da Rapporto Confidenziale 16 (lug-ago 2009) e Digimag46 (lug-ago 2009)
I documentari sono spesso noiosi quando cercano di farti mangiare qualcosa che insistentemente definiscono essi stessi come “buona” e la cosa – oltretutto – mi irrita. Vivendo in Italia non posso sopportare oltre lo spirito da piazzista d’un qualche tele imbonitore. Non sono certo però che RiP: A remix manifesto (USA/2008) rientri appieno in questa tipologia, forse la cosa è stemperata dal fatto che già dal titolo dichiara la propria vena retorica e probabilmente anche dal fatto che ne condivido la tesi di fondo. Un manifesto, da Marx ed Engels in poi, è un testo a tesi volto a definire una propria Weltanschauung che si pone quale fine la conquista alla propria causa del fruitore ma soprattutto la creazione d’un fronte comune che condivida riferimenti culturali e rivendicazioni politiche. Parafrasando il celebre incipit del manifesto del partito comunista si potrebbe dire, a proposito del documentario diretto da Brett Gaylor: «Uno spettro s’aggira per la rete».
Nel complesso il documentario del canadese Gaylor è un istruttivo compendio di alcune delle principali problematiche ed opportunità che la cultura del copyleft ha sollevato dalla sua comparsa, un’indagine sul cambio di paradigma dei prodotti culturali che la maggior parte delle Istituzioni politiche e giuridiche faticano ancora a voler assimilare ma che nel quotidiano di milioni di individui in giro per il mondo sono divenuti pratica comune e strumento assolutamente vitale d’espressione.
Il titolo è decisamente esplicativo, A remix manifesto, ciò significa che il discorso per immagini del filmmaker verte attorno al concetto di remix culturale illustrando le restrizioni che esso incontra nei sistemi legislativi (americani e canadesi) e l’emergere di una nuova generazione di individui che dalla passività tipica dei media tradizionali si è oggi evoluta alla condizione attiva della produzione di contenenti (dicono che si dica prosumer). Gaylor delinea una cultura, quella del public domain, contrapposta ad un’altra, quella del copyright.
Le prime parole, pronunciate fuori campo dal regista, pongono in prospettiva l’intero discorso: «Questo film parla di una guerra, una guerra sulle idee. Il terreno di questa battaglia è internet…», egli sceglie la strada della drammatizzazione optando per la metafora bellica assecondata in fase di montaggio dal frequente utilizzo dello slow motion, con il risultato di enfatizzare e sovraccaricare le proprie affermazioni probabilmente oltre il necessario.
«Uno spettro si aggira per l’Europa – lo spettro del comunismo. [..] È ormai tempo che i comunisti espongano apertamente in faccia a tutto il mondo il loro modo di vedere, i loro fini, le loro tendenze, e che contrappongano alla favola dello spettro del comunismo un manifesto del partito stesso.»
Accosto Marx ed Engels al documentario di Gaylor per chiarire quale sia la funzione primaria di un manifesto: la definizione d’una identità. Sostituendo nel celebre incipit “pubblico dominio” a “comunismo” ed “internet” ad “Europa”, è possibile intravedere la voglia da parte del regista di costruire un testo complesso, ma chiaro, in grado di definire un’identità condivisa, nei fatti, ma cancellata e criminalizzata dai sistemi legislativi. Dirà Lowrence Lessig: «Porre la questione del copyright come nei termini attuali produce una generazione di criminali» e verrebbe voglia di allargare il discorso ad ogni forma di proibizionismo (che la storia non manca mai di sconfiggere).
Questo secondo Gaylor il manifesto del remix:
1. La cultura si basa sempre sul passato
2. Il passato condiziona il futuro
3. Il nostro futuro è sempre meno libero
4. Per costruire società libere è necessario limitare il controllo del passato (cioè ampliare la libera circolazione dei saperi; NdR)
L’artificio retorico utilizzato per articolare la narrazione degli assunti del manifesto è semplice e negli esiti piuttosto interessante: parlare d’un caso specifico (Girl Talk, dj e produttore paladino della pratica del mushup: taglia e cuci di campioni musicali pre-esistenti) per allargare il discorso rendendolo universale (la libera circolazione dei saperi è strumento di cultura e la cultura rende liberi).
Ma torniamo indietro un attimo. Riavvolgo il nastro, cutto e premo record.
