Rossellini metafisico. Una ri-lettura di “Era notte a Roma”

“La realtà si dispone intorno a noi e comincia ad esistere per noi, per ognuno di noi in una dimensione originaria che è anteriore a quella della conoscenza, ma che anzi la sostiene e sulla quale questa si costruisce, la dimensione del vissuto.”
M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione

“L’homme vit e se meut dance qu’il voit; mais il ne voit que ce qu’il songe.”
P. Valèry

Cosa ci fa una statua equestre incastrata per metà nel pavimento di una soffitta abbandonata tra angeli barocchi e manichini di legno insieme a un gruppo di prigionieri di guerra in fuga? Perché in un film di Rossellini insistono nella medesima inquadratura busti di antichi romani insieme all’operaio comunista Renato e alla popolana Esperia, e allo stesso tempo è possibile notare bombe a mano spaesate come uova su un tavolo, accanto a severe vestigia classiche che paiono interrogarne la presenza come in un quadro metafisico?

 

 

 

Nel 1960 Rossellini torna a raccontare la ‘storia’ di Roma città aperta, con Era notte a Roma, si trattava di una produzione internazionale:

Esperia vive di borsa nera, per caso si ritrova ad ospitare e nascondere un americano, un inglese e un russo in fuga da un campo di concentramento a casa sua, il nascondiglio è la soffitta dei principi Antoniani a cui si accede da un varco praticato su una parete e nascosto dentro l’armadio nella sua camera da letto. Questi passaggi segreti che trovano vie tra i tetti di Roma come attraverso scantinati, sotterranei, consentono ai protagonisti di aggirarsi nel ventre storico e sociale della città eterna, mettono in comunicazione differenti strati sociali: popolo, aristocrazia, chiese, conventi, rifugi di partigiani sotto umili officine da cui si guarda alle piazze deserte di Roma con una paura ed una sospensione di silenziosa minaccia che tutto impregna.

A differenza della Roma distrutta dai bombardamenti del primo film, questa che osserviamo è invece quella eterna che ha alzato tanto il capo sulle altre come i cipressi sui flessuosi viburni (ce lo ricorda il prigioniero inglese che cita in latino i famosi versi di Virgilio dalla finestra della soffitta ammirando estatico la città).

 

 

Al di là delle facili schematizzazioni oppositive di classe – reminiscenza ideologica forse non più così stringente – quello che sembra suggerire ed interessare veramente Rossellini è piuttosto un tutto storico e dunque sovrastorico, una dimensione quasi astratta dell’Italia/Esperia dentro un fatto storicamente determinato ma riassorbito in una entità misteriosa che tende a sfumare i margini di una vera distinzione spazio-tempo o di classe.

Infatti il valore della solidarietà, il coraggio della dedizione agli altri come condizioni primarie che tentano di metter mano come possono alle contraddizioni della Storia e dei rapporti umani, oltre questi schemi che separano politicamente combattenti comunisti e aristocratici, sacerdoti, Chiesa, e persino uomini di altre lingue e nazioni, sorvolano la vicenda ambientata durante la vigilia di Natale del ’43 e paiono per questo incongrue alla critica di sinistra che trova il film non allineato al conflitto di classe così come lo pretenderebbe dal maestro del neorealismo.

Il ritorno ai temi della guerra e della resistenza si giustifica probabilmente perché sono i produttori, è il mercato a volerlo, riconoscendo quel regista solo così: cesellato nella celluloide del neorealismo, consegnato una volta per tutte a una poetica di un mondo che è quello narrato dal cinema resistenziale. Ma lui non è più quello, il suo sguardo si è smarrito nel frattempo dietro a quello della Bergman in Stromboli e nel Viaggio in Italia. Da quel momento il suo è il cosiddetto cinema della crisi, in quegli anni travagliati la nostra Italia/Esperia si avvia a divenire una società neocapitalistica, Rossellini si è già rifugiato nella tortuosità della psiche, nella solitudine di un’isola vulcanica, attonito spettatore di una Napoli archeologica. Non è ciò che la critica o il pubblico si aspettano da lui. Questa incomprensione di fondo è intuibile dal fatto che solo cinque anni prima di Era notte a Roma, André Bazin sente il bisogno di prenderne le difese in un articolo su Cinema Nuovo, rivista su cui una certa critica italiana liquidava gli ultimi suoi lavori come una involuzione del neorealismo: Difesa di Rossellini, dove scrive:

