Di chi è ora la città? (Italia, 2008)
regia di Omar Pesenti
articolo pubblicato su Rapporto Confidenziale – numeronove, novembre 2008 (pagg.37-40).
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Il medioetraggio Di chi è ora la città?, opera quarta di Omar Pesenti, trentenne filmmaker bergamasco, è un efficace e preciso noir metropolitano, che narra della lotta all’ultimo sangue tra i rappresentanti di due cosche mafiose per il controllo di un territorio privo di identità alcuna, ricchissimo di atmosfera e di soluzioni imprevedibili.
Diretto con mano sicura e scritto con Veronica Borgo, che tra l’altro è sua moglie, e Massimo Vavassori, sceneggiatore con trascorsi nella regia e ora interamente dedito alla scrittura, è un film che non manca di omaggiare alcuni maestri del noir del passato (il regista cita come fonte di ispirazione il Michael Mann di Collateral ma anche Melville, il Friedkin di To Live and Die in L.A., il mai troppo celebrato Fernando Di Leo) mantendendo nel contempo una sua originalità formale e una ricchezza registica che non tradisce mai il suo essere un’opera a basso budget girata nei weekend e fermata in più occasioni da disavventure tecniche e non.
– Roberto Rippa
Di chi è ora la città? è un noir metropolitano, incentrato sui due protagonisti e sulla città che fa da sfondo alla loro lotta: un’infinita periferia senza centro, che mostra tutto il suo degrado. A livello visivo ero interessato soprattutto a mostrare la sporcizia che si annida tra le cose, ovunque, e a renderla palpabile con l’ausilio di una fotografia sgranatissima. Volevo, inoltre, fare un film veloce, con una buona dose d’azione, che procedesse spedito in direzione del finale.
Mentre rielaboravo la sceneggiatura con Veronica Borgo e Massimo Vavassori e preparavo la regia, mi sono reso conto che i due personaggi non erano altro che proiezioni di me stesso, della lotta interna che stavo affrontando in quel periodo. E, da questo punto di vista, il finale del film è la soluzione più corretta e verosimile. Credo che il buon ritmo vada in questo caso di pari passo con l’approfondimento, non necessariamente psicologico, ma contenutistico: per quale motivo agiscono questi uomini? Perché scelgono di fare quello che fanno? Cosa li spinge e cosa li dirige, invece, su binari già definiti?
– Omar Pesenti
Di chi è ora la città? (Italia, 2008)
Regia, montaggio: Omar Pesenti
Sceneggiatura: Veronica Borgo, Omar Pesenti, Massimo Vavassori
Fotografia: Marco Lamera, Omar Pesenti
Musiche originali: Ron Meza
Suono: Marco Mancini
Interpreti principali: Jacopo DelSanto, Paolo Riva, Alessandro Mucci, Toni Pandolfo, Daniela Cordella, Valeria Sonzogni, Massimo Muntoni, Magdalena Strauchmann
durata: 30’
Omar Pesenti. Filmografia.
Di chi è ora la città? (2008) > L’immaginario fumettistico – documentario (2008) > Frattura (2007) > Un passo più lungo (2006)
10 domande a Omar Pesenti
RC: Come è nato il soggetto di Di chi è ora la città? Come hai lavorato sulla sceneggiatura con Massimo Vavassori e Veronica Borgo?
