de La tegola e il caso di Rezza-Mastrella chiama risposta: a ciò che del magistero valentiniano di Rezza (le physique du rôle con il viso che pare un “venerdì santo”: era in Blasetti, era De Filippo, era Tempi nostri: Don Corradino) viene offerto al populace (ma lo si legga con grottesco affetto). Rezza nelle case del populace, Rezza populace (à la Valentin, à la Rezza) della ferale pseudo-complicità del linguaggio. Dal quale siamo parlati: sia questo il conteggiar pecorelle, attribuir bruttezza alla macredine (quante volte è capitato di subirlo, anche a noi); designar confini, sbrodolare strazi di trascorsi matrimoni, vagheggiare cadute prossime di balconi, sproloquiar di botticelliane Veneri in compagnia del cagnetto, ciancicare – in ultimo, ma forse in primis – con il proprio imbarazzo. “Sei quello che lavora con gli stracci. Io non t’ho mai capito” – è lo sbrindellato balbettare italico (frusto, attualissimo) dell’homo Non cogitans, ergo digitans. Un “tu” al quale – istante di brutalità romanesca, parola appioppata fra capo e collo – pare ormai che quest’italico populace ebete, rimbambito, enfio per le botte subite da anni di massmediatico rammollimento, si sia consegnato. Amoreggiando lubrico con l’analfabetismo di ritorno. Il “lei” rezziano appare come il rammendo degli stracci sfilacciati della conversazione in assurdo cortocircuito: per un istante – quasi impercettibile – Rezza sembra colpito da quegli “stracci”. Ma conferma – impavido – e prosegue. Con energia senz’altra finalità se non quella dell’energia, del malcontento represso, di un’agitazione che tronca bruscamente con “arrivederci” e strette di mano irruzioni linguistiche che sono la summa – d’anni – del sodalizio “Rezza-Mastrella”. Abbiamo letto – su questa stessa rivista – “d’insulto all’intelligenza”, riferito a La tegola e il caso. La teoria ci ricorda la triade: frustrazione, aggressività, regressione. È una spiegazione dall’aspetto così comprensibile che potrebbe esimerci dal comprendere. La Rai – con La tegola e il caso – ha compiuto un atto sommo, riscattandosi dal grande mar del raccapriccio in cui veleggia, quasi il naufrago sollevasse la testa prima d’inabissarsi e sparire. •

Dario Agazzi

 

 

Glossa bibliografica:

  • Enciclopedia del Teatro del ‘900, a cura d’Antonio Attisani, Milano, Feltrinelli, 1980; Karl Valentin (di Chiara Valentini): ad vocem
  • Lacan, Jaques: Scritti I-II, a cura di Giacomo B. Contri, Torino, Einaudi, 1974/2002
  • Rezza, Antonio: Non cogito ergo digito (romanzo a più pretese), Milano, Bompiani, 1998
  • Sull’analfabetismo di ritorno, cfr. l’articolo di Diego Colombo su «L’Eco di Bergamo» del 12 gennaio 2017
  • Il termine inglese “populace” è traducibile come “volgo”, ma è di difficile resa, trattandosi d’una parola formale
  • Il film Tempi nostri – Zibaldone n. 2 del 1954 – séguito d’Altri tempi – Zibaldone n. 1 – d’Alessandro Blasetti include molti episodi, fra i quali Don Corradino, con Vittorio De Sica e Eduardo De Filippo: si trova integrale su YouTube

 

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