RiP: A remix manifesto è un documentario realizzato su più livelli. Anzitutto è il materiale raccolto per sei anni da Brett Gaylor, poi è un documentario della durata di ottanta minuti passato in alcuni dei più sfiziosi festival dedicati all’immagine in movimento: Tribecca, International Doc Festival di Amsterdam, Club Transmediale, AFI Dallas, Dokfest di Monaco, Stoccolma, Barcellona e LPM di Roma, ma è anche una serie di video visibili e scaricabili online, una piattaforma (resa disponibile da uno degli altri progetti che bollono nella testa dell’attivista Gaylor: opensourcecinema.org) per la condivisione di materiale audio video con l’intento della partecipazione dell’audience alla costruzione d’una nuova extended version che nelle intenzioni vedrà la luce nel 2010. Il tutto ovviamente pubblicato con licenza Creative Commons, ci mancherebbe altro.
Riprendo l’impalpabile filo per tessere la trama del documentario.
Girl Talk è un caso paradigmatico, un bug del sistema che si è materializzato nel corpo e nella mente di un giovane ingegnere biomedico di Pittsburgh (Gregg Michael Gillis) che della pratica del mushup ha saputo cogliere l’essenza rivoluzionaria dei suoi precursori riuscendo a trasformarla però in caso mediatico ed emblematico, tanto che al Congresso degli Stati Uniti è stata posta la questione della definizione giuridica del suo operato. Questo dunque il punto dal quale Gaylor parte per illustrare le quattro tesi del manifesto della cultura del remix da osservare in ambito musicale, poi cinematografico ed infine dal punto di vista più generale della cultura. Le personalità intervistate sono di assoluto rilievo e portano al documentario riflessioni interessanti ed illuminate a partire proprio da uno dei padri della condivisione del sapere contemporaneo: Lowrence Lessig; ci sono pure il media guru Cory Doctorow, l’ex ministro della cultura brasiliano – nonché leggenda della musica – Gilberto Gil, Mark “Negativeland” Hosler ovvero uno dei precursori del campionamento di immagini in movimento, fra i primi a sfidare “a volto scoperto” la logica del copyright, il leggendario cartoonist indipendente Dan O’Neill che nel 1971 attaccò l’impero Disney dando alle stampe la serie a fumetti Air Pirates Funnies e molti altri ancora.
RiP appartiene ad un genere emergente del documentario contemporaneo che ad oggi si compone d’un ristretto numero di ottimi lavori ma che è in rapida e costante ascesa numerica. Un genere che ha per soggetto l’entrata in crisi del concetto di proprietà intellettuale ed il rigido relazionarsi ad esso da parte delle Istituzioni, un conflitto che dal ‘71 del Mickey Mouse tarocco, passando per la guerra legale legata all’interpretazione costituzionale di Napster non si è ancora mostrato in grado di saper giungere ad una sintesi soddisfacente (soprattutto per i prosumer), un conflitto che è negato da chi detiene i diritti di proprietà e nega la portata culturale della rivoluzione che la rete ha reso disponibile a milioni di individui di ogni parte del mondo. Campionamento, remix, public domain, copyleft e cretive commons, questi i temi del genere evidenziato, come a dire che il documentario è un surgenere cinematografico che gode di ottima salute ed è in grado di affrontare ogni anfratto delle nostre società. Titoli come Good Copy Bad Copy – a documentary about the current state of copyright and culture di Andreas Johnsen, Ralf Christensen, Henrik Moltke (Danimarca/2007) – che con il documentario di Gaylor ha molto di più in comune che non la sola tematica, Steal this film e Steal this film 2 diretti dal collettivo The league of the noble peer (rispettivamente nel 2006 e nel 2007) danno conto d’una battaglia di portata storica in pieno corso di svolgimento. Tutti questi documentari sono liberamente scaricabili e visibili in rete, ci mancherebbe altro.
Alessio Galbiati
RiP: A remix manifesto (Canada/2008)
Written and Directed by BRETT GAYLOR
Executive Producers DANIEL CROSS, MILA AUNG-THWIN, RAVIDA DIN (NFB), SALLY BOCHNER (NFB)
Produced by MILA AUNG-THWIN, KAT BAULU (NFB), GERMAINE YING GEE WONG (NFB)
Cinematography & Associate Director MARK ELLAM
Editing TONY ASIMAKOPOULOS, BRETT GAYLOR
Original Music OLIVIER ALARY
Produced by EYESTEELFILM in coproduction with the NATIONAL FILM BOARD
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