OP: Il soggetto è nato indicativamente dopo aver visto “Collateral” di Michael Mann. Mi affascina il modo di fare cinema di questo autore, che non trascura i generi ma allo stesso tempo riesce a dare una sua impronta originale alle opere. In particolare sono rimasto colpito dall’uso che ha fatto del digitale, trasformando un difetto (la grana che le immagini buie generano) in un pregio (l’incredibile capacità di catturare luce). Ho pensato che anch’io, nel mio piccolo, avrei potuto fare un film notturno (cosa che desideravo da quando mi sono messo alla prova), senza l’ausilio delle pesanti attrezzature necessarie solitamente negli esterni notte (e che ovviamente non possiedo): sarebbe bastato scegliere delle location sufficientemente illuminate e girare. Quindi il tutto è partito dal fare un film notturno, con molta azione. Poi sono venuti i personaggi, che rappresentano entrambi me stesso, uno ad oggi e uno diciamo tra dieci anni, un mio futuro ipotetico. Da qui un pretesto per farli lottare. Il soggetto è stato creato insieme a Veronica Borgo (che ho appena sposato e che compare nel film, nella scena con le prostitute – è quella che muore), che ha concretizzato il mio pessimismo nel bellissimo, a mio avviso, finale tragico, dove ci si rende finalmente conto che questi due uomini contano quanto quelli morti all’inizio: niente! Hanno infatti perso la loro vita nel tentare di realizzare i sogni/desideri/obiettivi di qualcun altro, mettendo da parte i loro.
Massimo Vavassori è un ragazzo che ho conosciuto poco dopo aver terminato il mio secondo cortometraggio, “Frattura”. Aveva già realizzato 2 lungometraggi indipendenti a zero budget come co-regista e sceneggiatore ed aveva deciso di dedicarsi esclusivamente alla scrittura. Quasi subito gli ho chiesto di risolvere alcuni problemi nello script: la cosa ha fatto nascere la scena del bar, del garage, delle prostitute e del deposito. Diciamo che quelle parti sono quasi esclusivamente basate sul suo lavoro. Con Veronica ho lavorato dal primo film, con lui proseguirò sui prossimi. Ad esempio mi appresto a girare (credo a dicembre) un corto da lui interamente scritto; io mi occuperò esclusivamente della regia. C’è in cantiere anche un lungometraggio, sempre scritto da lui, ma siamo ancora a livello di soggetto.
RC: Uno dei personaggi principali del film si chiama Luca Canali come il personaggio di La mala ordina di Fernando Di Leo. Qual è il tuo rapporto con Di Leo? E con il genere noir in generale (visto che questa è la tua seconda prova nel genere)?
OP: Amo il genere noir! Questa passione mi è stata trasmessa da Veronica che ne aveva visti davvero tantissimi. Credo per altro che sia uno dei generi che più facilmente permette di accontentare il pubblico ma, allo stesso tempo, di inseguire le proprie “ambizioni autoriali”. Di Leo l’ho scoperto solo recentemente, diciamo negli ultimi 2-3 anni: ho subito amato il suo cinema, vicino a quello di Melville e Huston, altri autori che mi fanno letteralmente impazzire. Il nome del personaggio è sì un omaggio a La mala ordina, ma non è stato scelto a caso: nel film di Di Leo avevamo un malavitoso, che nutriva però un forte amore per la sua famiglia (nel suo film però moglie e figlia venivano uccise). L’altro mio personaggio invece, Erik Maestri, viene da Erik Masters, interpretato da Willem Dafoe in Vivere e Morire a L.A. di Friedkin (altro autore che amo e che, in particolare, è stato fonte di ispirazione per questo film): in quel film Dafoe era un criminale/artista, proprio come il personaggio che dovevo rappresentare.
RC: Quali ritieni siano le regole auree del genere noir?
OP: Non credo che il noir abbia “regole”, se non quelle dei paletti dati dal genere stesso; è vero poi che, negli anni, questi paletti sono continuamente stati spostati da vari autori. Ad esempio nel caso de Gli spietati si parla addirittura di western-noir. A mio avviso il noir ha più a che fare con le atmosfere: cupe, “malate” e immutabili.
RC: Come hai scelto gli attori e come hai lavorato con loro sulla parte?
