Il presente articolo è stato pubblicato su Rapporto Confidenziale numero24 (aprile 2010), pp.24-26 all’interno dello speciale SEIZE THE TIME | UN FILM SULLA RIVOLUZIONE
SEIZE THE TIME | Rassegna stampa 1970
Gli articoli che compongono questa breve rassegna stampa sono stati gentilmente concessi da ACAB – Associzione culturale Antonello Branca. Molti altri articoli sono consultabili sul sito dell’ACAB, all’interno della pagina dedicata a Seize The Time.
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Ciò che non si vede al festival
Venzia. No alle pantere
di Al. Ab.
[Giornale non identificato, 1970]
Scandaloso comportamento degli organizzatori riguardo «Seize the time» di Antonello Branca – iI film sul «Blak Panter», rifiutato da Laura per il suo contenuto politico.
La Mostra veneziana è cominciata e già apre una serie di interrogativi: il come, perché e quando delle scelte, dei film, dei registi. Come una mostra viene organizzata, come vengono scelti i film, come vengono aperti i canali dell’informazione è molto più importante spesso della manifestazione stessa.
Certo è che, mentre in Italia e nel mondo si parla di ciò che si vede a Venezia, sarebbe più giusto parlare di ciò che non si vede, di ciò che non ha modo di raggiungere un «centro di potere», uno «strumento di persuasione», un «meccanismo del sistema cinematografico» quale la Mostra.
Gli ostacoli sono molti: limiti politici, limiti economici, «pregiudizi» estetici, conservatorismo della cultura cinematografica, protezionismo nazionalistico, dominio commerciale eccetera. Sono problemi che non riguardano soltanto Venezia o l’Italia, ma tutta l’organizzazione del mercato cinematografico, di cui un Festival è un po’ come un ufficio pubblicità.
Per quanto invece riguarda la manifestazione attuale, ironicamente apertasi sul nome «eroico» di Socrate, possiamo dire che le domande da fare a Ernesto G. Laura sui criteri di selezione sarebbero davvero molte e potrebbero porre in discussione tutto. Al momento il caso che ci pare più scandaloso è il comportamento ambiguo ed il sostanziale rifiuto da parte degli organizzatori veneziani di un film come Seize the time del giovane Antonello Branca.
Abbiamo visto il film: con un linguaggio sapiente, ma anche piano, persino didattico nella sua lucida informazione, parla dei «negri» d’America superando i limiti umanitari e progressisti della tematica antirazzista, passando attraverso l’impegno politico delle «pantere nere», giungendo ad un’analisi di classe dell’imperialismo americano, della società industriale fascista, della repressione sociale, della violenza continua e permanente, che le necessità produttive della fabbrica impongono alla totalità dei cittadini. […] Giunge al momento giusto tra il pubblico italiano, ormai sensibilizzato alla problematica «americana» con film per diversi aspetti stimolanti come Easy Rider e Zabriskie Point. Ma crediamo possa dire qualche cosa di più «immediato», se non altro per l’uso che fa dell’immagine documentaria ed il vasto materiale informativo di cui dispone.
Bene, questo film è stato visionato, ma in ultima istanza non accettato da Venezia. Laura, a quanto ci dice Antonello Branca, avrebbe voluto che risultasse di produzione americana, oppure relegarlo in un sezione informativa. Per gli autori del film, d’altro canto, se esisteva l’interesse di proiettare questo racconto-reportage politico ad una mostra di questo genere, era per utilizzare un canale di informazione, ormai sperimentato, a vantaggio di un discorso ancora da diffondere, e Laura, invece, lascia aperti soltanto i sottocanali informativi della sua manifestazione per i film, che danno troppo fastidio, o che non sono condivisi in nome della «vecchia» estetica, tanto vale rifiutare questo compromesso.
C’è un altro fatto di estrema gravita, ed è Branca a farcelo notare, come già qualche giorno addietro Rosi in una sua intervista: Venezia, quest’anno, è sotto il dominio della televisione. È la televisione infatti che produce gran parte delle opere italiane presenti a Venezia.