“Rossellini è stato veramente ed è tutt’ora un neorealista?[…] se la parola ha un senso […] mi pare che il neorealismo si opponga anzitutto essenzialmente, non solo ai sistemi drammatici tradizionali, ma ancora ai diversi aspetti conosciuti del realismo – sia in letteratura che in cinema – […] presuppone una attitudine mentale, è sempre la realtà vista da un artista, rifratta dalla sua coscienza ma da tutta la sua coscienza e non dalla sua ragione o dalla sua passione, dai suoi ideali… Con lui il neorealismo ritrova naturalmente lo stile e le risorse dell’astrazione.”

Per il fondatore dei Cahiers du cinéma, quello di Rossellini non è una involuzione, bensì un portare alle estreme conseguenze quel neorealismo che Roma città aperta aveva inaugurato, l’esito di un percorso, di un viaggio dentro la dimensione morale e poetica che lo aveva spinto alla rappresentazione di quei drammatici momenti storici mentre stavano accadendo e che ora torna a guardare con occhi nuovi.

 

 

Come De Chirico colloca forme senza sostanza vitale in uno spazio vuoto e inabitabile, in un tempo immobile, così gli oggetti, i manichini del rifugio offerto da Esperia collidono con il dipanarsi di una tragedia storica e la rendono ambigua, la interrogano attraverso le loro mute presenze, estraniando le figure dei protagonisti immersi nei fatti della realtà, richiamandoli all’enigma delle superiori ambiguità di ogni tempo e storia.

 

 

Naturalmente con ciò non si intende identificare Rossellini con quella alterità metafisica e metastorica radicale propria della ricerca di Valori plastici, bensì semplicemente richiamare l’attenzione su un paradosso, ovvero osservare come un regista, verrebbe da dire ‘il’ regista del realismo per eccellenza, alle prese con la sua ossessione realistica giunga a smarcarsi dall’oggettività storica proprio mentre la ri-mette in scena per l’ennesima volta e diriga il nostro sguardo su di essa come sopra una sorta di prisma che disambienta, che ricostruisce per noi e su di noi il medesimo evento ed infine ci costringe a considerare questi fatti alla luce di bagliori inquietanti nella notte di questa antinomia. •

Maurizio Giuseppucci

 

 

ERA NOTTE A ROMA (1960)
Regia: Roberto Rossellini • Soggetto: Sergio Amidei • Sceneggiatura: Sergio Amidei, Diego Fabbri, Brunello Rondi, Renzo Rossellini • Interpreti: Leo Genn (maggiore Michael Pemberfon), Giovanna Ralli (Esperia Belli), Serghej Bondarciuk [Sergej Bondartchaux] (Feodor Natsukov), Hannes Messemer (barone von Kleist), Peter Baldwin (Pefer Bradley), Laura Betti (Teresa), Rosalba Neri (Erika Almagià), Giulio Calì (autista camioncino), George Petrarca (Tarcisio, spia), Carlo Reali (Augusto Antoniani), Leopoldo Valentini (Alfredo, portinaio), Roberto Palombi (Giacinto Renzi), Marcella Rovena (domestica in casa Antoniani), Sergio Fantoni (don Valerio), Enrico Maria Salerno (dottor Costanzi), Paolo Stoppa (principe Alessandro Antoniani), Renato Salvatori (Renato Balducci), Francesco Casaretti (Dante), Luciano Bonanni (vigile urbano) • Fotografia: Carlo Carlini • Musica: Renzo Rossellini • Costumi: Elio Costanzi • Scene: Flavio Mogherini • Montaggio: Roberto Cinquini • Suono: Enzo Magli, Oscar Di Santo • Produzione: International Golden Star of Italy, Dismage, Paris • Distribuzione: Cineriz • Censura: 32106 del 17-06-1960



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