OP: Gli attori sono stati scelti in svariati modi: per quanto riguarda la parte di Erik Maestri ho scelto l’attore protagonista del mio precedente corto, che ritenevo perfetto. Gli altri sono stati trovati quasi tutti tramite contatti via internet (poi provinati dal vivo) o tramite amicizie: si tratta quasi esclusivamente di attori milanesi, alcuni professionisti, altri semi-professionisti. Alcuni sono invece amici e parenti (per le parti minori, quasi in nessun caso parlate).
RC: Quanto è durata la lavorazione?
OP: La lavorazione purtroppo è durata parecchio! Girando in esterni (senza permessi e solo nei weekend!) si è sottoposti al clima, alle intemperie e ai blocchi da parte delle forze dell’ordine. Purtroppo l’anno scorso ha piovuto moltissimo, poi siamo stati fermati un paio di volte dalla polizia e tutto l’inverno non abbiamo girato. Le riprese sono iniziate a fine luglio 2007, il film era pronto (ma senza audio e musica) a giugno 2008; poi realmente terminato a fine ottobre.
RC: Da chi era composta la troupe (sono tuoi collaboratori abituali? Di che dotazione tecnica hai potuto disporre?
OP: L’opera come avrai capito è a zero budget: le attrezzature consistevano in una telecamera (Panasonic DVX100), un buon treppiedi, un carrello della spesa, 3 illuminatori per gli interni. Per questo film ho fatto un salto in avanti nel senso che ho potuto avere l’aiuto di Marco Lamera, che sta studiandoper diventare direttore della fotografia (lo sarà effettivamente a fine anno accademico); il resto della troupe è composto dagli amici che da quando ho iniziato questa avventura mi seguono e dagli sceneggiatori che hanno sempre aiutato sul set.
RC: Come sei giunto a scegliere Ron Meza (autore di colonne sonore di Los Angeles)?
OP: Per quanto riguarda Ron Meza, ho fatto richiesta anni fa su un forum statunitense (www.dvxuser.com) di un autore per le colonne sonore (collaborazione a titolo gratuito). Lui ha risposto subito insieme ad altri, e dal secondo corto ho collaborato con lui. E’ molto in gamba e capisce sempre perfettamente le mie richieste. In genere parliamo un po’ in Skype del progetto, poi lui scrive qualche melodia che faccia da “tema” e, una volta terminato il montaggio, adatta le sue idee all’edizione definitiva del film. Io gli mando un file in bassa qualità con il film e lui mi restituisce dopo 2-3 giorni la melodia da applicare ad un preciso minutaggio. Andiamo avanti così finché le nostre idee non collimano. Questo processo per “di chi è ora la città?” è durato poco più di un mese.
Ho preferito rivolgermi da subito ad autori statunitensi perché avevo verificato la loro disponibilità su questo forum, nonostante fossero a tutti gli effetti professionisti (Ron lavora alla Fox). Inoltre le musiche per corti dei film italiani (ma questo forse è il caso che resti tra me e te) in genere non sono il massimo, sembrano tutte uscite da un film di aldo giovanni e giacomo. Le eccezioni a questa regola si fanno ovviamente pagare profumatamente.
RC: Che tipo di circolazione avrà ora il tuo film?
OP: Per vedere il film è possibile scaricarlo oppure frequentare i festival a cui lo manderò. Questo mese sarà a Napoli sempre per CortoNero, per i prossimi festival sono in attesa di risposta, quindi non ne ho ancora idea. Comunque in genere mando il film ai festival per un anno circa, quindi se tutto va bene girerà per l’Italia (o anche in USA e Francia) tutto l’anno.
RC: Come ti rapporti all’universo di Creative Commons?
OP: Ho scelto Creative Commons perché fondamentalmente, facendo queste cose per passione, nella speranza forse un giorno di farne una professione, la cosa più importante per me è la visibilità dell’opera. I diritti SIAE, oltre ad essere costosi, sono spesso un ostacolo alla distribuzione. La mia ambizione è che più gente possibile guardi i miei film, sono stati fatti per un pubblico ed è giusto che al più vasto pubblico possibile arrivino.