Riteniamo, dunque, che esista uno stretto rapporto logico e politico-istituzionale, se non «storico», tra l’assenza (non c’è neppure bisogno di insistere sul «rifiuto») di film come quello di Branca e il dominio economico della televisione. Sappiamo bene che i programmatori televisivi concedono grandi margini di autonomia alle sperimentazioni linguistiche dei giovani e vecchi registi, ma sappiamo anche che questi stessi pianificatori dell’immagine sociale praticano quotidianamente censure politiche e ideologiche sull’informazione. I telegiornali sono la perenne dimostrazione di tutto questo. E dunque l’assenza a Venezia dì opere di informazione politica firmate da italiani e il passaggio obbligato dell’ «intelligenza cinematografica» dentro il meccanismo televisivo ci preoccupano.
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Anche Gulliver ha detto no
di Autore anonimo
[Giornale non identificato, 1970]
ROMA. La fiera del cinema di Venezia attira irresistibilmente equivoci e malintesi, è una vecchia tradizione, ma questa volta sembra voglia superare se stessa. I giornalisti e i critici, «a causa della mancata riforma della biennale e della mostra cinematografica», dichiarano di andare a Venezia «soltanto per dovere d’informazione» (uno strano modo di protesta, all’italiana, perché a Venezia o ci si va o non ci si va); alcuni registi, tra cui Carlo Tuzii e Antonello Branca, si rifiutano di andarci; altri ancora, come Trezzi, D’Acampo e Dacia Maraini, fanno pressione per andarci.
Un altro gruppo, infine (Bernardo Bertolucci, Federico Fellini e Renzo e Roberto Rossellini) a Venezia ci vanno, ma col vagone-letto della televisione. Il bilancio non è tra i più incoraggianti.
In questa situazione d’incertezza quelli che hanno dimostrato più fermezza, non c’è dubbio, sono Tuzii e Branca, due ex registi televisivi, passati al cinema un paio d’anni fa. Autori di servizi e filmetti piuttosto impegnati (del primo si ricordano ottimi documentari come “II guaritore” e “Venezia muore”; del secondo i servizi giornalistici sul Vajont e le inchieste in America e in Italia). I due avevano preparato per la mostra “Ciao Gulliver” e “Seize the time”. Dopo aver sottoposto i loro film alla commissione di selezione di Venezia e al direttore Ernesto Guido Laura, sia Tuzii che Branca si sono trovati impigliati in un ingranaggio di contraddizioni tipiche di questo nostro tempo di grandi confusioni (a Branca fu perfino chiesto di presentare il suo film a patto che apparisse di nazionalità americana), finché la settimana scorsa hanno dovuto decidere di rifiutare le loro opere ad una rassegna così poco promettente.
La vera ragione che ha tenuto lontani da Venezia i due registi non è difficile da scoprire: “Ciao Gulliver” è la storia di un regista che lotta contro il potere della televisione. Gulliver è la libertà e la fantasia, la TV è il potere. “Seize the time” invece è una radiografia delle “pantere nere”. Per una mostra che appare dedicata alla televisione (non a caso lo stesso direttore Laura proviene dalla Rai), si tratta di due film troppo fastidiosi. Queste grandi ed ambigue manovre permettono invece ad un regista come Bertolucci (per non dire di Fellini), che fino all’altro ieri si era sempre rifiutato clamorosamente di lavorare in televisione, di fare il suo ingresso trionfale alla mostra rilasciando dichiarazioni che parlano “della Rai come l’unico mezzo che consenta ai registi di lavorare in piena libertà”. Mentre ex registi televisivi di sicuro talento, costretti da un paio d’anni, per mancanza di ossigeno, a tagliare i ponti con la Rai, oggi, con la crisi del cinema, si trovano ad affrontare battaglie molto difficili.
Di “Ciao Gulliver”, non possiamo raccontare i particolari perché ancora non siamo riusciti a vederlo, “Seize the time” invece l’abbiamo visto ed è una storia delle black panthers, vista da un occhio attento e coraggioso. Per fare questo film Antonello Branca è partito due anni fa per gli Stati Uniti con l’amico Raffaele De Luca, suo aiuto, fonico e autore delle musiche. Contrariamente a tutti gli altri registi, Branca e De Luca hanno lavorato sulla loro pelle, trasferendosi praticamente quasi a loro spese negli Stati Uniti per “imparare” l’America, cercare incontri, penetrare nel mondo dei giovani neri e documentarsi in maniera inoppugnabile.
