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APPROFONDIMENTO
L’eutanasia del sapere
Il significato della recente “manovra anticrisi” del Governo Italiano è evidente: si taglia la ricerca pubblica e la cultura che la classe dirigente politica Italiana non ha mai ritenuto fattore di sviluppo. Parallelamente, si porta avanti una distruttiva “riforma“ dell’Università che la trasformerà in feudo di politicanti e baroni, negando nei fatti la libertà di insegnamento e il diritto allo studio.
Le indiscrezioni sulla "manovra", diffuse in questi giorni dagli organi di stampa, suscitano particolare preoccupazione per l’intervento che si profila su molti enti pubblici di ricerca tra i quali ISFOL, IAS, ISAE, ISPESL, dei quali sembra prevista la soppressione. Il decreto anticrisi imbavaglia la ricerca pubblica procurando cosi un gravissimo danno al Paese. Si prevede la cancellazione di alcuni enti di ricerca le cui attività hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo della conoscenza, in ambito sia economico che sociale. A fronte di un discutibile risparmio di denaro derivante da una simile operazione, ci si priverebbe di quegli strumenti di conoscenza e supporto tecnico alle politiche, fondamentali per il sostegno delle persone, proprio in un periodo di grave crisi come quello attuale.
L’impatto della “manovra anticrisi” sul nostro futuro è quindi evidente: azzittisce una voce libera, autorevole e indipendente che, proprio nel momento più acuto della crisi economica internazionale, potrebbe aiutare a risollevare le sorti del Paese, raccontando cosa succede.
Ma la manovra finanziaria, come sappiamo, colpisce anche la cultura, ancora una volta del resto: sono 232 gli istituti, enti e fondazioni culturali che non riceveranno più i fondi statali e rischieranno concretamente la chiusura, poiché la maggior parte di questi dipendono, per la loro sopravvivenza, dalle sovvenzioni governative.
La miopia, di cui sembra ormai cronicamente affetto questo Governo, si ostina a non comprendere o, per meglio dire, non voler comprendere, che le strategie da adottare per risollevare il Paese e uscire dalla crisi non dovrebbero in nessun modo compromettere gli investimenti in formazione, ricerca e sviluppo. Operare indebolendo la conoscenza è un’operazione che scatenerà conseguenze devastanti sul nostro presente, ma ancora più sul nostro futuro. In una situazione di crisi è, infatti, essenziale scommettere proprio sul futuro, investendo, quindi, in istruzione, ricerca e nuove tecnologie. La manovra che il Governo sta varando compromette in maniera irreversibile questa possibilità.
In Italia, rispetto ad altre economie avanzate, i finanziamenti statali per ricerca e sviluppo attualmente risultano essere irrisori: nel nostro Paese al 2009 soltanto 1,18% del Pil è stato destinato alla ricerca, (http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/statistics/search_database) negli Stati Uniti tale quota sale 2,8% e in Germania è pari al 2,63%. Ridurre ancor più tale spesa significa di fatto eliminarla. Come noto, l’Italia, da almeno 10 anni, non sta di fatto più crescendo: significa che il nostro paese si sta “reggendo” a galla, non producendo più ricchezza. Ciò probabilmente dipende da un orientamento sbagliato degli investimenti. Il nostro Paese continua ostinatamente a puntare tutto su “carte” perdenti: gli investimenti finanziari.
Non produrre ricchezza vuol dire non ridistribuirla, generando l’impoverimento delle persone non solo da un punto di vista monetario ma anche culturale. Il fatto che in Italia ormai da tempo non si produca ricchezza non è imputabile a fattori casuali o crisi generalizzate. Si tratta invece di una scelta ben definita, di un riflesso delle caratteristiche del nostro sistema: il nostro tessuto imprenditoriale è composto principalmente da imprese che non investono in nuove tecnologie ma competono sulla riduzione del costo del lavoro piuttosto che sull’innovazione.
Questo modello di sviluppo è perdente, dato che le economie emergenti stanno investendo in sviluppo di tecnologie avanzate. Non è un caso se la Germania sia uno dei paesi più competitivi sul mercato: i tedeschi non hanno un costo del lavoro inferiore rispetto al nostro, ma hanno un apparato di ricerca, sia pubblica che privata, enormemente superiore al nostro e investono da anni nell’innovazione tecnologica, che è il motore della crescita e della ricchezza dei sistemi industriali avanzati.
Eliminare gli enti di ricerca pubblici vuol dire non permettere alle persone di conoscere, sapere e agire di conseguenza. Vuol dire non orientare le politiche sociali, vuol dire far procedere un paese alla cieca. Se la manovra anti crisi venisse approvata così come si configura ad oggi, da questa crisi verrà fuori un’Italia più ignorante, povera e con un sistema produttivo sottosviluppato: in bocca al lupo!
Valentina Gualtieri e l’Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori
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ALLEGATO/APPROFONDIMENTO:
– Valentina Gualtieri – L’eutanasia del sapere
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