“Seize the time” è centrato sull’odissea di un giovane nero che cerca lavoro, finisce nell’ufficio di un industriale che lo sottopone ad un martellante terzo grado dopo avergli stretto i polsi nei morsetti dei cavi della macchina della verità, e finisce per camminare nelle strade di New York con la camicia di forza dei matti. Narrare un film come questo in due parole significa snaturarlo: “Seize the time” infatti più che una storia è un documento impressionante girato dietro le quinte di una certa America di oggi, quella della violenza, dell’odio, del fanatismo e della miseria. Viene da domandarsi cosa ha fatto Antonioni un anno in America se ha visto soltanto ragazzi con i capelli lunghi che si rotolano a coppie sulla sabbia.
Come siano riusciti Branca e De Luca a ottenere questa “presa diretta” (si vedono cariche di polizia, ma si assiste anche a sedute di giovani neri di grande effetto e a lezioni di balistica che angosciano), questa rarissima, esclusiva documentazione, è difficile saperlo. Evidentemente, i due anni di paziente, scrupoloso, coraggioso “pedinamento” ha loro permesso di ottenere la fiducia delle pantere nere ed essere portati nei punti nevralgici della lotta giovanile nera. Dice Branca, «non ho voluto fare un film di qualità, ma di denuncia». E questa denuncia è illustrata da immagini raggelati, di grande effetto e di grande verità. La guerra e la violenza, dice il film di Branca, per i giovani neri d’America è ormai l’unica arma di difesa. O ci si arma, si uccide, si odia o c’è la sconfitta. «È inutile nasconderlo», dice Branca, «il nero si sta armando, si prepara a colpire il separatista e chi difende la sua mentalità “democratica”. Perché ha bisogno di spazio e perché ha bisogno di vivere. Ne ha tanto bisogno, che il protagonista porta la sua bambina al museo dei mostri della democrazia per insegnarle chi e come deve odiare, e, nel suggestivo finale del film, allena il figlio di quattro anni a colpire l’avversario con i pugni, i calci e il fucile».
Ma cosa farà Branca di “Seize the time” se nel suo paese gli impediscono di farlo vedere persino ai soliti, stanchi habitués della mostra di Venezia?
Che cosa è l’America per le “pantere nere”
Due film dichiaratamente politici: «Seize the time» di Antonello Branca e «Partizan Zenshi» del giapponese Tsuchimoto
di Francesco Calderone
[L’Avanti, 15 settembre 1970]
PESARO — Viviamo in un’epoca di transizione fra un vecchio mondo e uno «nuovo» che si affaccia faticosamente alla ribalta della storia e della coscienza individuale e collettiva? Tutto sembrerebbe confermarlo e Pesaro ce lo documenta ampiamente con le opere che di giorno in giorno vengono presentate. La prevalenza degli imperativi politici su quelli più sottilmente estetici, la progressiva crisi dei messaggi privati cui corrisponde una volontà precisa di informare, documentare, spiegare, propagandare temi di più largo interesse ideologico e sociale costituiscono una indicazione di massima che l’intellettuale e l’artista vanno mutando l’orizzonte della loro ricerca e la stessa visione del cinema.
È il caso di due film dichiaratamente politici come “Seize the Time” di Antonello Branca sull’azione e il programma delle Pantere nere e “Partìzan Zenshi” di Noriaki Tsuchimoto sulle lotte degli studenti giapponesi all’Università di Osaka […].
”Seize the Time” dell’italiano Antonello Branca si sforza, a nostro avviso riuscendovi assai bene, di rendere partecipe lo spettatore europeo dei problemi dei neri americani, informandolo sulla loro azione politica, fornendogli un quadro dell’America visto finalmente dalla parte delle Pantere nere.
Il merito principale del film è quello di fornire elementi decisivi per la comprensione della ricca problematica della lotta di classe negli USA, nell’evitare inutili trionfalismi, la consueta retorica manichea che vede i buoni come patetiche vittime di un sistema indistruttibile o, viceversa, come eroi falsi di un «falso» rituale pseudo-rivoluzionario che anziché far pensare induce al falso ottimismo propagandistico del «luminoso avvenire». Il film si sforza anzi di problematizzare ogni aspetto della lotta, di indicarne le tappe, le difficoltà, le contraddizioni, usufruendo di diverse tecniche visive atte a connotare sempre meglio i dati puramente ideologici in dimensioni umane. Ci si avvale così di un primo approccio alla materia tramite un fantastico gioco pop in cui l’America è un super-man dalle fattezze di un Nembo Kid che piomba con i suoi super-mezzi e super-armi — dopo aver volato su grattacieli e autostrade — su una coppia dì neri intenta ai semplici atti dell’amore. I due dopo essere inseguiti dall’eroe fumettistico finiscono per inseguirlo e finirlo a colpi di clava, stendendo sul suo corpo la bandiera stellata. A questa allegoria si contrappongono materiali fra loro assai diversi come il cinema-verità, il teatro pedagogico e la canzone di guerra dei neri, le interviste, le ricostruzioni di dialoghi rivelatori, la tecnica televisiva e documentaria, materiale filmato in bianco e nero (mentre il film è a colori), ecc. Tutti questi momenti si saldano fra loro in quanto legati dal filo rosso dell’analisi politica, dei nessi storici e umani che riguardano la condizione dei neri americani mentre un personaggio, Norman, viene usato come esempio per dimostrare la impossibilità della integrazione nel sistema, attraverso la sua trasformazione da negro da cortile (in pratica lo zio Tom che vive all’ombra del padrone) a negro dei campi (cioè in uomo libero che si batte per la propria dignità oltre che per un benessere economico).
Il film ci fornisce anche sufficiente materiale di riflessione sulla repressione contro i «Black panther», uno spaccato sull’America bianca e nera che si ritrova unita nello scontro contro «maiali» (cioè i poliziotti) che ben presto diverranno prosciutti come dice un oratore nero; sul passaggio sempre più evidente negli Stati Uniti, da un clima di «fascismo-costituzione» a fascismo tout court; infine sul carattere non astratto dell’azione delle Pantere nere che tendono a sostituire lo Stato sfruttatore nelle comunità, a strutturare una comunità nera di fratelli, di solidali, un potere nero reale espresso da nuove strutture comunitarie, un potere nero reale in quanto pronto alla autodifesa delle comunità a livello politico e militare. Nella sequenza finale viene sintetizzato con rara efficacia lo stato d’animo delle avanguardie del partito e la volontà di educare i giovani alla lotta e alla resistenza. Norman gioca con il suo bimbo, ma è un gioco che insegna al piccolo a ribellarsi, scontrarsi con il più forte, prendere familiarità con il fucile, che diviene oggetto di interesse sin dalla più tenera età. […]
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Il cinema nel mondo
di Callisto Cosulich
[Giornale non identificato, 1970]
Il migliore dei recenti film italiani sull’America rimane senza dubbio il primo lungometraggio del “televisivo” Antonello Branca, realizzato con la cooperazione del partito delle “Pantere Nere”: “Afferra il tempo” di Antonello Branca, con Norman Jacob.
“Afferra il tempo “, ovvero “Seize The Time”, è il titolo di una canzone scritta, musicata e cantata da Elaine Brown, una donna di colore militante nel Black Power Party, in cui ella assolve l’incarico di Minister of Information per la California del Sud. “Afferrare il tempo” significa divenire padroni della propria storia, far marciare il tempo secondo il proprio volere. A tale scopo la canzone da un solo suggerimento: “afferrare il tempo” vuol dire nella fattispecie “afferrare il fucile” e rivolgerlo contro il nemico. Il bianco? Non necessariamente. Diciamo piuttosto il “nemico di classe”. “Dire che la razza e il razzismo sono la principale contraddizione fra schiavo e padrone, fra oppresso e oppressore, fra colonizzato e colonizzatore significa fare un’analisi unilaterale e soggettiva – dice Don Cox, un altro dei Panthers; la logica conseguenza di questa analisi unilaterale sarebbe che, se il razzismo venisse eliminato, l’oppressione dell’uomo sull’uomo finirebbe immediatamente, e questa è una fesseria”. L’identificazione del razzista nel padrone, nell’oppressore, nel colonizzatore è una condizione necessaria ma non sufficiente. A monte del razzismo stanno il capitalismo e il suo cancro: l’imperialismo.
Questo è il succo dell’opera di Antonello Branca (un regista televisivo, cui si debbono alcuni dei migliori servizi di TV7) che comincia con una metafora biblica (Adamo ed Eva neri disarmano il “serpente bianco “, lo abbattono a colpi di clava e ne ricoprono il cadavere con la bandiera a stelle e strisce) e finisce con un’immagine sia pure impegnata, […] anche se, apparentemente, più modesta. Per comprendere meglio che cosa intendiamo dire quando parliamo di modestia, conviene paragonare “Afferra il tempo” con alcuni classici del neorealismo, come “Sciuscià”, “Paisà” e “La terra trema”.
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